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Da "Umanità Nova" n. 12 del 30 marzo 2003

Milano: corteo tra pratica dell'obiettivo e progetto
In piazza contro la guerra e lo squadrismo fascista



Lanci di lacrimogeni, cariche della polizia, auto danneggiate ed incendiate, bombe carta, striscioni in fiamme, sedici agenti feriti, fermi ed arresti: questo il bilancio "ufficiale" degli scontri avvenuti a Milano sabato scorso tra le tifoserie 'militanti' di Milan (e probabilmente non solo) e Juve. Scontri che hanno chiuso una giornata come non se ne vedeva da tempo, carica di protesta, rabbia, partecipazione, volontà di contare. Curiosamente (è un eufemismo) gli avvenimenti di San Siro si sono meritati piccoli e scontati articoli sulla stampa e qualche richiamo in televisione.

I vetri rotti nel corso del grande corteo del pomeriggio invece hanno guadagnato ben di più, in visibilità mediatica, anche se non hanno provocato feriti, arresti, scontri, ma solo il fastidio di pratiche assicurative per il risarcimento danni ed un po' di dibattito e di sudori freddi o caldi (a seconda del giudizio espresso) tra i partecipanti al corteo.

Non c'è da stupirsi, gli atti di danneggiamento e di sabotaggio, generalmente e banalmente definiti di violenza anche se non coinvolgono le persone, diventano insopportabili quando sono frutto di una volontà comunque inscrivibile in un progetto di rottura sociale, mentre sono tranquillamente digeribili in un contesto di omologazione. Per i soloni dei media la vetrina infranta è semplice atto teppistico se compiuto dall'ultrà di turno, è addirittura atto creativo se l'operatore è un artista di grido come Arman che nelle sue "performance" rompe e distrugge oggetti, brucia e devasta auto, di fronte a spettatori che pagano il biglietto, ma diventa insopportabile atto di trasgressione se a farlo è il militante politico che per questo va criminalizzato e duramente represso.

Ma al di là dell'attacco alle vetrine che, è facile prevedere, verrà riproposto in ogni situazione simile da quanti vogliono imporre la propria pratica direttamente in piazza, cortocircuitando i meccanismi di decisione assembleare, c'è comunque da sottolineare come la stessa stampa, le dichiarazioni della questura e della prefettura, pur nella denuncia di tali fatti, abbiano sottolineato il "senso di responsabilità" dei centri sociali dell'area antagonista che avevano organizzato il corteo. Con questo, in buona sostanza, hanno di fatto riconosciuto che sono innegabili le responsabilità poliziesche nelle vicende che hanno portato alla morte, per dissanguamento, di Davide Cesare e alla brutale aggressione dei compagni nei locali del Pronto Soccorso dell'ospedale. Infatti, temendo una reazione violenta in una giornata che avrebbe visto in piazza centocinquantamila persone, i responsabili dell'ordine poliziesco avevano preferito tenere un basso profilo, mantenendo a distanza i reparti, concentrandoli solo nella zona del consolato USA ed evitando ogni intervento a protezione di altri obiettivi: meglio qualche vetro rotto che scatenare una guerriglia che, coinvolgendo i settori moderati e cattolici pacifisti, avrebbe avuto pesantissime ricadute politiche su una giunta comunale in pesante difficoltà per i brogli sul bilancio e su un governo immerso fino al collo nella palude bellicista.

Dal canto suo i vari componenti della sinistra antagonista sono stati ben consapevoli che sabato si giocava una partita importante per gli sviluppi del movimento; sarebbe stato facile organizzare una risposta militante all'assassinio di Dax, una risposta che avrebbe fatto pagare un prezzo politico molto alto ai responsabili del disordine pubblico, ma che avrebbe dato una carta preziosa nelle mani di quanti vedono come il fumo negli occhi la crescita e lo sviluppo di un movimento pacifista che ha caratteristiche di massa e che è destinato a radicalizzarsi se vuole mantenere una capacità di intervento nel cupo futuro che questa guerra ci sta preparando. Il ricordo della mattanza di Genova è troppo fresco per non cogliere nei continui tentativi provocatori che si stanno ripetendo da tempo, intorno ad alcuni luoghi antagonisti, il disegno di un "trappolone" che vuole costringere i militanti in una spirale di violenza da "colpo su colpo" tale da spingerli nell'isolamento e nell'esaurimento di ogni progettualità rivoluzionaria.

Invece il corteo organizzato, e che ha raccolto l'adesione di tutti i centri sociali di Milano, del sindacalismo di base, degli anarchici, e che ha visto la partecipazione di tanti antifascisti venuti da molte altre città, ha avuto la capacità di respingere la scorciatoia degli scontri che avrebbero ristretto la base militante a poche centinaia di partecipanti esponendo tutto il corteo a una brutale repressione, di mantenere una sua precisa fisionomia nel rapporto con l'altra manifestazione, di non farsi distrarre dalle scorribande di qualche decina di anonimi militanti alle prese con le vetrine e i bancomat, di porre le basi per la riuscita delle prossime mobilitazioni e dello sciopero generale indetto per il 2 aprile.

M.V.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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