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Da "Umanità Nova" n. 13 del 6 aprile 2003

Torino come Kabul
29 marzo: cariche e pestaggi



Le sirene urlano per il centro cittadino, il sapore acre dei lacrimogeni brucia la gola e la pelle, due bambini sono all'ospedale feriti, un naso rotto, una mano infranta, tanti vanno a casa con addosso i segni dei pestaggi subiti. Così si conclude un sabato di marzo a Torino, nel nono giorno della guerra preventiva, tra gli echi dei massacri spaventosi tra il Tigri e l'Eufrate, nell'Iraq assalito dagli angloamericani.

In Italia è il primo giorno dopo la proclamazione dello stato d'emergenza. La tenuta di un movimento contro la guerra tanto ampio e diffuso per il signore di Arcore è davvero "emergenza", un'emergenza da affrontare con manganelli e cariche, con la violenza bestiale degli uomini in divisa. A creare il clima propizio ci stanno pensando squadristi col coltello, autori di numerose aggressioni dopo l'assassinio a Milano di Dax. A Torino in meno di due settimane tre compagni sono stati feriti da fascisti con le lame. Si comincia con Claudio il 20 marzo, assalito durante il corteo studentesco contro la guerra, e colpito alla mano sinistra mentre parava un fendente al ventre. Il 27 marzo è la volta di Rosa percossa in pieno giorno nei pressi della Stazione di Porta Nuova da nazi che le hanno inciso una svastica sulla mano sinistra. L'ultimo episodio è del 31 marzo, un ragazzo della Sharp, Alex, viene malmenato nei pressi dell'ospedale Maria Vittoria: le ferite sono fortunatamente lievi.

Quelli di Forza Nuova, sempre più vicini all'Uomo di Arcore ad ai suoi alleati, non ultimo l'infame Borghezio, confortati dalla relazione del ministro dell'Interno Pisanu che nel suo rapporto di quest'anno sostiene che non vi sono pericoli eversivi a destra, si assumono il compito di rendere ancora più incandescente il clima. Così per sabato 29 annunciano un corteo alla Cittadella nel centro di Torino: un corteo contro la guerra in opposizione a quello indetto dai pacifisti. L'aria, arroventata dalle recenti aggressioni, è pesante. I fascisti, cui la Questura ha vietato la Cittadella, si danno appuntamento a Torino sud.

Nel primo pomeriggio del 29 marzo ci saranno un presidio antifascista alla Cittadella organizzato dai Disobbedienti e dai Giovani Comunisti e un corteo dal Balon del Network antagonista piemontese. La polizia blocca per un po' quelli del Network che, dopo una manovra diversiva, di gran corsa partono verso il centro: una lunga sgroppata che certo non poteva raggiungere il concentramento fascista distante una dozzina di chilometri. Il gruppone di un paio di centinaia di persone viene infine circondato dalla polizia, che finirà per sospingerlo verso piazza Castello, ove era fissato il concentramento del corteo contro la guerra. Facile capire la rabbia che animava i partecipanti a quest'iniziativa, per quanto, data l'impraticabilità dell'obiettivo, abbia rischiato di apparire una mera esibizione muscolare, obiettivamente funzionale solo a scaricare l'adrenalina.

I forzanovisti si ritroveranno in periferia, molto lontano dal centro e, ben protetti dalla polizia, faranno indisturbati un breve corteo per il quartiere di S. Rita.

In piazza Castello il corteo contro la guerra, che raccoglierà decine di migliaia di persone, si distende lento e tranquillo. In coda quelli del Network, la Federazione Anarchica e lo spezzoncino del sindacalismo di base con lo striscione per lo sciopero generale del 2 aprile. Dopo poche decine di metri polizia e carabinieri si dividono il compito di circondarci. L'aria si taglia col coltello. Non si avanza, qualche spinta, un paio di petardi e parte la carica: breve e violenta. Il corteo si ferma, Rifondazione schiera il servizio d'ordine e così fallisce il tentativo di spaccarci in due. Si riparte e, lentamente, la tensione si allenta.

A Porta Palazzo al lungo serpentone umano che attraversa il mercato si unisce uno spezzone di qualche migliaio di immigrati islamici guidati dall'integralista Imam Buchta. Si piazzano in coda con quelli del Network.

Il clima è tranquillo, la gente legge i volantini ed ascolta attenta gli slogan ed i canti. Siamo in un mercato: davanti ai nostri occhi ritornano le immagini della strage perpetrata nei giorni precedenti in Iraq, i corpi straziati dalla scelta feroce di terrorizzare i civili, di creare il panico. Terrorismo si sarebbe detto una volta: guerra preventiva la si chiama oggi. Violazione di convenzioni e diritti umani la si sarebbe designata un tempo: oggi sono "spiacevoli" effetti collaterali.

Lo spezzone anarchico è già in piazza Castello quando vi si affaccia il settore degli immigrati proveniente da via Po. Pare l'epilogo di una giornata solo un po' più convulsa di altre. In piazza i soliti banchetti, capannelli, comizi più o meno improvvisati, qualcuno addenta un panino, altri si dirigono a casa.

All'improvviso si odono rumori, concitazione, grida. La polizia sta caricando gli immigrati: piovono lacrimogeni su tutta la piazza e parte la caccia all'uomo. Ne faranno le spese soprattutto i bambini degli immigrati travolti e pestati mentre le carrozzine dei più piccoli verranno rovesciate. Chi ha la sfortuna di cadere sotto i colpi dei manganelli viene colpito con ferocia ripetutamente. Un ragazzo resta a terra: molti inveiscono inutilmente contro la ferocia poliziesca. La piazza è invasa dal fumo, la gente fugge in tutte le direzioni. Alcuni di noi sospinti dalla carica si avvicinano al palco del Social Forum chiedendo che la gente assiepata nella parte della piazza alle spalle di Palazzo Madama venga avvertita dal microfono delle violenze poliziesche in corso. Gli esponenti del Social Forum tergiversano, rifiutando di (sic!) "diffondere il panico". Un candelotto vicino al palco chiude rapidamente la discussione: quelli del Social Forum se la danno a gambe.

Alcuni gruppi durante la fuga per le viuzze erigono barricate, rovesciano cassonetti, mentre salta qualche vetrina ad opera di qualche improvvisato casseur.

Vari testimoni presenti in via Po al momento dell'inizio delle cariche riferiscono che i carabinieri partono appena i migranti danno alle fiamme la bandiera americana, un gesto simbolico compiuto decine di volte durante la manifestazioni di questi giorni. Un gesto intollerabile se compiuto da migranti, da quel nemico "interno" contro il quale quotidianamente l'esecutivo rivolge le proprie attenzioni repressive.

L'attacco delle forze della repressione è evidentemente rivolto ad impedire la crescente capacità organizzativa ed il radicamento, particolarmente evidente a Torino, dell'integralismo islamico. Sebbene si tratti di un fenomeno reazionario in ultima analisi destinato a frenare il percorso della libertà e dell'uguaglianza tra i migranti provenienti da paesi mussulmani, non possiamo non denunciare con fermezza la repressione statale che, assumendo di fatto una connotazione razzista, non può che contribuire ad un ulteriore crescita dell'influenza degli imam più duramente conservatori come Buchta.

In piazza Castello le forze del disordine hanno caricato gridando "marocchini di merda" e "schifosi comunisti"; una camionetta dei carabinieri ha attraversato la piazza a gran velocità fendendo la gente e sventolando una bandiera a stelle e strisce.

Torino per qualche momento si è mutata in Kabul ed i carabinieri hanno indossato le vesti di marines a caccia di talebani. Intanto, come a Kabul ed a Baghdad a terra sono rimasti diversi bambini.

La volontà repressiva della questura che, pur investendo tutto il corteo compresi i settori moderati, si esplicita con particolare durezza contro i migranti è funzionale a quello "stato di emergenza" che Berlusconi prima ha dichiarato ed ora ha bisogno di provocare.

La stessa recrudescenza della violenza fascista pare funzionale alla necessità della compagine governativa di creare ad arte un'emergenza "ordine pubblico" per delegittimare e spaventare il movimento contro la guerra. Se la guerra non sarà una guerra lampo, il governo Berlusconi non potrà permettersi di sostenere a lungo un'opposizione tanto forte.

I fascisti potrebbero essere un utile grimaldello al servizio del governo.

Occorre pertanto unire la vigilanza antifascista alla consapevolezza che occorre a tutti i costi evitare una "guerra di bande" funzionale agli interessi di un governo vieppiù in difficoltà di fronte alla marea montante dell'opposizione alla guerra.

È altresì indispensabile evitare di cadere nella trappola della divisione tra buoni e cattivi, pacifici e violenti nella quale il Social Forum e la CGIL si stanno gettando con gran foga a capofitto, avallando, al di là di quanto hanno visto con i loro stessi occhi, la tesi della questura che, per lavarsi le mani della violenza perpetrata, accusano le aree più radicali di aver provocato le cariche ed i pestaggi.

La criminalizzazione di parte del movimento, come già avvenne a Genova nel 2001, è funzionale al governo così come a settori dell'opposizione sempre più vogliosi di addomesticare ed incanalare nei tranquilli binari istituzionali un movimento plurimo, variegato, indisponibile ad ogni tentativo di riduzione ad un'unica anima, ad un unico percorso.

Questo movimento è oggi capace gettare sabbia nel meccanismo infernale della guerra. Una guerra che a Torino il 29 marzo per un momento è stata a casa nostra: aveva il volto dei bambini migranti insanguinati dai manganelli della polizia di Stato.

Mortisia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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