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Da "Umanità Nova" n. 13 del 6 aprile 2003

Il movimento di opposizione alla guerra
Potenzialità e limiti


Il movimento contro la guerra che si sta sviluppando a livello planetario e che pare avere in Italia una consistenza particolarmente rilevante pone nuove domande e nuove contraddizioni al nostro intervento. Le pone perché la lotta politica non è solita farci la cortesia di svolgersi sempre eguale a se stessa e perché gli attori in campo mutano di posizione e di pratiche.

Sarebbe, di conseguenza, sbagliato porre l'accento, quando affrontiamo le questioni, solo sulle posizioni politiche e sulle caratteristiche degli uomini e delle donne che giocano un ruolo nel movimento "pacifista" senza interrogarci sulle forze profonde che determinano la situazione attuale.

Schematizzando al massimo, si può affermare che l'opposizione alla guerra ha raggiunto in Italia dimensioni senza precedenti a memoria d'uomo. Quest'ampiezza, questo essere maggioranza del paese, sembra condannare la sinistra radicale ad un ruolo di gruppo di pressione mentre lo spazio politico è occupato dal pacifismo. Una condizione favorevole, per un verso, ed una difficoltà, per l'altro.

Può, forse, valere la pena di porre l'accento su quello che distingue l'opposizione alla guerra attuale rispetto a quella nei Balcani di qualche anno addietro.

Allora il "blocco occidentale" era "unito" non, ovviamente, nel senso che le élite occidentali non erano in sotterranea guerra interna, questa è la regola del gioco, ma in quello che l'egemonia americana era sufficientemente solida da garantire ai partner subalterni uno spazio politico, per un verso, e da tenerli a bada, per l'altro.

Oggi, la vittoria ai vertici degli USA di una banda di affaristi legati alla destra radicale determina la rottura dei vecchi codici. Da una parte gli USA trattano i propri lacchè da lacchè e questo può essere sopportabile per la destra italiana ma non per stati di una qualche consistenza. Dall'altra si è disegnato un asse eurasiatico tendenzialmente ostile al dominio USA. Di conseguenza, il partito della guerra si identifica, anche in Italia, con il partito americano in maniera perfetta.

Allora la chiesa cattolica era impacciata dall'asse privilegiato con la Croazia, è bene ricordare la beatificazione dei martiri ustascia, mentre oggi gioca liberamente la propria opposizione profonda all'élite wasp statunitense. Un fatto del genere spacca il blocco moderato in maniera impressionante. Chi, come me, ha avuto occasione di leggere, nell'anticamera del dentista, "Famiglia Cristiana" non può non aver notato che i discorsi non dei cattolici di sinistra ma del cattolicesimo ufficiale sono sicuramente netti e radicali.

Allora la sinistra era al governo e doveva dimostrare la propria fedeltà agli USA e far dimenticare i propri trascorsi filosovietici, oggi al governo è una destra che bada a far dimenticare i trascorsi antiamericani di molti suoi esponenti. La sinistra, ammaestrata dalle vicende di Genova due anni addietro, sta proseguendo la propria rigenerazione movimentista lasciando a qualche bada di irriducibili talebani liberal la nostalgia della sinistra "di governo" che dice e fa le stesse cose della destra sempre e comunque.

Quando i disgustosi esponenti della destra ricordano agli altrettanto disgustosi esponenti della sinistra che, durante la guerra dei Balcani, il governo non ha battuto ciglio hanno, questo è evidente, ragione ma hanno torto quando pretendono il monopolio dell'incoerenza. L'attuale sinistra di opposizione dimentica la passata sinistra di governo come l'eventuale futura sinistra di governo dimenticherà l'attuale sinistra di opposizione.

Infine, e non lo ritengo un elemento secondario dello scenario attuale, l'attacco americano sta rafforzando il formarsi di un blocco antiamericano nel mondo arabo e, in generale, nelle periferie del mondo. Il tradizionale antimperialismo di sinistra trova nuove energie e nuovi riferimenti nella mobilitazione a favore dell'Iraq. Nelle stesse metropoli, masse rilevanti di immigrati si schierano in misura preponderante contro la guerra o, meglio, contro questa guerra. Il fatto che sovente usino linguaggi e si riferiscano a culture radicalmente estranei alla tradizione della sinistra occidentale pone problemi nuovi che, per ora, vengono elusi mediante il semplice adattarsi, come avviene a diversi settori dell'Autonomia, sulle posizioni dei leader delle comunità degli immigrati. Un paradossale rovesciamento rispetto al passato, se una volta l'Unione Sovietica e le forze che egemonizzava utilizzavano i movimenti dei paesi periferici, oggi questi movimenti utilizzano quanto resta della sinistra dura e pura.

Un quadro del genere aiuta a comprendere alcune delle difficoltà dell'oggi del sindacalismo alternativo, difficoltà che non sono prive di rilievo anche per l'azione degli anarchici in quanto tali.

Come è noto, un cartello di forze sufficientemente largo aveva, ad esempio, stabilito che allo scoppio della guerra si sarebbe immediatamente risposto con lo sciopero generale. Sarebbe stata, a mio avviso, la posizione più corretta politicamente e più efficace praticamente. La riuscita delle manifestazioni del 20 ritengo stia a dimostrare la plausibilità di questa tesi.

Nelle settimane precedenti lo scoppio della guerra è cominciata una discussione defatigante fra le organizzazioni sindacali alternative ed al loro interno. Una parte consistente del sindacalismo alternativo premeva perché si attendesse la proclamazione dello sciopero ad opera della CGIL e perché, di conseguenza, non si dessero indicazioni precise. Come è norma, in contingenze del genere, la carovana ha proceduto alla velocità dei carri più lenti e lo sciopero immediato non è stato organizzato (un telegramma notturno di copertura degli scioperi immediati e spontanei è, sino a prova contraria, un'altra cosa).

Naturalmente la CGIL, in attesa di CISL e UIL (ognuno attende qualcun altro, è la regola delle attese), ritiene di aver fatto il dover suo coprendo un paio di ore di sciopero il 20 marzo.

Nei fatti, il sindacalismo alternativo, che pure ritrovando l'unità sullo sciopero del 2 aprile ha fatto un significativo passo avanti, non ha svolto il ruolo che il suo radicamento e le sue potenzialità gli avrebbero assegnato.

Eviterei polemiche eccessive e liquidazioni frettolose, il sindacalismo alternativo non è, non ha mai preteso di essere, un blocco d'acciaio di forze sovversive. D'altro canto, non sottovaluterei questo segnale di debolezza o, perlomeno, di indecisione.

Il nodo politico che ritengo vada affrontato è evidente.

Come ci si muove quando non si è in splendido isolamento ma si hanno, di fatto, alleati fortemente disomogenei? Come è possibile coniugare flessibilità nell'azione e rigore nelle posizioni e nelle proposte?

Due errori sono possibili: il settarismo che ci isolerebbe dalla massa in movimento e la subalternità alla maggioranza moderata o, peggio, ai gruppi dirigenti neoistituzionali che la dirigono. La consapevolezza di questi pericoli non ci dice come affrontarli ma è la premessa della possibilità di affrontarli.

Si tratta, in ogni caso, di sviluppare contemporaneamente una presenza significativa nelle mobilitazioni "unitarie" su contenuti propri e una capacità di azione e di proposta autonome. E, per poterlo fare, è necessario denunciare in maniera chiara e serena gli stessi limiti ed ambiguità del movimento contro la guerra.

Cosimo Scarinzi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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