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Da "Umanità Nova"
n. 13 del 6 aprile 2003
Sfiorata la tragedia
Livorno: l'incendio della Capo Horn
Sabato 22 marzo, sono circa le 7 del mattino e una chimichiera, la Capo
Horn, carica di 26 mila tonnellate di metanolo, sostanza tossica e infiammabile,
sta manovrando all'interno del porto di Livorno. Per un errore, alle 7,02
la nave, vecchia di 15 anni e a scafo singolo, sbatte violentemente contro
una banchina. Dopo pochi minuti comincia a prendere fuoco mentre dalla
falla creata dall'urto esce del metanolo. I rimorchiatori che la stanno
accompagnando non riescono a domare l'incendio ma, coraggiosamente, i
marinai filippini rimangono al loro posto. La Capitaneria ordina di invertire
la rotta e di far uscire la nave dal porto. Nelle vicinanze del luogo
dove è scoppiato l'incendio ci sono depositi di GPL, di benzine
e di gasolio, diverse fabbriche chimiche oltre ad una gasiera carica di
GPL pronta per lo scarico: il rischio di disastro è enorme. Alle
7,52 mentre la nave in fiamme transita a poche centinaia di metri dal
porto turistico, da un'area piena di Uffici che proprio in quel momento
si stanno popolando di ignari lavoratori, dalla biglietteria del traghetto
per la Capraia che dovrebbe partire dopo pochi minuti, la Capo Horn scoppia.
Il rimbombo sveglia mezza città, i marinai, alcuni feriti, si gettano
in mare, ma, per fortuna lo scafo regge e non si sprigiona alcuna nube
tossica. Alle 13 i vigili del fuoco riescono a spegnere l'incendio sulla
Capo Horn ormeggiata al largo della passeggiata sul mare dei livornesi.
Quello che è avvenuto nel porto di Livorno sabato 22 marzo deve
far riflettere i livornesi sui rischi che corrono giornalmente migliaia
di persone che lavorano, vivono o, più semplicemente, si trovano
a passare nella zona della città vicina al porto. Se la chimichiera
di bandiera liberiana, quindi di bandiera ombra, fosse esplosa nel canale
industriale o se dalle sue taniche piene di metanolo fosse sprigionata
una nube tossica oggi commenteremmo una tragedia, checché ne dicano
i "responsabili" della sicurezza che tirando un sospiro di sollievo dichiarano
che "il sistema di sicurezza ha funzionato". Se fossero sinceri aggiungerebbero
che "per fortuna" non è accaduto quello che avrebbe mandato in
tilt il sistema di sicurezza.
Da parte nostra segnaliamo come la chimichiera abbia preso fuoco alle
7,02 e sia esplosa alle 7,52 ma in questi 50 minuti attorno all'area portuale
tutto si sia svolto normalmente come se nulla stesse accadendo: centinaia
di lavoratori si sono recati normalmente nei loro uffici a pochi metri
dalle banchine, decine di persone dirette in Capraia si sono normalmente
fermate alla biglietteria della TOREMAR, decine di studenti e insegnanti
si sono tranquillamente diretti verso la scuola di via Calafati, a poche
centinaia di metri da dove è avvenuto lo scoppio, decine di proprietari
di imbarcazioni da biporto sono rimasti accanto alle loro barche. In altri
termini: mentre una nave in fiamme che rischiava di esplodere da un momento
all'altro transitava nel porto nessun piano di emergenza che avvertisse
i cittadini ignari del pericolo è stato messo in opera dai responsabili
del porto. Solo dopo lo scoppio delle 7,52, cioè dopo che il peggio
era già avvenuto, sono affluite le prime ambulanze e i primi mezzi
della SVS e della protezione civile: solo verso le 8,30 i vigili urbani
hanno bloccato l'accesso al porto.
Questo vuol dire che i responsabili della sicurezza pubblica - Autorità
portuale, Prefettura e Amministrazione comunale - pur sapendo benissimo
che l'area portuale è ad "alto rischio di incidente grave" non
hanno preparato un piano di emergenza che garantisca la popolazione e
i lavoratori impegnati in porto o nelle sue vicinanze? E se invece questo
piano esiste perché non è stato attuato? Perché le
popolazioni e i lavoratori del porto non ne conoscono modalità
e contenuti?
Sono domande inquietanti che coinvolgono coloro che gestiscono la città
di Livorno guardando solo alla conclusione di buoni affari, dalla costruzione
di mega centri commerciali alle avventure di ipotetici terminali off shore
per inserirsi nel business del gas metano. E, lo sappiamo bene, garantire
la salute e la sicurezza dei cittadini non fa fare grandi affari.
M.Z.
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