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Da "Umanità Nova" n. 14 del 13 aprile 2003

Un massacro infinito nome di dio, del profitto, del dominio
Noi, senza dio, stati, eserciti...



Siamo alla terza settimana di guerra lampo. La coalizione militare più potente del mondo, ancorché a un passo dalla vittoria (come vanno raccontando fin dal primo giorno) resta insabbiata nelle periferie e nei deserti iracheni. Questa guerra chirurgica deve avere usato ferri infetti, e infatti il bubbone rischia di diventare un'infezione non più controllabile.

Il dio degli eserciti, che sia Geova o Allah, manda i suoi figli, indifferentemente, a uccidere e morire. Come sempre la religione puntella il potere e ne giustifica le infamie. E non importa se sia evocata da bocche blasfeme: il compassionevole Bush si specchia nel pio Saddam, dio è con noi, dio lo vuole e ci porterà alla vittoria, allah akhbar! Manca solo che Blair si faccia il segno della croce alla Camera dei Comuni, commosso dalle sofferenze dei civili iracheni. Comunque le zie suore di Berlusconi non elemosineranno le loro preghiere. Avanti così!

Con un colpo di teatro il lupo mannaro si materializza nelle strade di Baghdad circondato da una folla plaudente, e un bambino terrorizzato viene innalzato sopra le canne dei kalashnikov dei miliziani. Quanti duci, di popoli o di fedeli, hanno già recitato questa tragica buffonata? E anche il Presidente fa il suo bagno di folla, fra i marine, tutti sull'attenti e vestiti della festa, impazienti di dare il loro contributo di morte e distruzione. Il rito del sangue, l'urlo belluino della foresta risuonano in sintonia nella "barbara" Mesopotamia e nella "civilissima" America.

E la nostra sinistra, di lotta e di governo, non sa far altro che interrogarsi su quanto debba essere lunga questa guerra. Discussioni accademiche per conquistare visibilità. Una settimana, un mese, un anno? Intelligente! Attanagliata dalla paura che una qualsiasi Fallaci la giudichi antiamericana (ma cos'è, un delitto?), si chiede quanto questa guerra sia legittima, quanto sopportabile, quanto sostenibile. Gli ex "strateghi" dei bombardamenti su Belgrado si trovano spiazzati dalla sicurezza con la quale il campo avverso ha fatto la sua scelta. C'è sempre da imparare.

E il ragionier Morte continua il suo lavoro. Tot le bombe sganciate, tot i missili, i palazzi distrutti, i ponti, le strade, le vittime civili, le famiglie sterminate, i bambini mutilati. E mille, e mille, e mille gli iracheni morti ammazzati. E due vittime americane, poveri ragazzi, ma solo quei due! Folle di prigionieri arabi imbavagliati, legati, incappucciati, inginocchiati; la soldatessa Jessica sottratta alla ferocia del nemico... in un letto di ospedale. E l'apertura dei telegiornali. Ma andassero a cagare!

Il lavorio diplomatico ha ripreso consistenza. Al Palazzo di Vetro, a Bruxelles, a Washington, Mosca, Pechino, si agitano, trafelati, i demiurghi della politica mondiale. Per fermare la guerra, per farla finita prima che sia troppo tardi? Non scherziamo, suvvia. Il problema è rimettere in discussione i programmi della ricostruzione, ridistribuire quote di mercato, ridefinire le priorità economiche e politiche. Sulle spoglie di un popolo che, nonostante tutto, sta ancora combattendo con coraggio, si accapigliano avvoltoi in completo grigio, appena scesi dai trespoli delle loro scrivanie. Ed è già pronto il governo ombra. Anzi, i governi ombra. Del Pentagono, della Cia, quello preferito da Powell, quello gradito a Cheney e Rumsfeld. Tutti comunque, nonostante le sfumature, al soldo degli interessi petroliferi ed energetici delle multinazionali, per i quali, non stanchiamoci di ripeterlo, si combatte questa guerra. E di quello che potrebbe avere da dire il popolo iracheno? È questa la grande lezione dell'Occidente?

Da questa guerra, come da tutte le guerre, vien fuori il peggio. Il peggio di quello che può esprimere l'umanità. Secoli di filosofia, di cultura, di scienza della politica e delle relazioni, di ricerche tecnologiche e sperimentazioni sociali, tutto viene ricondotto alla violenza e alla forza. E il potere di turno, sulla punte delle spade o dei proiettili all'uranio impoverito, impone, come sempre, le sue "ragioni". Quelle che abbiamo sempre combattuto. E che non ci stancheremo mai di combattere.

Massimo Ortalli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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