Da "Umanità Nova"
n. 14 del 13 aprile 2003
Un sogno nel cuore
Da che parte non stiamo
Puntualmente anche stavolta è arrivata, e non soltanto dalla destra
governativa, la polemica strumentale che vuole i contrari alla guerra
arruolati tra i sostenitori "oggettivi" dell'osceno regime di Saddam Hussein,
oppure suoi malcelati tifosi o persino complici del terrorismo. E a tali
accuse non sfuggono neppure quanti dichiarano di non volersi schierare
né con Bush né con Saddam Hussein, non escluso il segretario
della Cgil Epifani.
In realtà tale discussione salottiera è paradossale quanto
fuorviante.
D'altra parte la guerra dentro cui siamo precipitati è una guerra
di paradossi:
Una guerra "morale" combattuta in nome della "civiltà", in cui
per eliminare un tiranno nazionalpopolare e portare la "democrazia", non
si esita a seminare strage tra la popolazione civile già stremata
da oltre dieci anni di embargo.
Una guerra in cui chi bombarda di giorno un affollato mercato a Baghdad
è un "liberatore" e chi si difende da un'aggressione militare spropositata
è un "terrorista".
Una guerra globale che nutre se stessa, senza limiti di tempo e di spazio,
nonché al di fuori di ogni parvenza di legittimità.
Una guerra in cui gli Usa, ossia la potenza militare planetaria che
detiene, produce e vende il maggior numero di armi nucleari, batteriologiche
e chimiche, accusano l'Iraq di minacciare l'umanità con armi proibite
che essi stessi e gli Stati europei hanno fornito al regime di Saddam
Hussein ai tempi del conflitto contro l'Iran.
Una guerra in cui, come diceva il ministro della propaganda nazista
Goebbels, l'importante non è quello che succede ma quello che si
comunica.
Una guerra in cui lo spettacolo della morte diviene merce.
Una guerra umanitaria e liberale che criminalizza chi manifesta il proprio
dissenso e reprime chi si oppone alle scelte belliciste dei governi.
Una guerra che non permette d'essere neutrali, ma in cui è necessario
rivoltare tali paradossi.
Questa guerra non è tra Bene e Male, tra Occidente e Islam, tra
Democrazia e Dittatura, ma neppure tra Bush e Saddam Hussein.
È una guerra certo per il petrolio, ma imposta anche da altri
interessi economici e da logiche di dominio; una guerra che sta facendo
le fortune dell'industria bellica e in cui le gerarchie militari, anche
se con uniformi diverse, sono tutte ugualmente nemiche delle popolazioni
civili e degli sfruttati di ogni paese: negli Stati Uniti come in Iraq,
in Russia come in Italia.
Da qui la nostra radicale opposizione al militarismo inteso come forma
gerarchica di controllo e sfruttamento sulla società.
Un'opposizione che nel cuore porta un sogno: vedere la sconfitta dell'imperialismo
Usa e una rivolta popolare che liberi gli sfruttati iracheni da ogni padrone
e da ogni generale.
KAS
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