archivio/archivio2003/un01/unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 14 del 13 aprile 2003

Afganistan
La guerra contro le donne non finisce mai



Prima della guerra in Afganistan delle donne di questa regione si parlava poco. Gli appelli delle poche coraggiose che tentavano di far conoscere oltre frontiera le condizioni disumane in cui le donne vivevano, rimanevano inascoltati. I governi occidentali collaboravano con questi criminali. Poi c'è stata la guerra...

Adesso va tutto bene: le scuole sono state riaperte, le donne possono lavorare, essere curate, andare in giro da sole, il burqua viene indossato solo dalle donne che lo riconoscono come parte della propria cultura. Addirittura oggi, ci dice la pubblicità, le donne afgane vestono Benetton.

Ed invece non è cosiì... Ci piacerebbe che lo fosse ma i nostri desideri e la realtà sono cose ben diverse.

I fondamentalisti talebani sono stati sostituiti da altri che condividono la stessa ideologia, le loro differenze sono solo sfumature della stessa visione del mondo.

I crimini contro le donne non sono terminati, ma dilagano in varie forme in tutto il paese. Certo se l'osservatore occidentale si ferma solo a Kabul ha l'impressione di un relativo cambiamento, ma basta uscire da questa città per rendersi conto delle condizioni in cui ancora oggi le donne vivono.

Sulla stampa pochissime notizie vengono fornite sulla condizione delle donne afgane, ma in realtà queste notizie esistono, anche se non trovano spazio.

La condizione femminile è stata descritta anche in un rapporto di Human Rights Watch (Osservatorio dei Diritti Umani), consultabile sul loro sito ed in parte tradotto in italiano.

HRW racconta questo.

Le scuole femminili, riaperte con grande pubblicità internazionale, sono state in gran parte sistematicamente attaccate, date alle fiamme e le insegnanti aggredite a volte anche con l'acido.

È stato abolito formalmente il Ministero per la Repressione del Vizio e la Promozione della virtù, ma è rinato sotto un nuovo nome: Insegnamento Islamico.

Per le strade girano uomini e donne anche adolescenti che hanno il compito di vigilare sul comportamento delle donne, controllandone gli atteggiamenti, il trucco, l'abbigliamento. Nelle scuole il burqua o lo chador è ancora obbligatorio.

Le donne posso essere fermate e maltrattate per strada da qualsiasi uomo, non solo dalla polizia.

Le aggressioni e gli stupri sono largamente documentati, soprattutto fuori le grandi città.

La sharia continua ad essere applicata e le carceri sono piene di donne arrestate per essere fuggite da un marito violento o da un matrimonio imposto.

È di nuovo proibito uscire di casa dopo una certa ora non accompagnate da un parente maschio, è proibito andare in bicicletta o guidare, prendere un taxi da sola, parlare o essere in compagnia di un uomo non parente.

La cosa più grave è che chi viene sorpresa in uno di questi atteggiamenti viene condotta dalla polizia e al fermo quasi sempre segue una forzata visita ginecologica "di castità" per verificare la verginità della donna o, nel caso fosse sposata, che non abbia avuto rapporti sessuali recenti.

Ogni giorno decine di donne subiscono questo umiliantissimo trattamento. In un paese dove la mortalità per mancanza di cure mediche è altissima questo oltre ad essere una pratica inumana appare anche come una precisa scelta su come venga tutelata la salute delle donne. Questi comportamenti non sono considerati abusi, ma doverosi controlli della moralità femminile.

Questa situazione infame non può essere attribuita ad una idea "deviata" di alcuni potenti o alla cultura del popolo. È la visione del mondo che permea i fondamentalisti, oggi al potere come ieri: religiosa, immorale, fascista e piena di odio per le donne.

Il problema non può essere risolto con la creazione di un Ministero per le Questioni femminili o con alcune cariche simboliche assegnate a donne scelte dal potere.

Qualcuno sostiene che questi problemi sono dovuti alla particolare cultura di quel popolo, che con questa occorre fare i conti e mediare, sperando in un processo di cambiamento lento ma inesorabile.

Ma come si può pensare di mediare con il totale disprezzo delle donne ed il loro non riconoscimento di essere umani?

L'unico conforto è dato dalla consapevolezza che anche in Afganistan esistono donne coscienti dei propri diritti e decise a lottare per essi.

Le testimonianze raccolte da Human Rights Watch per noi agghiaccianti ci parlano di donne coraggiose che hanno deciso di correre il rischio di raccontare ciò che succede affinché nessuno possa far finta di non sapere. Ed a loro va tutto il nostro amore...

Rosaria Polita

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Contenuti  UNa storia  in edicola  archivio  comunicati  a-links


Redazione fat@inrete.it  Web uenne@ecn.org  Amministrazione  t.antonelli@tin.it