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Da "Umanità Nova" n. 15 del 20 aprile 2003

Carabinieri e fanti in Iraq
Caramba che buoni affari!



Se qualcuno avesse mai avuto dei dubbi significativi sull'invio di truppe italiane in Iraq, ebbene se li è tolti in gran fretta: ci andranno, o in un modo, o in un altro. Sotto l'ONU o fuori dall'ONU, sotto la Confindustria o sotto la Piccola e Media Industria, vestiti da manager o da petrolieri, con abiti kaki e mimetiche, da carabinieri o con tute da meccanici specialistici, ma ci andranno. Perché il punto della questione, come i punti delle questioni precedenti, erano e rimangono quelli dell'accaparramento degli appalti e dei subappalti della ricostruzione, quelli del controllo dei prezzi e delle forniture petrolifere e l'egemonia politica all'interno di un'area ben precisa del pianeta.

Non fatevi fuorviare: non esiste la guerra combattuta da un lato e gli aiuti per la ricostruzione o gli "aiuti umanitari" dall'altro. Esistono solo modalità differenti di fare la guerra dove ogni pezzo è funzionale ed essenziale all'altro: così come le ispezioni ONU in Iraq segnavano, al contrario di una minima possibilità di pace, una mappatura militare del territorio da colpire, così le nuove missioni di peacekiping sono una modalità di proseguire la guerra attraverso altri strumenti: i nessi di causalità e di funzionalità sono necessari a comprendere l'epopea delle "guerre umanitarie".

La disponibilità di Massimo D'Alema e della sua compagine a collaborare, ovvero a dare il proprio appoggio all'invio di truppe italiane in Iraq, così come fu l'anno passato in Afganistan, è una apertura a proseguire l'intervento bellico a sostegno del imperialismo nostrano a fianco di quello anglo-americano, russo, francese, tedesco... Anche su questo punto occorre fare un'estrema chiarezza: i governi russi, tedesco e francese si sono opposti a questa guerra non perché siano fondamentalmente "buoni", categoria morale non spendibile in ambito politico, o perché siano dei numi tutelari dei "diritti umani", basti qui ricordare la guerra genocida portata contro i ceceni, oppure l'intervento coloniale della Francia in Costa D'Avorio che precedeva di pochi mesi l'intervento militare americano in Iraq, ma semplicemente perché questa guerra andava a colpire i loro interessi economici e politici localizzati in quello stato. Le ultime notizie sul vertice franco-russo-tedesco, ci dicono che la parola d'ordine sia "scappi chi può": tradotto significa "ora che abbiamo perso, cerchiamo di salvare il salvabile, in primis il credito che abbiamo accumulato nei confronti dell'Iraq e che gli Stati Uniti hanno proposto recentemente, al FMI, di azzerare". In Francia alcuni quotidiani hanno intitolato così i loro articoli nei confronto di Jacques Chirac: "Re della pace ma senza corona", criticando apertamente la scelta anti-americana perseguita dall'Eliseo, critiche a cui si aggiungono le accuse pesanti degli industriali francesi che perderanno importanti business nella ricostruzione dell'Iraq ed importanti commesse petrolifere.

L'Italia, la piccola e criminale italietta, forte del suo ruolo internazionale, salirà sul carro dei vincitori, prenderà appalti e subappalti, sottosegretari e funzionari. La famosa Halliburton, società presieduta sino al 2000 dal vicepresidente Dick Cheney prenderà una buona fetta della ricostruzione e la girerà per alcuni interventi specifici alle italiane Saipem (condotte petrolifere), Technimont, Renco, Tecnologie progetti industriali e Crifi (infrastrutture civili ed industriali, tra l'altro impegnate nella costruzione del Ponte di Messina). Sul ruolo politico degli States in Iraq Paul Wolfowiz è stato molto chiaro: "Il nostro obiettivo è quello di creare per l'immediato una struttura amministrativa in cui ogni ministro iracheno è affiancato da un ministro americano. Quando poi ci sarà un vero governo ad interim, lasceremo agli iracheni i compiti di gestione del Paese."1 Qualche sottosegretariato farebbe gola a chiunque!

"Parola" dei bombardatori umanitari Buttiglione e D'Alema.

Pietro Stara

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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