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Da "Umanità Nova" n. 15 del 20 aprile 2003

Motori per la guerra
La Fiat Avio al bivio tra due sistemi



Era ormai scontato da tempo che il gruppo Fiat fosse costretto a privarsi progressivamente dei gioielli della corona per fare fronte al disastroso andamento del settore auto. La crisi di mercato dei modelli del Lingotto non accenna a diminuire ed anche il primo trimestre dell'anno non ha segnato alcuna inversione di tendenza: a fronte di un calo del mercato pari al 5% rispetto al 1deg. trimestre 2002, Fiat ha perso oltre il 18% di vendite. Sul piano finanziario il trimestre si è chiuso con una perdita di 300 milioni di euro, in calo rispetto ai 429 del primo trimestre 2002, ma in risalita rispetto ai 180 milioni del trimestre precedente. L'intero 2002 ha visto una perdita del settore auto pari a 2,5 miliardi di euro, il 2003 si prospetta con una perdita di 1,3 miliardi di euro e nel 2004 si spera di scendere a "solo" 1 miliardo di euro perduti. In sostanza nell'intero triennio 2002-2004 si pensa di "contenere" le perdite al di sotto dei 5 miliardi di euro. In questa situazione diventa improponibile varare quell'aumento di capitale di dimensioni "monstre" che sarebbe necessario per rimpinguare adeguatamente la cassa e permettere un rilancio degli investimenti sui nuovi modelli, per svecchiare la gamma esistente e rimpiazzare i prodotti (come Panda, Marea e Lancia Y) che vanno a morire a breve.

L'unica alternativa è dunque vendere le attività "buone": Fidis e Fraikin hanno già preso il volo, la Toro è stata venduta alla De Agostani per 2,4 miliardi di euro, la Fiat Avio è in pista per una cessione attesa entro il primo semestre 2003. La sorte ha voluto che questa cessione avvenisse subito dopo l'ennesima guerra guerreggiata innescata dal fondamentalismo radicale della destra americana, raccolto sotto la "junta" che attualmente governa l'unica residua potenza mondiale, e che proprio i rappresentanti finanziari di questa banda entrassero in gioco per l'acquisizione dell'azienda motoristica torinese. Lo scontro che si sta giocando per conquistare il controllo di Fiat Avio si inserisce nella questione generale della possibilità di costruzione di un vero sistema difensivo europeo, autonomo dall'egemonia Usa, e quindi finisce per polarizzarsi, anche in patria, tra un partito "americano" ed uno "europeo", con la sinistra d'opposizione ovviamente schierata nel secondo ed una destra di governo in bilico tra difesa dell'industria nazionale, protezionismo per Fiat e tentazione di saltare a piedi giunti sul carro del vincitore per spartirsi le spoglie ad ogni livello.

Fiat Avio è un'azienda che produce utili (210 milioni di euro nel 2002) producendo motori per aerei, elicotteri, navi da guerra, lanciatori spaziali. Il settore più delicato, dal punto di vista della produzione bellica, è proprio quello dei motori militari: tra gli altri il propulsore dell'Eurofighter, quello delle fregate Orizzonte ed il futuro motore del Jsf americano, il nuovo caccia strategico statunitense, che rappresenterebbe una commessa gigantesca per i prossimi decenni (si parla di 3.000 esemplari). Il governo italiano vedrebbe di buon occhio una presenza italiana nella nuova compagine azionaria e fa pressione su Finmeccanica (al 32,4% pubblica) perché intervenga. Finmeccanica, presieduta da Guargaglini e Testore (ex a.d. di Fiat Auto cacciato dal Lingotto nel dicembre 2001) non ha alcuna voglia di imbarcarsi, per un supposto interesse pubblico, in un settore produttivo da cui è uscita nel 1996, proprio vendendo a Fiat Auto la propria divisione Alfa Avio. La Fiat naturalmente ha interesse a vendere in fretta e bene, e punta a ricavare almeno 1,8 miliardi di euro. Sul mercato si è affacciata in un primo tempo Snecma, società pubblica francese al quarto posto nel mondo nella produzione di motori aerei, grande quattro volte Fiat Avio. Evidentemente i francesi puntano a crescere in uno scenario che sembra pronto a rilanciare la produzione bellica continentale, nell'ambito di un modello di difesa europeo recentemente proposto dall'asse Parigi-Berlino-Bruxelles. Lo scontro con gli anglo-americani a proposito dell'attacco a Saddam, e l'evidente contrapposizione strategica Usa-Ue che quell'attacco sottende, stanno facendo crescere le possibilità della costruzione di un polo militare europeo di una consistenza molto più solida dell'attuale. L'industria militare francese, forte e sviluppata, evidentemente intende giocare un ruolo centrale nella costruzione di questo edificio.

Snecma non ha però un interesse incondizionato a Fiat Avio: valuta l'azienda non più di 1,2 miliardi di euro e non intende pagare molto di più. Inoltre si sente limitata dall'atteggiamento del governo Berlusconi, che vuole affiancarle pariteticamente Finmeccanica, la quale a sua volta chiede di poterle rivendere entro due anni la sua quota, tenendosi magari le attività che giudica di maggiore complementarietà con il proprio business. Nel giro di pochi giorni Snecma affievolisce il proprio interesse per l'acquisto, con grave scorno della sinistra italiana e in particolare dei DS, che esprimono tutto il loro disappunto attraverso l'ex-ministro dell'industria Bersani.

A questo punto rientra in campo il fondo anglo-americano Carlyle, un'importante istituzione finanziaria, espressione diretta della amministrazione Bush e del partito repubblicano al potere. Il gruppo Carlyle è "una lobby politico-finanziaria-petrolifera che vede ai suoi vertici il presidente Frank Carlucci, ex-vice direttore della Cia ed ex-segretario della Difesa, come suo vice James Baker, ex-segretario di Stato sotto George Bush senior, nonché lo stesso George Bush senior, ex-direttore della Cia ed ex-presidente Usa e John Major, ex-Primo Ministro britannico. Carlyle Group ha concorso a fornire alle truppe della coalizione gli armamenti e sarà premiata con contratti per svariati miliardi di dollari per la ricostruzione degli aeroporti e delle aree urbane distrutte dai bombardamenti. Il Gruppo Carlyle gestisce anche le attività finanziarie di un grande gruppo industriale saudita, il Saudi Binladen Group, in un curioso intreccio politico finanziario. Il Saudi Binladen, infatti, ha giocato un ruolo importante nell'aiutare Bush senior, quando era a capo della compagnia petrolifera texana Harken Energy, a ottenere le concessioni per lo sfruttamento del petrolio nel Bahrain; Salem, un fratello di Osama Binladen, sedeva nel cda della Harken" (Alberto Di Gennaro, Borsa e Finanza, 12 aprile 2003).

È chiaro che per questa lobby "pecunia non olet" e gli affari si possono fare sotto tutte le bandiere, ad ogni latitudine. Scatenare una guerra, vendendo armi ad entrambi i contendenti, e farla durare a lungo può essere una delle migliori occasioni di profitto per gente del genere.

Il fondo Carlyle ha da tempo avviato una strategia di stabile penetrazione economica nel Vecchio Continente, stanziando nel 1998 un miliardo di euro attraverso un fondo chiuso (Carlyle Europe Partners) che è stato ormai investito al 90%. Obiettivi di questa prima fase della strategia di investimento sono state una serie di aziende di grandi e medie dimensioni, come ad esempio, il quotidiano francese Le Figaro (poi rivenduto nell'aprile del 2002) o l'italiana Riello (partecipata al 50%), nonché il Fondo immobiliare Europe Real Estate Partners, nel quale sono confluiti i 36 immobili non residenziali ceduti dagli enti previdenziali italiani. Attualmente il fondo Carlyle intende rifinanziarsi con altri 2 miliardi di euro, per puntare a crescere ulteriormente in Europa. Prossima preda potrebbero essere le Seat Pagine Gialle. Fiat Avio rappresenta un obiettivo molto ambito per Carlyle, disponibile a spendere almeno 1,6 miliardi di euro come chiedono gli Agnelli, per costruire un polo europeo della difesa attraverso l'ulteriore acquisizione della divisione MTU di Daimler- Chrysler. In questo modo la lobby americana avrebbe un piede anche nel costituendo polo militare europeo, mentre le commesse del Pentagono rappresenterebbero comunque un ottimo paracadute nel caso il progetto europeo finisse nella spazzatura.

La guerra e le sue conseguenze economiche diventano così una splendida occasione di profitto per chi controlla le scelte strategiche dell'amministrazione in carica. In questo caso, se la lobby Carlyle dovesse ottenere il suo scopo, si raggiungerebbe il caso invero raro di una istituzione finanziaria espressione di un blocco politico- militare al potere, che riesce a giocare un ruolo importante anche nel polo che si avvia a nascere in contrapposizione al precedente. Una lobby globale per guerre globali, con profitti colossali.

Renato Strumia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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