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Da "Umanità Nova" n. 15 del 20 aprile 2003

Il Tao della guerra III
Un controllato caos



Nell'arte della guerra si sa che "per stimolare il caos è necessario possedere un saldo controllo". Quanto sta accadendo a Baghdad - dopo che i marine hanno conquistato il centro della capitale irachena, non senza aver prima bombardato tempestivamente l'hotel Palestine, quartier generale delle truppe mediatiche occidentali - rispetta appieno i principi e i dettami di qualsiasi manuale di strategia militare, e soltanto tiepidi e zuccherini telecronisti di Stato (addolciti, a onor del vero, con dose massicce di uranio impoverito) possono dimostrarsi inorriditi di fronte ai disordini, ai saccheggi, agli incendi di questi ultimi giorni. Tant'è che lo sproposito con il quale utilizzano il termine "anarchia" per descrivere la situazione determinatasi dopo la conquista americana di Baghdad, attesta la loro completa impreparazione nel raccontare ciò che sta accadendo, più che offendere la nostra sensibilità.

Sbugiardati dalle loro stesse immagini, che altresì raccontano in diretta quanto i saccheggi della popolazione non siano altro che l'alibi post-festum di quanto precedentemente già compiuto da "mani amiche", non sembrano accorgersi di essere protagonisti e complici di un copione che ricalca i peggiori film western con tanto di parapiglia nel saloon ad opera dei soliti avventori bari, ladri e ubriachi, in attesa, ovviamente, che le giubbe blu - una volta ristabilito l'ordine - designino lo sceriffo del paese.

Ora che a Baghdad, a Bassora, a Tikrit, a Mosul e nelle altre città irachene regni il caos, più che essere l'inevitabile conseguenza della fine di un regime totalitario repressivo e crudele, dimostra quanto i "liberatori" del popolo iracheno avessero bisogno di queste manifestazioni di "libertà" per nascondere ciò che prima è avvenuto, e per giustificare ciò che dopo succederà. Non a caso il saccheggio e l'incendio della biblioteca nazionale, così come lo scempio compiuto ai danni del museo archeologico di Baghdad sono manifestamente esempi di quanto fosse necessario lasciar mano libera agli iracheni per poterli incolpare ed in seguito incriminare per aver commesso ciò che altrimenti sarebbe stato addebitato all'esercito liberatore. Perché lo sfogo, la rabbia, se non indirizzati, certamente sono stati controllati nel loro attuarsi, tanto è vero che quando alcuni hanno cercato di rapinare qualche banca, immediatamente c'è chi ha ristabilito l'ordine.

Del resto la costante preoccupazione di come potrà presentarsi la situazione geo-politica in questa calda area, dopo che Saddam Hussein sarà dato per morto o scomparso, e dopo che le armi di distruzione di massa saranno state scoperte in qualche luogo e in qualche Stato, appare da subito come la questione centrale del presente conflitto nel Golfo Persico. Infatti l'orda di predoni del deserto che ha "liberato" l'Iraq sotto l'occhio vigile delle telecamere, già da tempo aveva fatto abbeverare i propri cammelli e concordato con l'esercito nemico le condizioni della resa, spartendosi amichevolmente il bottino. Sennonché, non ancora sazia, ora pretende di sfruttare il caos da se stessa organizzato e controllato al fine di ridisegnare il territorio dopo aver fatto comprendere chiaramente il sistema di attribuzione delle ricompense e degli emolumenti. Con buona pace dell'ONU e di chi - camuffandosi dietro la necessità di un immediato intervento umanitario - ora vorrebbe sedersi al tavolo da gioco. Purtroppo il mazzo di carte sono gli americani a tenerlo saldamente in mano, e di morto a tre sette ne basta uno. Indovinate un po' chi?

Benjamin Atman

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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