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Da "Umanità Nova"
n. 16 del 4 maggio 2003
Gran bazar Baghdad
Cow boys, petrolieri, ong sulla torta irachena
Come già accaduto per l'Afganistan (per non parlare del Congo...),
i media hanno già decretato la cessazione delle ostilità
in Iraq, smobilitato i corrispondenti di guerra, riportato i palinsesti
al loro ordine quotidiano. Così dopo poche settimane e dodici anni,
il regime di Saddam Hussein, già storico alleato di ferro della
coalizione alleata che lo ha sorretto e ora defenestrato, è collassato
improvvisamente in men che non si dica, senza ricorrere alla famigerata
e temibilissima Guardia repubblicana, senza utilizzare i quattromila kamikaze
pronti a morire per il jihad islamico a difesa del laico e nazionalista
dittatore iracheno (che tra le sue vittime conta, oltre ai curdi, quegli
sciiti che avrebbero dovuto lanciare la guerra santa a favore del loro
carnefice...), nonché senza far balenare l'ombra minima di un'arma
di distruzione di massa, quasi a preservarla per migliori occasioni che
non la sua rovinosa uscita di scena. Così come nel 1991 l'esercito
era il quarto esercito al mondo, secondo la propaganda americana, oggi
era ulteriormente fiaccata da dodici anni di attacchi militari che facevano
dell'Iraq la nazione più debole possibile per una aggressione ultratecnologicamente
armata.
Ma Saddam è scomparso per sempre? Per morte sotto qualche bomba
ispirata da soffiate dell'ultima ora? Per esilio "concesso" per indurlo
a tacere sulle complicità godute (quali quella dello stesso leader
del Pentagono Rumsfeld, suo amico almeno sino all'epoca di Bush sr.)?
E come si fa a scomparire senza lasciare traccia ai satelliti che ti individuano
nel raggio di quattro metri di errore collaterale? Allo stesso modo con
cui hanno "negoziato" l'utilità di una loro "presenza assente"
bin Laden e il mullah Omar nella prima guerra santa contro il terrorismo?!
Forse oggi il dittatore è più utile alla causa alleata
da "desaparecido", per mantenere viva la tensione in Medio oriente, dove
si moltiplicheranno al contempo i luoghi in cui verrà visto come
ospite non gradito e quindi attaccabile, e con lui il malcapitato ospitante.
Certo, il modo in cui gli alleati hanno tutelato esclusivamente i pozzi
petroliferi con relativo ministero contenente le carte dei dettagli dei
contratti petroliferi, rivela non solo le mira sul petrolio iracheno,
quanto e più opportunamente il reale interesse ricattatorio nei
confronti di chi è veramente dipendente dal prezioso liquido energetico,
ossia Unione europea, Russia, Giappone e Cina.
Il neo-governatore, già noto nel 1991 per aver "protetto" i curdi
dopo la sollevazione abortita all'indomani della sconfitta irachena, si
insedia con una corte di affaristi e lobbysti, senza uno straccio di progetto
amministrativo per il tessuto politico, che più incasinato rimane,
meglio è, sul modello afgano ma senza un leader posticcio da mettere
su un trono ancor più fittizio. Le prospettive di una spaccatura
della società civile, già indebolita da decenni di repressione
e di embargo, si fanno plausibili in quanto il fondamentalismo sciita
è uscito allo scoperto, e ironicamente il rischio di un Khomeyni
locale nel sud del territorio occupato può essere scongiurato perpetuando
il pugno di ferro militare, il che allontana le prospettive di un governo
civile dietro mandato delle Nazioni Unite.
Delle quali prima o poi la sinistra mondiale radicale (non dico ovviamente
quella istituzionale) dovrà cominciare a ragionare facendone tranquillamente
a meno, esattamente come negli anni della guerra fredda, quando era bloccata
dai veti incrociati. Occorrerà risvegliarsi al più presto
dalle illusioni alimentate dallo spiraglio post-berlinese (1989) della
pace perpetua senza governo mondiale istituzionale, ma con concertazione
tra Onu, superpotenze ossequiose del fantasmatico diritto internazionale,
transnazionali avide e opinione pubblica mondiale benedicente (infatti
non si chiama government tale illusione, ma governance... un ibrido insapore
e soprattutto depistante).
Gli oppositori statuali alla guerra si sono riallineati per partecipare
al banchetto delle spoglie del regime, in via di privatizzazione in mani
estere vogliose di rimpinguare i costi dell'avventura militare risanando
una economia in crisi. Al banchetto partecipano pure organizzazioni troppo
governative che per la prima volta mettono piede in Iraq desiderose di
aiutare i propri bilanci umanitari con interventi supportati dai carabinieri
e da scorte armate con tanto di uniforme pacifista. E non sono solo i
noti opportunisti italiani, ma pure gli irreprensibili francesi guidati
dal compagno Chirac e i tetragoni tedeschi che già fanno ammirevole
autocritica. Chissà se cederà pure il compagno Woytila,
visto l'associazionismo cattolico famoso in tutto il mondo per come sa
portare solidarietà umana con tanto di risorse umane targate Caritas,
Focsiv e varie agenzie di varia nazionalità.
La fine della guerra ovviamente non ha risolto alcunché per la
popolazione irachena, che dall'incudine di Saddam si ritrova, tanto per
fare un esempio, sotto il martello di Chalabi e di suo fratello, già
malversatori locali condannati da tribunali giordani per corruzione, un
tempo sodali di Saddam interessati al business petrolifero e bancario,
forse un po' troppo per tornaconto personale senza badare al clan tikrita
del dittatore che teneva una tipica famiglia allargata meridionale. E
che dire della democratizzazione sui generis apportata con mano fraterna
dagli alleati, se non il nome dell'autoproclamatosi sub-comandante di
Baghdad, tale al Zubaydi subito in rotta di collisione con il suo mentore
Chalabi? Effetto di smarcamento per conquistare qualche lobby americana
conscia dell'estraneità degli esuli londinesi assenti dalla patria
da oltre vent'anni? Filiale di una qualche lobby che cerca interlocutori
locali differenziati secondo gli interessi reali da promuovere? Inizio
di una divisione tra vicini ai vincenti che prelude a qualche resa dei
conti, modello balcanico?
Interrogativi retorici, beninteso, la cui risposta i lettori di UN leggeranno
quanto prima nei mass media più informati che terranno le luci
accese sugli appalti, sulla nuova mappa geopolitica del potere, sul destino
dei curdi e degli sciiti, sul dilagare del fondamentalismo islamico nei
paesi arabi (Iraq incluso, secondo il modello israeliano che ha favorito
Hamas e la Jihad locale per indebolire il clan laico pur corrotto Arafat
& soci). Da parte nostra, cercheremo di "stare dietro" ai numerosi
"non-eventi" che si verranno a "non-verificare" nel breve tempo, senza
smarrire il filo conduttore analitico, ossia di una guerra per il dominio
planetario che vede nel tassello mediorientale una prima tappa di sfondamento
militare nei prossimi trent'anni.
Salvo Vaccaro
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