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Da "Umanità Nova" n. 16 del 4 maggio 2003

Licenza di uccidere
La "riforma" dei servizi segreti



"La guerra è pace. La libertà è schiavitù. L'ignoranza è forza."
G. Orwell, 1984

Le ultime notizie apparse sui quotidiani nazionali relative alla nuova proposta di legge, attualmente in discussione al Senato, per conferire al presidente del Consiglio il potere di autorizzare i servizi segreti a compiere operazioni illegali, in vista di più alti e nobili fini cosiddetti istituzionali, diventano occasione per la serie di riflessioni che propongo qui di seguito. Indipendentemente dall'esito che avrà questa ultima, pericolosissima, trovata in fatto di controllo interno - rigidissimo a quanto pare di capire, con possibilità di utilizzo indiscriminato di tutte le sofisticate tecnologie che oggi abbondano nel mercato dell'elettronica a scopo di spionaggio - è opportuno allargare il nostro sguardo al rapporto che da molti decenni ormai esiste tra la cosiddetta attività di intelligence, sia essa rivolta al territorio nazionale o a quelli d'oltre confine, e il sistema generale della produzione che da molto tempo abbiamo convenuto di chiamare capitalismo. Certo, oggi sarebbe meglio dire economia-mondo, ma non è il caso di avventurarsi in farraginose questioni di carattere terminologico, dal momento che, nei tempi presenti, le nostre preoccupazioni vanno indirizzate altrove.

Il ruolo dei servizi segreti nei paesi a sviluppo capitalista come il nostro è evidentemente quello di conservare inalterata la struttura di potere della quale sono una creazione. Con le trasformazioni dell'età industriale, agli inizi del diciannovesimo secolo, cambiano completamente i riferimenti e le strategie del sistema di potere in Occidente e non è strano che si cerchi di potenziare l'attività di uno strumento di coercizione destinato ad assumere un'importanza sempre maggiore.

Quasi da subito i servizi di informazione diventano la metafora oscura di un potere che non ha niente a che vedere con quello, per così dire ufficiale, del governo o dello Stato in quanto istituzione, pur trovando costantemente la copertura di molti dei vertici dell'apparato statale stesso. La costituzione del meccanismo di potere nelle società industriali crea un apparato burocratico formale e visibile da una parte e una struttura di controllo altamente sofisticata e nascosta dall'altra, giustificando sulla carta l'esistenza di questa struttura come necessità inderogabile per la difesa dai nemici esterni.

La realtà è ben diversa: l'economia del capitale, proprio per le spaventose lacerazioni interne che appartengono alla sua stessa evoluzione, è particolarmente attenta alle dinamiche di sviluppo dei conflitti sociali. In una parola, la massa va tenuta d'occhio, soprattutto quando si è consapevoli che i ritmi dell'avanzare della macchina industriale impongono dei livelli complessi di dominio. La guerra è dentro al sistema, alle singole economie, ai singoli territori: i frequenti scambi tra servizi segreti e la sostanziale identità di vedute anche tra Paesi che fino ad un momento prima opponevano sui campi di battaglia quella stessa manodopera che sfruttavano nelle fabbriche, sono singolarmente dimostrativi dell'esistenza di un progetto internazionale che mira alla conservazione di ben precisi rapporti di forze.

La guerra, quindi, non appartiene soltanto formalmente all'idea del conflitto tra eserciti schierati; piuttosto diventa l'elemento chiave per interpretare il sistema di potere nell'Europa contemporanea (e naturalmente nel blocco statunitense, non a caso territorio a fortissimo sviluppo industriale). Il sistema di potere che, inutile nasconderselo, individuava il nemico interno per eccellenza nell'eversione comunista e oggi, caduto il muro di Berlino, identifica il prototipo di tutte le eversioni nel terrorista islamico, ha la inderogabile necessità di servirsi di ogni mezzo possibile per "irreggimentare" la popolazione che vive all'interno di un territorio. Nel linguaggio dello Stato moderno, infatti, che si sostituisce alle vecchie monarchie assolute, compare per la prima volta la figura giuridica del cittadino, e non più del suddito, al quale vengono garantiti dalle nascenti costituzioni diritti che raramente trovano riscontro sul piano sostanziale. L'idea di democrazia nasce proprio in questo contesto storico, economico e culturale per mettere in condizione di pensare ad un mondo libero abitato da persone libere.

È senz'altro la coscienza di questa menzogna di fondo, su cui si articola la società industriale, che giustifica l'approntamento di una rete di sorveglianza occulta ed articolata. I collegamenti tra questa rete ed i potentati industriali sono la dimostrazione evidente di quanto stiamo dicendo. Facciamo un esempio: l'ufficio del Sifar (Servizio informazioni forze armate) denominato Rei (Ricerche economiche e industriali), che ufficialmente, dal 1949, avrebbe dovuto tutelare la sicurezza dei brevetti industriali italiani e sorvegliare i commerci di armi tra le industrie del nostro paese e quelle straniere, raccoglieva tranquillamente finanziamenti "anticomunisti" da questa o quella lobby economica (frequenti furono i rapporti con la Fiat) per poi distribuirli a partiti politici, gruppi e gruppetti il cui scopo era quello di fermare ad ogni costo l'avanzata di qualsiasi movimento che si opponesse alla logica pervasiva del sistema.

I servizi segreti, in questo senso, sono la punta di diamante del modello disciplinare di controllo che si afferma, ovunque, nelle società industriali e che socializza l'individuo alla violenza sin dai primi anni di vita, ritrasmettendo continuamente suggestioni di aggressività e competizione. La mano armata dello Stato giustifica la violenza, o il controllo intrusivo, perché utilizzata contro il deviante, contro chi non si assoggetta comunque.

La pretesa democrazia a cui sottoporre un'intera cultura cela un progetto radicalmente diverso: la riproduzione coatta del sistema economico capitalista e dei rapporti di forza che esso genera nell'intera struttura. Non esiste un luogo, od un momento, nel quale la paziente opera di allarmanti e sfuggevoli personaggi non abbia influenzato il procedere degli avvenimenti più importanti degli ultimi cinquantadue anni. I cardini intorno a cui ruota il pensiero occidentale non hanno mai abbandonato le caratteristiche essenziali di riproduttori del dominio che fa tacere le minoranze.

Nella prospettiva che abbiamo delineato fino a qui, i servizi segreti sono a tutti gli effetti una promanazione diretta del potere economico e politico, inserita strutturalmente nell'apparato statale da cui dipendono. Ma se questo apparato, come abbiamo cercato di dimostrare, nulla ha a che vedere con la forma di "sovranità limitata", chiamiamola così, definita nel secondo dopoguerra, a vario titolo, democrazia, non esiste nemmeno la possibilità di parlare di deviazioni o di attività illegali per ciò che concerne i servizi.

In Italia, i servizi segreti non hanno deviato di un millimetro rispetto alle funzioni per le quali erano stati costituiti. Continuare a celare questa parte così scomoda della storia del paese, non può che apparire un'operazione destinata a coprire la verità. Abbandonate, non senza sollievo da parte delle stesse forze della sinistra istituzionale, le contrapposizioni radicali al sistema dominante e disarticolate le istanze rivoluzionarie di coloro che avevano ben compreso quale sarebbe stato il pericolo da affrontare, ci si rifugia in un riformismo dannoso e privo di soluzioni politiche immediate dietro al quale si nasconde la paura di affrontare i problemi nel loro effettivo spessore.

Concrezione autorizzata di potere, i servizi segreti si sottraggono ancora una volta, in realtà, a qualsiasi sguardo indiscreto, perché tracciarne definitivamente la composizione condurrebbe paradossalmente a inevitabili domande sul significato dell'idea stessa di Stato così come ci è stata spiegata da sempre; sulle ragioni del suo stesso esistere.

Mario Coglitore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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