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Da "Umanità Nova" n. 17 del 11 maggio 2003

Iraq. Transizione infinita



Le truppe di occupazione Usa che sparano sulla folla a Baghdad, Mosul e Falluja, seminando lutti tra la popolazione civile, se da un lato mettono impietosamente a nudo l'essenza etica della democrazia statunitense, dall'altro sono la dimostrazione di quanto sia difficile vincere la "pace" dopo aver vinto una guerra imperialista come quella mossa dall'amministrazione Bush contro l'Iraq.

La stessa creazione di un governo militare temporaneo affidato al discusso generale Jay Garner [1], sul modello di quanto attuato in Germania e Giappone alla fine della seconda guerra mondiale, appare un'opzione estremamente rischiosa. Tale governo, la cui durata potrebbe secondo alcune ammissioni durare anche due anni, dovrebbe infatti teoricamente individuare e insediare un governatore civile provvisorio, in grado di garantire e gestire le elezioni e la formazione di un governo eletto dal popolo iracheno. In altre parole significa che la tanto declamata libertà portata dai tank angloamericani si tradurrà in un periodo di governo militare straniero e in una successiva fase in cui il potere passerà ad un governo fantomatico, ancora sotto le tutela ed il controllo Usa. Le eventuali libere elezioni vedrebbero infine i ricatti e le manovre del governo americano in quanto questo non accetterebbe successivi governi in mano a forze politiche sgradite, quali ad esempio quelle islamiche o i comunisti per decenni ferocemente repressi dal regime di Saddam Hussein.

Così la prima conferenza convocata dal generale Garner per gettare le basi di un governo di transizione, oltre a forti proteste popolari, ha dovuto registrare l'assenza delle più importanti forze politiche - e anche militari - dell'opposizione irachena ossia il Kurdistan Democratic Party di Massoud Balzani, l'Union Patriotic of Kurdistan di Jalal Talabani, la Suprema Assemblea per la Rivoluzione Islamica (SARI), l'organizzazione sciita Appello dell'Islam e neanche l'Iraqi National Congress di Ahmed Chalabi, l'ex-banchiere notoriamente sul libro paga di Washington [2]. Da propria parte il Consiglio Supremo della Rivoluzione Islamica (SCIRI [3]) ha mandato dei semplici osservatori ed il Partito comunista aveva già dichiarato la sua indisponibilità a partecipare ad un governo imposto dagli Usa [4].

La fine del dispotico regime del partito Baath di Saddam Hussein ha infatti riaperto tutte le principali irrisolte questioni che da sempre attraversano l'Iraq e, in particolare, quella curda al nord e quella sciita al sud, con le conseguenti entrate in campo di Turchia, Siria e Iran.

In particolare l'Iran, Stato "canaglia" nel libro nero di Bush, per non correre il rischio di essere il prossimo obiettivo della guerra preventiva contro il terrorismo e per difendere i propri interessi economici nell'area legati alla produzione del greggio è costretto giocoforza a usare la carta della consistente comunità sciita irachena per rendere instabile il dopo-Saddam mettendo in difficoltà gli attuali padroni del campo.[5]

D'altra parte al Sud dove gli sciiti rappresentano circa il 55% dell'intera popolazione irachena [6] (il 20% è sunnita, il resto appartiene ad altre confessioni), le zone che circondano Bassora, sono state teatro da secoli di una continua ribellione contro ogni califfato, che sia stato quello degli omayyadi, oppure quello degli abbasidi, degli ottomani o l'ultimo di Saddam Hussein che nel '91 soffocò nel sangue la rivolta sciita.

Da notare inoltre che, circa una decina di giorni fa, reparti militari iraniani sono penetrati oltre il confine iracheno per attaccare alcune basi dei "Mujaheddin del popolo" nemici del governo di Teheran sotto il fuoco anche dalle truppe americane, ma in un secondo tempo queste ultime hanno concluso un accordo di non belligeranza con i guerriglieri iraniani di sinistra che da anni combattono contro la teocrazia al potere, anche se fino a ieri tale gruppo era considerato dallo stesso governo Usa alla stregua di terroristi.

Ecco così che il governo Usa si sta infilando in un tunnel di crescente militarizzazione e repressione che, come stiamo vedendo, include anche lo sparare sulle manifestazioni di piazza e il primo, emblematico, atto di tale politica è stato quello di far tornare subito in servizio l'odiata polizia del regime appena abbattuto (Il fatto più importante - scriveva Trotzskij - è che ogni poliziotto sa che, se i governi cambiano, la polizia resta) per difendere le banche e debellare la cosiddetta anarchia. E a tal fine il Dipartimento di Stato americano ha deciso di inviare 1.200 poliziotti col compito di addestrare e riorganizzare l'apparato poliziesco irakeno e 4.000 militari specializzati in ordine pubblico.

E se nei centri urbani le truppe Usa non esitano a sparare sugli sciiti dei quartieri più diseredati anche per intimidire il "contropotere" rappresentato dalle forme di autogoverno islamico sorte sotto la guida della "hawsa", l'autorità religiosa; al Nord la questione curda, nonostante illusioni e promesse, sembra tutt'altro che ad una svolta in quanto la realpolitik Usa è pronta a sacrificare e sedare le aspettative di liberazione curde, pur di non aggravare la crisi col governo turco che non è disposto a veder nascere un libero Kurdistan. Quindi per arginare gli oltre 40 mila combattenti curdi, la presenza militare americana si sta trasformando in deterrenza armata nei confronti degli ex-alleati che peraltro controllano ed amministrano autonomamente già intere province.

Il ministro della Difesa Rumsfeld ha dichiarato "Sentiamo di avere un impegno verso l'Iraq e l'Afganistan. Intendiamo rimanere e aiutarli nella transizione verso forme di governo democratiche" [7], ma sia in Iraq che in Afganistan tale intenzione sembra fatalmente destinata a ritorcersi contro i "liberatori".

Con la forza - avverte un vecchio modo di dire - non si fa neppure l'aceto.

Uncle Fester

Note

1 Jay Garner ha alle spalle una carriera nell'esercito; una volta in pensione è divenuto presidente della SkyColeman, un'impresa appaltatrice del ministero della Difesa che ha collaborato con Israele nello sviluppo del suo sistema missilistico Arrow (Informazioni fornite da "The New York Times" riprese su "Liberazione" dell'11 aprile 2003).

2 Ahmad Chalabi, sciita ma laico, ha fondato il CNI a Vienna nel '92 contando su settori sia sciiti che curdi, ma per lo più formato da ex-militari ed ex-agenti dei servizi segreti; poi, dopo aver tentato una disastrosa sollevazione militare nel Nord, nel '97 si è rifugiato in Usa dove ha beneficiato di 100 milioni di dollari stanziati dal presidente Clinton nell'ambito del Liberation Act. Sembra però che solo una parte di questi fondi sia stata utilizzata per la causa anti-Saddam; infatti Chalabi, già condannato per bancarotta fraudolenta in Giordania, è stato accusato di averli utilizzati per il proprio tornaconto (Informazioni tratte da "Limes", n.1/2003). In un'interessante intervista ("la Repubblica", 28.04.03), pur confermando i suoi legami con gli americani, ha affermato senza giri di parole che questi non possono governare l'Iraq e che "devono andarsene il prima possibile".

3 Lo SCIRI, con sede centrale a Teheran, è guidato dal Muhammad Baqir al-Hakim, un religioso allineato ai vertici della Repubblica Islamica iraniana, ed è favore di una soluzione federale ed indipendente.

4 Il Partito comunista iracheno, in clandestinità dal '79, vanta una lunga storia, fondato nel '34 ha avuto per molto tempo un notevole peso nella storia irachena, prima di essere sterminato da Saddam Hussein. Attualmente è presente soprattutto nel Nord, nella zona curda di Saqlawa, dove intrattiene buone relazioni con le formazioni curde (Si veda Calogero Carlo Lo Re, Dies Iraq, Cooper & Castelvecchi, 2003).

5 Secondo informazioni raccolte a Teheran, nella notte tra il 18 e il 19 aprile sarebbero stati infiltrati nel sud dell'Iraq 3 mila pasdaran della brigata Al Badr, il braccio armato dello SCIRI ("Panorama" del 01.05.03).

6 Secondo altre fonti gli sciiti sarebbero il 65 e persino il 70%, comunque in Iraq i mussulmani - sciiti e sunniti assieme - sarebbero il 97% della popolazione. La scissione in seno all'Islam tra sciiti e sunniti risale a dopo la morte di Maometto, quando si scatenò una cruenta lotta politica per la carica di califfo tra il genero di Maometto, `Alì, e il governatore di Siria, conclusasi con l'assassinio del primo. A quel punto si consumò una scissione tra i seguaci di `Alì, gli sciiti, che intendevano riservare la carica califfale ai discendenti di Maometto, e i loro avversari, chiamati sunniti.

7 Articolo su "l'Unità", 28.04.03.

 


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