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Da "Umanità Nova" n. 19 del 25 maggio 2003

Ad Evian contro il G8
Un altro futuro è possibile



Tra una decina di giorni, dal 1 al 3 giugno, si svolgerà ad Evian in Francia la riunione annuale dei G8, i capi dei governi dei paesi più ricchi e potenti della terra, un consesso informale dagli esiti micidiali per le vite di sei miliardi di abitanti del pianeta. Intorno all'evento si addensano le ormai consuete nubi: migliaia di poliziotti in assetto antisommossa, pallottole di gomma, gas urticanti, poliziotti tedeschi chiamati in soccorso dei colleghi svizzeri e francesi, l'esercito pronto ad intervenire... insomma la democrazia nella sua più limpida e nitida espressione!

Sulle rive del lago Lemano, dove la Svizzera si incunea nella Francia, si sta preparando "l'accoglienza" per i contestatori pronti a convergere da ogni dove per ribadire che il mondo ad immagine dei G8 non è il loro mondo, non è il luogo libero e solidale in cui ogni uomo, donna, bambino di questo pianeta vorrebbe e dovrebbe abitare.

La presenza delegittimante del movimento no-global deve essere depotenziata, ridotta ad un problema di ordine pubblico per celare le ragioni di un'opposizione che trova sempre maggior consenso. Un'opposizione che negli ultimi mesi si è sostanziata nel movimento contro la guerra in Iraq, nella lotta contro la privatizzazione dell'acqua, della sanità, della scuola, nel tentativo di inceppare e far fallire il prossimo vertice del WTO - l'Organizzazione Mondiale del Commercio - in programma a Cancun nel prossimo settembre.

L'appuntamento di Evian assume una particolare importanza perché rappresenta anche l'occasione per verificare la tenuta del movimento dopo mesi e mesi di presenza di piazza contro l'avventura bellica della gang Bush tra il Tigri e l'Eufrate. Proprio in questi giorni dall'Arabia Saudita al Marocco ad Israele gli echi terribili del terrorismo suicida mostrano i frutti avvelenati della guerra planetaria di Bush, che, ben lungi dal fermare i terroristi, essendo essa stessa il peggiore dei terrorismi, non fa che moltiplicare all'infinito i massacri, l'orrore, la scia di morte. La guerra in questo primo scorcio di secolo, ben lungi dal palesarsi come accidente temporaneo, diviene elemento costante del nostro panorama, mezzo per ridisegnare con la forza l'ordine del mondo disciplinando i riottosi sia sul piano esterno che su quello interno.

Nonostante l'opposizione di milioni e milioni di persone la macchina bellica è andata avanti sino al suo esito finale: il monopolio della forza pare oggi poter fare a meno del consenso dei sudditi, persino di quelli che abitano nel nord ricco e potente. Appare chiaro che la spinta etica, prima ancora che politica, che ha animato i pacifisti è stata del tutto insufficiente ad inceppare i meccanismi feroci della guerra, del militarismo, del capitalismo.

Le componenti libertarie ed anticapitaliste del movimento no-global hanno sempre sostenuto che lo stato ed il capitalismo sono irriformabili, che non vi sono ricette che consentano un "addolcimento" dei meccanismi di sfruttamento, dominazione, spoliazione del pianeta e dei suoi abitanti che vanno sotto il nome di democrazia e libero mercato. Le possibilità di crescita e sviluppo del movimento dipendono dalla capacità di sviluppare una critica ed una prassi radicali capaci di risostanziare "l'altro mondo possibile" che auspichiamo. Per far ciò occorre fuggire la tentazione di ridursi a mero movimento di opinione, anima bella di una sinistra istituzionale che ha perso per strada persino l'attitudine riformista.

Sappiamo bene che gettare sabbia nel loro motore è innanzitutto opera quotidiana, capillare di radicalità e radicamento nei nostri territori ma sappiamo anche che i grandi appuntamenti hanno un grande valore simbolico perché mettono a nudo il re ed i suoi servi. Anche in questo giugno i potenti della terra si riuniranno circondati da uomini in armi e barriere di ferro: le palizzate dorate che li circondano sono il segno simbolico e reale che ben mette in luce l'iniquità di questi 8 criminali.

Sappiamo bene che la loro libertà è servitù, che la loro libertà è sfruttamento selvaggio, che la loro libertà è guerra e morte. Nel mondo che vogliamo non c'è posto per loro. Un altro futuro è possibile.

Mortisia

 

 

 


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