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Da "Umanità Nova"
n. 19 del 25 maggio 2003
Dibattito referendum 5:
Lotta o delega?
Di fronte al crescente dibattito emerso sul referendum per l'estensione
dell'articolo 18, riteniamo necessario riflettere sulla possibilità
di utilizzo di questo mezzo da parte degli anarchici. Non consideriamo
infatti il referendum uno strumento di democrazia diretta, ma un abile
raggiro da parte del potere per darsi una veste di partecipazione. I meccanismi
del suo funzionamento sono ben lungi dall'esser libertari. Il referendum
presuppone una scelta impositiva univoca, che non lascia spazio alla convivenza
e sperimentazione di soluzioni diversificate. Inoltre coinvolge anche
soggetti esterni e non toccati in prima persona dal problema. Ma non sono
solo motivi di ordine teorico ad alimentare il nostro rifiuto di questo
mezzo, esso infatti si rivela anche del tutto inefficace da un punto di
vista pratico. Il referendum non è un reale strumento decisionale
ma lascia un vuoto legislativo che successivamente lo stato riempie o
aggira. Anche una eventuale (seppur improbabile) vittoria su questo fronte
non impedisce allo stato e al potere padronale di inserire forme lavorative
non soggette ai vincoli posti in questo modo (vedi interinale, co.co.co,
etc...). Solo per citare un esempio, il referendum che vinse contro il
finanziamento pubblico ai partiti non provocò certo la fine dell'afflusso
di denaro pubblico nelle tasche dei politici, ma dapprima una modifica
delle norme di elargizione attraverso il 4 per 1000 delle tasse, per divenire
successivamente una semplice modifica nominale come rimborso delle spese
elettorali. La strada referendaria si rivela dunque essere una mera illusione
sulla reale detenzione del potere, facendo credere alla gente di contare
quando si tratta invece di una semplice concessione dall'alto che può
essere disattesa in qualunque momento. Di più, non solo è
inefficace dal punto di vista dei risultati, ma diventa duplice sconfitta:
da una parte infatti inganna su quali siano i reali meccanismi del potere
democratico, e dall'altra rilegittima l'istituzione statale. Per i motivi
sopra esposti non ci sembra proponibile una partecipazione degli anarchici
alla campagna referendaria. Questo non significa non dare un valore positivo
alle varie lotte dei lavoratori in difesa degli attacchi padronali ed
alle conquiste parziali che si possono riuscire ad ottenere, ma queste
non devono essere pagate con la statalizzazione e istituzionalizzazione
del movimento operaio. Questo significherebbe infatti un netto arretramento
della coscienza rivoluzionaria. La lotta non deve incentrarsi solo sui
fini pratici ma soprattutto sui mezzi, affinché siano adeguati
alla presa di coscienza dei soggetti coinvolti e alla fiducia nelle loro
reali capacità di autodeterminazione. Solo la pratica dell'azione
diretta e dell'autogestione sviluppano una crescente consapevolezza di
quali siano le proprie forze, svelando la non necessità di ogni
tutela e direzione burocratica e statale, condizione necessaria per una
radicale trasformazione dell'esistente in senso libertario. Al contrario,
lo strumento referendario, a prescindere dagli esiti della consultazione,
riporta il terreno dello scontro sociale sul piano istituzionale rafforzando
i meccanismi di consenso al dominio e allo sfruttamento. Come gli anarchici
hanno da sempre sostenuto, la coerenza fra i mezzi e i fini è la
sola strada percorribile: alla libertà si giunge solamente attraverso
la libertà, non certo con percorsi istituzionali. L'attività
degli anarchici nei movimenti sociali deve spingere in questa direzione.
Dare priorità ai fini parziali a scapito di mezzi coerenti, come
paiono fare i compagni referendari, non fa che ridurre l'azione degli
anarchici da attività rivoluzionaria a mera azione di volontariato.
Fabio Ascheri, Davide Balliano, Giovanni Base, Marco Chieppa, Aldo Greco,
Michele Lumine, Maria Matteo, Claudia Mauro, Donato Mauro, Emilio Penna
(aderenti alla Federazione Anarchica Torinese - FAI)
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