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Da "Umanità Nova" n. 19 del 25 maggio 2003

Dibattito referendum 6:
Tertium non datur



Il dibattito sul referendum per l'estensione dell'articolo 18 sta ghermendo oramai, in ambito anarchico, tutta la sua prominente dialettica, ma non riesce a trovare in alcun modo un terreno possibile di sintesi nei suoi aspetti di esito, o finali, che dir si voglia.

Leggendo qua e là articoli, testi di volantini, comunicazioni e dichiarazioni a titolo individuale, ciò che emerge in maniera chiara è che più o meno tutti i commenti, sia quelli favorevoli al voto che quelli contrari, hanno lo stesso impianto di analisi:

Il referendum è uno strumento populistico che consente ai padroni ed agli sfruttati di avere un egual peso su questioni che toccano le tasche dei primi e la pelle dei secondi.

Il referendum sposta sul piano istituzionale battaglie sociali che colà dovrebbero rimanere e che potrebbero imporre dei cambiamenti soltanto grazie a favorevoli rapporti conflittuali e di forza.

Il referendum è stato utilizzato in senso politicistico soprattutto da Rifondazione Comunista per riposizionarsi nell'arco delle forze istituzionali di sinistra.

E questo per quanto attiene al referendum ed al quesito in sé.

A tal punto entrano nel merito valutazioni divergenti sul "che fare" e queste valutazioni toccano, ora, gli impianti ideologici e culturali dell'anarchismo.

Gli anti-voto ricordano che:

Gi anarchici esprimono sempre la coerenza tra mezzi e fini e quindi non possono usare mezzi e strumenti, come il voto, in aperta contraddizione con un'ipotetica società anarchica non delegata.

Il referendum viene imposto e pertanto, nella sua autoritatività, è da rifiutare.

Il referendum parte sconfitto ed arriverà sconfitto e non potranno essere gli anarchici ad avvallare tale ipotesi che si ritorcerà contro i lavoratori stessi.

Il referendum delega gli apparati Istituzionali a modificare, tramite codici e procedure burocratiche un articolo di legge e quindi sposta nuovamente sul piano Statuale la variazione di un contenuto di classe.

I pro-voto affermano invece:

Gli anarchici non sempre esprimono una coerenza tra mezzi e fini, ma tendono il più possibile a realizzarla, e questo fa parte delle contraddizioni implicite al fatto che vivono in una società capitalistica, che sono un'esigua minoranza e che sono esseri umani.

Il referendum è imposto, come del resto il 100% delle politiche che ci troviamo a sopportare, ma è anche vero che nelle urne non ci sarà Rifondazione comunista contro il resto del mondo, ma un diritto estensibile a più persone contro la continua erosione di garanzie sociali.

Il referendum parte sconfitto ed arriverà sconfitto, ma una brutta o pessima sconfitta porterà altresì una pesantissima ritorsione contro i lavoratori, mentre una sconfitta dignitosa ridarà fiducia, forse solo quantitativa, ai possibili sviluppi di un movimento sindacale radicale.

Che sia in difesa di un articolo o la promozione di un'ipotesi legislativa si tratta sempre di delega, ma come molti anarchici sanno il terreno sindacale è anche un terreno di lotta riformistico e quindi minimale, ma non per questo meno importante per le finalità della loro causa. Il problema vero è quello di non fermarsi a quel piano e su quel terreno.

Vi è una questione, infine, che viene contrapposta artificiosamente dai sostenitori del non-voto e che sarebbe quella che questo referendum si opporrebbe al risorgere della conflittualità sociale dal basso e che incanalerebbe potenzialità rivoluzionarie in un ambito esclusivamente riformistico.

Di conflittualità sociale e dal basso, tranne che in alcune occasioni, negli ultimi anni se ne è vista ben poca, e non certo perché sia stato proposta una qualsivoglia istituzionalizzazione delle lotte, ma perché gran parte del movimento operaio è inquadrato all'interno di organizzazioni concertative, quando non ancora co-gestionarie e ciò accade non perché le dirigenze del movimento sindacale istituzionale siano cattive o farabutte, ma per una concomitanza di cause storiche, sociali, culturali, politiche... Le classi subalterne possono esprimere, da sole (in sé direbbe qualcuno), tutto l'arco politico esistente e percettibile: possono partire dal dadaismo situazionista, passando per l'anarchismo, per approdare alla socialdemocrazia, al democraticismo, al forzaitaliotismo... al qualunquismo e finire su lidi autoritari e neofascisti. Né potenzialità né velleità rivoluzionarie sono state espresse negli ultimi tempi (20 anni?) da alcuno, ma, purtroppo, ci troviamo ancora uno, due, dieci passi indietro, ovvero siamo lontanissimi anche e soltanto da ipotesi dignitosamente riformistiche.

Per concludere credo che in questa occasione non ci sia una terza possibilità, terzium non datur, ovvero la propaganda per l'astensionismo, primo, perché non verrebbe compresa da alcuno di coloro con i quali siamo interessati a dialogare e, secondo, perché, semplicemente, lavorerebbe per i padroni.

Pietro Stara

 

 

 


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