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Da "Umanità Nova"
n. 20 del 1 giugno 2003
Pouvoir assassin!
Potere assassino!
Sopravvissuti al terremoto che ha distrutto la città, gli abitanti
di Boumerdes, in Algeria, accolgono Bouteflika, il "loro" presidente.
Calci, spintoni, insulti, e i sassi che volano fitti nell'aria. Il primo
cittadino fugge sconcertato e impaurito, la macchina sgomma protetta dall'immancabile
scorta di cani di guardia, ma un grido lo insegue, ossessivo, fin nelle
stanze del palazzo presidenziale: "Pouvoir assassin, potere assassino".
Un momento di "critica anarchica" prende forma, spontaneamente e lucidamente,
fra le vittime di un drammatico evento naturale che la rapacità
di un potere criminale ha trasformato in tragedia.
In altre città, più o meno alla stessa latitudine, altri
palazzi, altre case, altri luoghi di ritrovo crollano, trascinando nella
distruzione centinaia di persone. A Riad, a Casablanca, ad Afula si ripresentano
le scene di morte che avevamo appena visto a Bagdhad, a Bassora, a Mossul
e Kabul. Giovani, giovanissimi mandati al martirio, inconsapevoli e ingenui
strumenti di un potere, religioso o laico che sia, altrettanto assassino
di quello che credono di combattere. Se nulla giustifica i bombardamenti
americani o i carrarmati israeliani nelle città palestinesi, ugualmente
nulla può rendere ragione di chi imbottisce di tritolo e superstizione
i corpi e le menti di giovani, strumentalizzandone il generoso e rabbioso
bisogno di ribellarsi all'ingiustizia. Sono poteri che si combattono per
la conquista del petrolio, per occupare nuovi territori, per stabilire
un'egemonia sulle masse arabe, per riaffermare gli aspetti più
retrivi dell'islam. E per mille altri motivi, se possibile ancora meno
nobili. Sono poteri differenti unicamente nella effettiva capacità
di offesa, non nella qualità. È solo una questione di quantità,
e il cinismo delle loro realpolitik si riflette, con identica crudeltà,
nei loro atti, nelle loro azioni. Il disprezzo per la vita dei nemici
è lo stesso che hanno per quella dei loro "soldati".
Bassem al Takrouri ha 18 anni e una faccia buona da ragazzino. Travestito
da ebreo ortodosso fa morire con sé sette passeggeri di un bus
di Gerusalemme. Hiba, 19 anni, una bella ragazza dal viso dolce. Alla
sua morte accompagna quella di tre ebrei "soltanto". Gli attentatori suicidi
di Casablanca sono cresciuti insieme nello stesso quartiere. Insieme hanno
deciso di morire, come se giocassero ancora da ragazzini. Dei "martiri"
di Riad sappiamo ben poco, ma non è azzardato immaginare storie
di vita parallele. E ascoltando le parole dei genitori di questi giovani,
scopriamo che ormai una intera generazione non esclude di mettere in conto,
prima o poi, una scelta analoga. La disperazione di un popolo, di tanti
popoli, diventa merce di scambio da contrattare sul mercato del terrore,
malleabile massa di manovra da contrapporre alle pedine degli strateghi
di Washington e dell'occidente. La capacità di mobilitare uno,
due, cento "martiri", e il posto è assicurato al tavolo delle trattative
e in tutte le road maps di questo mondo.
Il gioco si fa sempre più pesante, gli interessi in campo saranno
le strategie dei prossimi decenni, il cinismo del potere, "compassionevole"
negli Usa, "fanatico" nel mondo mussulmano, "freddo e glaciale" nei palazzi
del Fondo Monetario, si confronta senza esclusioni di colpi. E, più
di prima, ovviamente, senza umanità. L'Iraq terra bruciata dove
ancora mancano acqua ed elettricità (ma chi più ne parla?),
il Caucaso ormai terra di nessuno, l'Afganistan rigettato nel caos delle
fazioni, l'Argentina e l'Uruguay ridotte alla fame, l'Africa centrale
in piena guerra civile, il colosso cinese messo in ginocchio da una banalissima
influenza, il confronto nucleare fra India e Pakistan, alcuni paesi costantemente
sotto lo schiaffo dell'unica superprepotenza rimasta, sono, queste, solo
alcune delle contingenze dei nostri giorni. Che fanno dimenticare quelle
degli anni passati. Che fanno presagire le prossime.
E ovunque, fra i popoli, la difficoltà, se non l'impossibilità
di capire dov'è il nemico vero, come poterlo combattere, come poterlo
colpire. Ovunque il potere, che sia democratico, dittatoriale, legittimo,
oligarchico, golpista, teocratico, rivoluzionario, già consolidato
o ancora per strada, forte o traballante, odiato o amato, deve nascondere
ai sudditi la sua natura e la sua funzione. I centri di comando economici,
politici e militari, consapevoli della "caducità dei beni terreni",
presentano ogni giorno, sugli imparziali mezzi d'informazione, la loro
brava lista della serva nella quale elencano i mille nemici che minacciano
la tranquillità e il benessere dei cittadini. Ed è impressionante
la coincidenza di vedute che riescono ad esprimere.
E allora altrettanta, se non maggiore, deve essere la coincidenza di
vedute fra chi, ad ogni latitudine, vive sulla sua pelle l'oppressione
del potere. La capacità di comprendere che il primo nemico è
lo stato, che il primo attentato alla propria tranquillità e al
proprio benessere è quello portato da chi detiene le leve del comando.
E comprendere che l'interesse dei popoli, di tutti i popoli, liberati
dal servaggio del profitto e dello sfruttamento ineguale delle risorse,
è di vivere in pace, e in piena solidarietà, con il proprio
vicino. Che le razze sono una invenzione di biologi impazziti, che le
religioni sono il surrogato delle nostre insicurezze, che le patrie sono
solo strumento di odio e divisione. Che i veri conflitti sono con chi
ci impedisce di liberare le nostre vite, di esprimere la nostra umanità.
E che il potere, come hanno gridato gli abitanti di Boumerdes, è
un "pouvoir assassin".
Massimo Ortalli
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