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Da "Umanità Nova"
n. 21 del 8 giugno 2003
Il cinismo dei potenti
Iraq: le armi che non c'erano
Non è che avessimo bisogno della conferma. Nessuno, dotato di un
minimo di capacità critica, aveva potuto pensare che l'inferno
scatenatosi sull'Iraq poggiasse davvero sul lodevole proposito di salvare
il mondo dalle terribili armi chimiche di Saddam. E pertanto, che quello
fosse un pretesto, tanto più credibile e accettabile quanto più
strumentale, fu chiaro fin dall'inizio del balletto delle ispezioni Onu.
E dove avrebbe portato lo si era capito, purtroppo, subito. Quello che
fa pensare, piuttosto, è la spudoratezza con la quale, oggi, ci
informano che avevano scherzato e che i loro obiettivi erano altri.
Sono di questi giorni, infatti, le dichiarazioni di alcuni degli esponenti
più in vista della amministrazione statunitense, Donald Rumsfeld
e Paul Wolfowitz, sui retroscena dell'invasione dell'Iraq. Dalle quali
si ricava, con buona pace dei petulanti esaltati a stelle e strisce anche
di casa nostra, che all'America delle armi chimiche di Saddam non gliene
interessava un fico secco e che "se abbiamo insistito sul tema delle armi
proibite di Saddam è stato per ragioni burocratiche. Quello era
il solo argomento su cui tutti potevano essere d'accordo con noi. Uno
dei nostri obiettivi era ridurre il peso della nostra presenza in Arabia
Saudita".
La ruvida schiettezza di queste affermazioni, tanto più ruvida
se si pensa che vengono da esponenti dell'ala più estremistica
e rapace del governo americano e nel pieno delle trattative israelo-palestinesi,
deve avere, evidentemente, precise finalità. Non essendo, noi,
dei fini politologi, probabilmente non saremo in grado di coglierne tutte
le sfumature, però alcune cose ci sembrano abbastanza chiare. E,
prima fra tutte, che non si tratta affatto di un lapsus o di voce dal
sen sfuggita, quanto di un preciso avvertimento ad amici e nemici.
L'amico inglese, se mai intendesse dimostrare un po' di autonomia, è
avvertito che la sua malafede e sudditanza possono essere dimostrate in
qualsiasi momento. E infatti l'umiliante imbarazzo di doggie Blair,
svillaneggiato in patria dai suoi stessi compagni di partito, ne è
la prova. L'amico israeliano e il "nemico" palestinese sono avvertiti
di fare i bravi e di percorrere buoni buoni quella road decisa
altrove, perché se non trovano un'intesa che garantisca un po'
di tranquillità nella regione, a portare la "pace" ci penseranno
i marine. L'amico-nemico europeo è avvisato che può blaterare,
litigare, spaccarsi, ricomporsi, creare assi trasversali e longitudinali,
insomma, fare il cavolo che gli pare, ma alla fine il vero mazziere del
gioco è oltre l'atlantico. I nemici dell'asse del male, devono
sapere che il loro turno è vicino e non ci sarà certo bisogno
di inventare chissà che cosa per dar loro la strigliata che si
meritano. Le altre nazioni, le altre ex o future potenze (amiche o nemiche
per il momento non ha importanza) sono avvertite che le regole della buona
creanza, o della deterrenza, come si diceva una volta, sono tutte da riscrivere
e con un inchiostro molto velenoso.
Insomma, quello che è stato trasmesso è un vero e proprio
trattato di arroganza diplomatica, di realpolitik aggressiva e
sfacciata, intesa a ribadire che il padrone, si dica quel che si vuole,
è uno soltanto. Più che mai.
Ma questo messaggio, se così vogliamo chiamarlo, non riguarda
solo le lobby, i governi, gli stati e le nazioni, le istituzioni tutte,
insomma. Bensì, con altrettanta se non con maggiore evidenza, quell'altra
grande "istituzione", non istituzionale ma ugualmente importante, che
è chiamata opinione pubblica. E in particolare quella americana,
l'unica che veramente interessi all'establishment statunitense.
E, dato che la ruvidezza di cui si diceva prima non può annidarsi
soltanto in quella foresta di peli che copre lo stomaco (e i cuori) delle
menti migliori della generazione Bush, non resta che pensare che le affermazioni
degli avvoltoi di Washington hanno voluto essere, né più
né meno, un saggio di prova studiato a tavolino, per misurare le
capacità digestive della gente. Prima ti racconto una balla, credibile
e terrorizzante, poi tu mi dai il consenso per fare gli interessi miei
e dei miei amici senza più temere i tuoi sussulti "umanitari" e
alla fine ti posso anche raccontare la storia come è veramente.
Se non succede niente (e non succede niente) stai pur tranquillo che lo
rifaccio.
Si parla, spesso, di cinismo del potere. E sempre a proposito. Nascosti
dietro queste menzogne, dietro queste miserevoli sceneggiate, non ci sono
solo i conflitti di interessi economici e politici che agitano le acque
del capitalismo mondiale. Se così fosse, non ci sarebbe da spenderci
nemmeno un minuto della nostra vita. Dietro queste menzogne, quelle di
oggi, quelle di ieri, quelle di sempre, ci sono le tragedie che colpiscono
gli innocenti, le eterne vittime del potere. Oggi l'Iraq è poco
meno che un cumulo di rovine in balia dei rapaci interessi delle oligarchie,
vecchie e nuove, che se ne contendono il possesso. Un territorio devastato
e irreversibilmente inquinato da tonnellate di uranio, dove la popolazione
deve ancora combattere per l'acqua potabile, per l'elettricità,
per un tetto. Un altro dei tanti paesi distrutti dalla guerra. Però
sono (e siamo) stati salvati dalle armi di distruzione di massa. E se
poi non c'erano, cosa cambia?
Massimo Ortalli
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