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Da "Umanità Nova" n. 22 del 15 giugno 2003

Il pacchetto della vergogna
Job on call, staff leasing, mission: la nuova servitù salariata



Nella storia non c'è stato spesso niente di meglio, per dare prestigio esteriore alle peggiori porcherie, che intitolarle a qualche santo o martire.

Stiamo parlando appunto dell'ultimo decreto, il cosiddetto "Pacchetto Biagi", in aggiunta all'omonima legge delega, che il consiglio dei ministri ha approvato in perfetta linea con la filosofia del suo premier, che nel frattempo gira per l'Europa a lamentarsi che in Italia si sciopera troppo e sarebbe dunque giunto il momento di darci un taglio, poffarbacco.

Se le esternazioni del capo del Governo si avvicinano sempre di più a quelle che all'epoca veicolava non la tele, ma la "flogosi verbifera del Truce" di gaddiana memoria, i gesti del suo Gabinetto (è il caso di chiamarlo così) non sono da meno.

C'è veramente di che incazzarsi nello scorrere la lista dei principali provvedimenti, presentati con eleganti perifrasi in inglese perché nella nostra lingua termini come "caporalato", "servitù" o "paternalismo" stonano un po'. Nel festival delle parole nuove registriamo la prematura scomparsa dei cococò, sostituiti dal "lavoro a missione" (o "mission" che suona meglio): tali contratti non avranno più neppure un termine di scadenza temporale, ma semplicemente si estingueranno una volta portato a termine il lavoro.

Scompaiono anche i contratti di formazione lavoro, in compenso quelli di apprendistato formativo potranno accompagnare sotto la loro ala protettrice perfino maturi ventinovenni (caspita ci devono essere dei lavori molto difficili nella new economy se ci vogliono così tanti anni per impararli).

Ma quelli che più fanno rabbrividire sono termini come "job on call": questa nuova formula sarà contraddistinta dalla "discontinuità" e dall'"intermittenza" della prestazione, e secondo il Sole 24 Ore il vantaggio (!) per i lavoratori sarà la "massima flessibilità di orario e di gestione del lavoro" (!!!), a riprova che l'espressione "tenere la faccia come il culo" avrà pure una radice etimologica.

Già, non avremo troppi problemi a legarci mani e piedi ad un unico padrone, visto che con lo "staff leasing" potremo averne quanti ci pare: si legalizzano a tutti i livelli l'affitto, la vendita e l'intermediazione di manodopera, moltiplicando tipologia e competenze delle agenzie interinali (più o meno come gli schiavi nell'antichità, loro però erano forse un po' più garantiti).

Suonerebbe come una comica, se non rischiasse di diventare una tragica realtà, il "job sharing", il lavoro diviso fra due persone (magari a sua volta precario, part-time o a missione), che avranno l'invidiabile privilegio di poterselo spartire come credono.

Si potrebbe continuare a lungo parlando della flessibilizzazione del part-time, della privatizzazione del collocamento , dei "voucher" per ora di lavoro, ma basta citare ancora il Sole, che presenta il "lavoro occasionale" come "un'opportunità offerta alle aziende, ma soprattutto alle famiglie", per far fare lavoretti ogni tanto a "disoccupati, studenti, casalinghe o disabili...", e bisogna fermarsi perché viene veramente il vomito.

Le reazioni delle opposizioni e delle parti sociali? Cisl e Uil si sono affrettate ad esibire scodinzolate dialoganti, visto che nella gestione del collocamento privato, delle commissioni di arbitrato eccetera c'è qualche briciolina di soldi e potere anche per i sindacati; si attende la prevedibile pantomima della Cgil, che da quando non c'è più un governo amico non scodinzola, ma abbaia e ringhia, salvo poi calmarsi se intravede qualcuna delle suddette briciole.

E fra gli amici loro non possiamo non citare il diessino Salvi, che se la prende perché questa legge "introduce nuove massicce dosi di precariato in una situazione nella quale già il precariato, l'insicurezza, i licenziamenti, sono largamente diffusi": certo! Grazie in primo luogo al passato governo di centro-sinistra che ha incentivato per primo tutto ciò con pacchetto Treu e dintorni. E non parliamo di taglio delle pensioni e dei servizi di welfare, perché l'apposito ministro Maroni qui ha ancora molto da imparare dai suoi "rossi" predecessori.

Per quanto riguarda noi, fieri avversari di ogni governo e di ogni passaggio politico dello scontro di classe, è chiaro che sarà nostro compito restare nelle lotte sociali, chiedendo lo sciopero generale e continuando il nostro impegno per attivare una prospettiva anarcosindacalista nei movimenti, nei conflitti e nella società.

Non resta che lottare ancora, come abbiamo fatto e facciamo, nelle piazze, nelle strade e nei posti di lavoro, per riprenderci con l'azione diretta quello che i padroni e i burocrati pensano di averci tolto.

F.F.

 

 

 

 

 

 

 

 


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