|
Da "Umanità Nova"
n. 22 del 15 giugno 2003
La lotta è fuorilegge
Alitalia e Sea: contro le norme antisciopero
La vicenda che ha visto protagonisti gli assistenti di volo dell'Alitalia,
datisi malati in blocco (oltre 1.500 lavoratori su 5.000 hanno marcato
visita contemporaneamente) per protestare contro il progetto di taglio
del personale di bordo che l'azienda vuole imporre per "ridurre i costi
di fronte alla crisi del trasporto aereo", ha fatto esplodere le contraddizioni
del sistema che regolamenta lo sciopero nei servizi pubblici essenziali,
tra cui i trasporti.
L'anomala forma di protesta del fine settimana 31 maggio - 2 giugno,
era stata preceduta il 14 maggio da uno sciopero spontaneo del personale
della Sea, la società che gestisce gli aeroporti milanesi di Malpensa
e Linate.
Come è noto, in base alla legge 146/90 (governo D'Alema), gli
scioperi nei servizi pubblici essenziali sono sottoposti a lacci e lacciuoli,
costituiti da obblighi di ampio preavviso; non sovrapponibilità
tra proteste in settori diversi (ad esempio trasporto aereo e ferroviario);
necessità di distanziare gli scioperi con congrui lassi di tempo;
procedure di conciliazione e raffreddamento; obbligo di garantire i "servizi
essenziali"; minacce di precettazione; sanzioni pecuniarie per lavoratori
e organizzazioni sindacali che scioperino comunque in violazione delle
procedure imposte dalla legge; il tutto sotto il controllo di una "commissione
di garanzia" di "esperti" nominati dai presidenti di Camera e Senato.
Nei due casi sopra ricordati (assistenti di volo Alitalia e lavoratori
Sea) siamo di fronte all'aggiramento (caso Alitalia) e alla cosciente
violazione (caso Sea) dei vincoli legali al diritto di sciopero. Il problema
sta proprio nel fatto che lo sciopero, per essere forma di lotta efficace,
deve far male all'avversario e i vincoli della legge 146/90 sono proprio
tesi ad evitare questo. Oggi come oggi, lo sciopero nei servizi pubblici
essenziali (il cui ambito non è affatto limitato: trasporti, sanità,
scuola, previdenza e assistenza sociale, ecc.) è in gran parte
depotenziato.
L'alternativa è quindi aggirare o prendere di petto il problema,
ma comunque il nodo sta nella compressione del diritto di sciopero e nell'attacco
ai diritti del lavoro che imprese e governo continuano senza tregua a
portare avanti. Infatti, le vicende del trasporto aereo di cui parliamo
nascono in un settore in cui da un lato (Alitalia) si affronta una crisi
economica con la solita ricetta dei tagli sul personale; dall'altro (Sea)
abbiamo la disdetta unilaterale da parte dell'azienda di tutti gli accordi
integrativi aziendali. Il settore è poi da tempo al centro di continui
scorpori, terziarizzazioni, ricambio di manodopera garantita con lavoratori
precari. Insomma, la solita storia di massimizzazione dei profitti e compressione
di diritti e salario in nome della "crisi" e della conseguente necessità
di "flessibilizzare" il lavoro per affrontare il "mercato globale". L'ipocrisia
che sta dietro questa ricostruzione del conflitto capitale/lavoro, occultato
dietro la categoria della "emergenza", è per noi chiara. Interessante
è vedere come si stiano sviluppando risposte diverse tra i lavoratori.
L'aggiramento dei vincoli al diritto di sciopero attraverso la "morbilità
di massa" è certo un modo anche per denunciare l'imbastardimento
dei rapporti capitale/lavoro cagionato da una legge antisciopero che rende
la lotta di classe "virtuale". Di fatto, la lotta non è condotta
attraverso lo strumento dello sciopero, perché questo è
stato depotenziato e snervato con l'avallo dei sindacati di stato. Si
ricorre a strumenti di lotta atipici per aggirare il divieto di fatto
di usare lo strumento tipico. In questo modo, però, potrebbe essere
anche obliato il nodo politico-sindacale della compressione del diritto
di sciopero, che invece, crediamo, vada posto. Nelle lotte dei lavoratori
è giocoforza scontrarsi con "la legge", violando delle norme (si
pensi ai blocchi stradali o ferroviari o all'occupazione di stabilimenti)
per attirare l'attenzione sulla lotta e inasprirla. La riappropriazione
del diritto di sciopero (come di tutti i diritti) passa attraverso il
loro esercizio diretto, non crediamo attraverso l'aggiramento delle norme
o le battaglie giudiziarie. Quelle, al limite, verranno dopo, quando verrà
la reazione sanzionatoria (disciplinare e pecuniaria). Guardando proprio
queste sanzioni, previste dalla legge 146/90 (non è certo previsto
il licenziamento per aver partecipato ad uno sciopero "illegale"), ci
chiediamo quale reale deterrenza possano avere nei confronti di lavoratori
uniti e organizzati, adeguatamente supportati da una cassa di resistenza.
A meno che si aspetti una riforma per via parlamentare di qualsiasi legge
peggiorativa delle condizioni dei lavoratori (e negli ultimi anni ne abbiamo
viste tante, quasi tutte avallate dai sindacati di stato), l'alternativa,
come sempre, per i salariati sono l'autorganizzazione e la lotta diretta.
Simone Bisacca
|
|
|
 |
|
Redazione fat@inrete.it Web uenne@ecn.org Amministrazione
t.antonelli@tin.it
|