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Da "Umanità Nova" n. 22 del 15 giugno 2003

Francia. Attacco alle pensioni



n questi mesi si è sviluppato in Francia un vasto movimento sociale di opposizione alle scelte del governo Raffarin in materia di pensioni. L'attacco alle pensioni è oggi una questione di rilevanza continentale ed investe o sta per investire tutta l'Europa. In merito vi proponiamo un pezzo tratto dal settimanale della Federazione Anarchica Francofona, Le Monde Libertaire.

Diciamolo chiaramente: per rispondere alle richieste del FMI, i governi europei vogliono non solo l'aumento dell'età del pensionamento ma soprattutto l'introduzione dei fondi pensione. Ne discuteranno durante i loro prossimi vertici con l'obiettivo di mettere in piedi dei fondi pensione transnazionali che siano in grado di costituire "un vero mercato unico dei fondi pensione" (rapporto Kuckelkorn del parlamento europeo, 29 febbraio 2000). L'introduzione di questo sistema di capitalizzazione permetterà ai salariati che ne avranno la possibilità di risparmiare per una pensione complementare. Secondo i suoi sostenitori la capitalizzazione offrirà, grazie al dinamismo della Borsa, un modo meno costoso di costruirsi una pensione.

I due sistemi di capitalizzazione e di ripartizione non possono coesistere. La logica del sistema di capitalizzazione è quella di sviluppare una economia finanziaria speculativa, poiché i risparmi saranno utilizzati nell'economia finanziaria. Considerati i rendimenti a corto termine ricercati dai fondi pensione, ben superiori a quelli legati agli investimenti nell'economia reale, la loro logica sarà quella di svilupparsi sempre più fino a cannibalizzare il sistema di ripartizione, ben poco redditizio da un punto di vista finanziario.

Di fronte a questa logica, altre soluzioni sono possibili. Si tratta, in un primo momento, di far contribuire i ricchi e i profitti capitalisti al finanziamento delle pensioni e di battersi per un aumento dei salari e per una diminuzione della disoccupazione in modo da aumentare il numero di coloro che partecipano alla quotizzazione. Per questo la difesa delle pensioni comporta due preamboli: la difesa dei salari se vogliamo una maggiore equità nel sistema capitalista socializzato, l'abolizione del salariato se vogliamo abbatterlo. In effetti, se crisi delle pensioni c'è essa riflette la crisi del rapporto salariato nel suo insieme. Essa testimonia dell'avanzare del precariato e del blocco dei salari. Non c'è da meravigliarsi che se aumentando i contratti a tempo determinato, costringendo sempre più persone alla disoccupazione, livellando i salari in basso, si arriva ad una società in crisi, dove la precarietà è regina, che non riesce più, nelle attuali condizioni, a finanziare il suo sistema di sicurezza sociale fondato sul salariato che aveva caratterizzato gli anni 1950-1970.

Il problema del finanziamento delle pensioni non può essere analizzato isolandolo dal resto della società. Bisogna capire su come agire in rapporto alla crisi sociale piuttosto che fare qualche rattoppatura contro gli interessi dei lavoratori. Poiché oggi si arriva a situazioni assurde nelle quali di chiede ai lavoratori di andare in pensione più tardi mentre si cerca di ridurre il tempo di lavoro e mentre non cessa di aumentare il numero di coloro ai quali è concesso il prepensionamento. Queste non sono le sole contraddizioni. L'attuale sistema sviluppa sempre più incoerenze e pasticci come quelli legati allo spreco delle ricchezze, della forza lavoro, dei nuovi mezzi tecnici. Tutte queste incoerenze derivano in realtà dalle contraddizioni fondamentali del sistema capitalistico che per funzionare ha sempre più bisogno di lavoratori per consumare, produrre e quotizzare, mentre mette fuori gioco attraverso la disoccupazione una parte importante della forza lavoro. È per questo che diviene una necessità per lui aumentare il numero degli anni di quotizzazione per bilanciare il numero di coloro che vi partecipano. Questa misura, quindi, cerca di scongiurare gli effetti di una delle sue tendenze contraddittorie. La principale di queste tendenze è che il progresso tecnico registrato nell'ultimo mezzo secolo, e tutti i guadagni di produttività che ne sono derivati, hanno portato a diminuire l'importanza del fattore lavoro nella produzione.

Piuttosto che permettere di lavorare meno, il sistema ha spinto alla disoccupazione, tanto che coloro che conservano il lavoro lo devono svolgere sempre più rapidamente e facendo gli straordinari. Questa tendenza, accelerata negli ultimi due decenni, testimonia del conflitto che esiste sempre nel capitalismo tra gli interessi a corto termine delle imprese e quelli a medio e lungo termine del sistema nel suo complesso che, per riprodursi, ha bisogno di sviluppare sempre più le forze produttive, di cui il salariato è parte integrante.

Si vede chiaramente come il rapporto salariato entra in contraddizione con lo sviluppo delle forze produttive. Le "tendenze mortifere del capitale" sono sempre presenti. L'innalzamento degli anni di quotizzazione per la pensione e l'introduzione dei fondi pensione non sono che dei mezzi per contrastare queste tendenze. Piuttosto che escogitare misure puntuali per allungare la durata della vita attiva, bisogna cercare di abbreviarla.

Oggi, per invertire questa tendenza, occorre aumentare la massa degli attivi, e dunque dei quotizzanti, abbassando massicciamente il tempo di lavoro. Non si tratta di una semplice misura sociale come un'altra, ma della sola maniera di far funzionare la nostra società nell'interesse di tutti. È questa riduzione del tempo di lavoro la sola via possibile per un riequilibrio fra popolazione occupata e disoccupata.

Queste misure, tuttavia, non restano che transitorie e solo un federalismo autogestionario comunista libertario può permettere la fine del capitalismo e delle sue crisi congiunturali.

Le ricchezze prodotte dai salariati ogni anno si accrescono molto più rapidamente dei nostri salari. Da vent'anni questi guadagni finiscono sempre più nelle tasche degli azionisti. Ma questo non è ancora sufficiente per loro e per la loro sete di potere! Gli attacchi provengono da ogni parte e questo spiega il moltiplicarsi di scioperi e proteste. Ma per potere dare risposte efficaci i lavoratori devono unificare la loro lotta ed evitare quella dispersione che ha caratterizzato le proteste dallo scorso settembre.

(liberamente tratto da un articolo di Michel Sahuc apparso su Le monde libertarie del 29 maggio - 4 giugno 2003. Traduzione di Denis)

 

 

 

 

 

 

 

 


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