Da "Umanità Nova"
n. 22 del 15 giugno 2003
Dibattito referendum 14:
Una incoerenza tollerabile
Sono ormai anni, che in occasione di ogni tornata referendaria, nel movimento
anarchico e nella FAI, puntualmente si scatenano, quanto più quanto
meno, accesi dibattiti, circa l'opportunità o meno di partecipare.
Su questa lacerante contraddizione sicuramente dovremo abituarci a convivere,
con buona pace dei compagni. Ma tale contraddizione, che non riesce mai
compiutamente a sciogliere, dimostra che, a mio parere, è quantomeno
esagerata l'equazione che alcuni fanno tra la partecipazione al voto elettorale,
che significa delegare qualcuno a governare per noi, e la semplice partecipazione
referendaria, della quale pur non siamo stati promotori, ma che siamo
chiamati ad esprimere il nostro orientamento, su tematiche che ci riguardano.
È quella che si può definire "l'incoerenza tollerabile"
con la quale come anarchici, volenti o nolenti, siamo costretti a fare
i conti quotidianamente. Non mi riferisco tanto agli aspetti della nostra
vita privata, ma proprio come movimento politico, sicuramente determinato
dai rapporti di forza reali (dal permesso per una manifestazione e così
via, l'elenco sarebbe lungo). Quindi l'azione diretta non è un
valore assoluto che sempre possiamo permetterci il lusso di praticare,
quanto il nostro modello di riferimento.
Andiamo, per stare agli esempi più importanti, ad esaminare l'impegno
che la FAI ed il movimento anarchico in generale hanno profuso nel sostenere
la lotta dei lavoratori contro la volontà del governo di modificare
in modo peggiorativo l'art. 18. Si è trattato della difesa dei
diritti dei lavoratori abbiamo detto, ma se entriamo più nel merito
si è trattato della difesa di una legge di Stato, quella sulla
giusta causa dei licenziamenti, che dà facoltà ad un giudice
di decidere sulla legittimità di un licenziamento (io stesso ne
ho a suo tempo usufruito). Non è anche questo un altro esempio
di "incoerenza tollerabile" rispetto al concetto di azione diretta.
UNA CONTRADDIZIONE SOLO APPARENTE
Avevamo ben chiaro tutti che il governo di centro-sinistra, con l'appoggio
dei sindacati confederali, ha promosso leggi e fatto accordi che spalancano
le porte alla precarizzazione, per cui l'art. 18 viene spesso e volentieri
eluso per le nuove assunzioni; ed il governo di centro-destra non fa altro
proseguire in modo accelerato su questo terreno. Ciononostante abbiamo
dato un giudizio positivo alla lotta dei lavoratori che era riuscita a
trattenere il governo in carica nella sua azione di aprire una pericolosa
falla con la modifica della legge in questione.
È a partire da questo dato che avevamo espresso un giudizio negativo
nei confronti di coloro (per motivi strumentali e politici già
ampiamente denunciati) che hanno promosso il referendum per l'attuazione
dell'art.18 anche nelle aziende al disotto dei 15 dipendenti. Perché
ritenevamo pericoloso mettere a rischio con un giudizio affidato ad una
opinione pubblica indiscriminata, il precario risultato ottenuto con la
lotta. Quindi è solo una "contraddizione apparente" quando si decide,
di fronte ad un quadro sociale mutato dall'attuazione del referendum,
quella di schierarsi per il sì.
In realtà esprime coerenza con l'impegno nella difesa con le
lotte dei diritti dei lavoratori di cui siamo stati parte attiva.
Come non tener conto che una forte prevalenza dei no possa dare nuovi
spazi al governo per un più profondo attacco alle conquiste dei
lavoratori?
Pur non essendo stati noi responsabili di aver portato su tale terreno
la questione dei diritti non possiamo non considerarne le implicazioni
ed agire di conseguenza anche su tale terreno.
CONTRO L'UNITA' DEL SIDACALISMO DI BASE ?
Al nostro interno sono state spese tante parole e mozioni congressuali
per dare indicazione ai compagni impegnati nel sindacalismo di base di
operare verso un processo di unità.
È inconfutabile che l'orientamento nella sua grande maggioranza
da parte del sind. di base (solo l'USI ha lasciato libertà di scelta
e anche questo è indicativo) sull'opportunità di schierarsi
per il sì, accompagnato da una campagna di lotta contro la precarizzazione.
Quindi, in questa fase, una posizione astensionista assumerebbe un ruolo
di netta separazione con uno dei nostri interlocutori privilegiati: il
sind. di base.
FUORI DA QUALI ISTITUZIONI E DENTRO QUALI?
Se i compagni che hanno assunto una posizione astensionista verso l'attuale
referendum coerentemente l'hanno propagandata fra i lavoratori interessati
credo che qualche imbarazzo l'avranno avuto. Se non altro perché
questa posizione classicamente antistituzionale si viene a trovare in
questa fase, malgrado tutti i distinguo possibili, in una ben scomoda
"compagnia" con la stragrande maggioranza dei rappresentanti istituzionali:
per l'astensionismo si sono espressi l'intero centro-destra, la maggioranza
DS, la Margherita, la Cisl, la Uil e parte una parte della CGIL.
Cofferati il "concertatore" e Pezzotta, che ha sottoscritto il Patto
per l'Italia, si sono espressi contro il referendum e per la lotta. Qualche
compagno ha sottolineato: "perfino loro"!
Io aggiungo: "proprio loro? Si vergognino di tanta mistificazione!"
È il classico trucco del sindacalista di turno che spara alto per
planare basso.
L'azione diretta è il sale della lotta, ma nell'agire politico-sociale
occorre saper valutare tutte le condizioni ambientali che possano rendere
favorevole o meno le condizioni della lotta stessa: questo del referendum
che ci è capitato addosso sicuramente è uno di quei fattori
imprescindibili.
Enrico Moroni
|