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Da "Umanità Nova" n. 23 del 22 giugno 2003

Afganistan: giù la testa!
La guerra che non è mai finita



In quale paese dei tropici un medico dell'esercito britannico può essere stato costretto a sopportare dure fatiche e privazioni, e aver riportato una ferita a un braccio? Nell'Afganistan, naturalmente. (A. Conan Doyle; dialogo tra Sherlock Holmes e il dott. Watson in "Uno studio in rosso")

Su queste pagine è sempre stato osservato che la guerra in Afganistan, nonostante la proclamata vittoria statunitense, non era finita e che la storia insegnava quanto fosse difficile conquistare e controllare un territorio, geograficamente e socialmente, difficile come quello afgano.

Infatti, dal 13 novembre 2001 il giorno della caduta del regime talebano, dopo due mesi di bombardamenti angloamericani che aprirono la strada alle milizie dell'Alleanza del Nord e ai reparti militari occidentali, un'altra guerra è iniziata. Una guerra combattuta tra i diversi gruppi di potere tribale, ma anche contro il governo Karzai installatosi a Kabul sotto la protezione Usa e contro l'occupazione militare straniera.

La costruzione di uno stato afgano si è subito rivelata un impossibile rompicapo, in quanto l'Afganistan è un puzzle di etnie, gruppi religiosi e clan ed ogni parte del suo territorio è conteso dai vari signori della guerra, dalle diverse milizie armate e dai potenti gruppi che prosperano con l'economia illegale. D'altra parte il territorio montuoso e impervio, con scarse e rischiose linee di comunicazione, favorisce la frammentazione del potere e rende impraticabili le soluzioni armate, come ben avevano sperimentato prima gli imperialisti britannici e poi quelli sovietici.

Le componenti della cosiddetta Alleanza del Nord, tenute assieme solo dalla rivalità contro i Talebani, sono presto entrate in conflitto per la spartizione delle zone d'influenza e l'Alleanza si è dissolta. In Afganistan controllare il territorio da sempre significa accordarsi - soldi alla mano - con i poteri locali, in un labirintico quanto mutevole sistema di alleanze in continuo fermento e suscettibile di rovesciamenti di fronte.

La conflittualità tra le forze Usa e della coalizione occidentale da una parte e i resti del regime talebano, i superstiti di al-Qaeda e le milizie di Hekmatyar - leader integralista nemico delle forze occupanti - dall'altra, si intreccia con i conflitti locali ed interagisce con questi.

Intanto l'economia del paese rimane fondata soprattutto su attività illegali (produzione di oppio, imposizione forzata di pedaggi e tangenti, razzie, traffico di armi); alla faccia delle sue campagne proibizioniste in casa propria, il governo Usa ha dato il via libera alla ripresa in grande stile della produzione dell'oppio e attualmente partono dall'Afganistan circa 400 mila tonnellate di oppio, equivalenti a 400 tonnellate di eroina.

Il governo fantoccio di Hamid Karzai controlla soltanto la capitale dentro cui è asserragliato e continuamente sotto la minaccia di attentati, mentre le zone strategiche e le sedi ministeriali di Kabul sono militarmente controllate da circa 4.600 militari dell'ISAF (International Security Assistance Force), assieme a reparti speciali Usa.

In tutto il territorio afgano sono appena 8.000 i soldati americani presenti nel paese, un numero irrisorio, se si tiene conto che l'occupazione sovietica arrivò a schierare mezzo milione di militari, che dimostra la debolezza dell'imperialismo Usa in tale area.

Le truppe che compongono l'ISAF provengono da ben 29 paesi e il contingente più numeroso è quello tedesco con 2.300 militari; quelli italiani della missione "Antica Babilonia" sono circa 150, appartenenti ai carabinieri, all'esercito e all'aeronautica (Italfor-Kabul). Gli alpini della Task Force Nibbio, presenti in Afganistan dalla metà di marzo con base a Khost, non sono inquadrati nell'ISAF ma sono a disposizione del Comando Usa di "Enduring Freedom" e stanno partecipando, assieme agli incursori del "Col Moschin", ad azioni operative antiguerriglia nella zona ad alto rischio ai confini col Pakistan, dove il territorio pashtun costituisce un'enclave che non conosce frontiere statali.

Puntualmente, ogni volta che si verifica uno scontro a fuoco, i comandi militari e l'informazione ufficiale parlano di redivivi combattenti talebani e di terroristi superstiti di al-Qaeda; ma, pur non escludendo la sopravvivenza sia degli uni e degli altri da sempre appoggiati dall'Isi, i servizi segreti pakistani, sarebbe più opportuno parlare di gruppi armati afgani che, seppur contrapposti tra loro per interessi ed etnia, si trovano accomunati nel combattere l'occupazione militare dei loro territori in quanto gli stranieri non sono mai stati visti come liberatori, ma semmai come utili alleati del momento per far fuori una fazione o un'etnia avversa.

E, in questo senso, per il governo Usa ed i suoi gendarmi il futuro non promette niente di buono ed anche gli interessi economici e i progetti legati alla costruzione degli oleodotti appaiono tutt'altro che sicuri.

L'anello debole dell'occupazione imperialista non sembrano tanto i militari statunitensi, ma quelli europei, dato che di fronte ad un elevato numero di vittime, né i governi né le rispettive opinioni pubbliche - si veda il già prospettato sganciamento dei tedeschi - accetterebbero di continuare la loro missione per conto terzi, ossia quali truppe di rincalzo dei reparti Usa, rinunciando anche alla loro fetta della torta degli affari postbellici.

I morti di queste ultime settimane lo testimoniano, ma nessuno in Italia ne sembra consapevole.

D'altra parte, la responsabilità politica dell'invio dei militari italiani ricade equamente su governo di centro-destra e non-opposizione di centro-sinistra.

Uncle Fester

 

Errata corrige

Nel numero 23 di UN (22 giugno), per un errore di battitura, sono risultati invertiti i dati riferentesi ai contingenti militari italiani in Iraq e Afganistan, rispettivamente negli articoli a pag. 2 (Afganistan: giù la testa!) e a pag.5 (Una trappola globale). Il primo distaccamento in Iraq (operazione Antica Babilonia) conta 150 militari; mentre i militari italiani in Afganistan (Italfor Kabul) facenti parte dell'ISAF sono 450, senza contare i Paracadutisti che hanno appena sostituito gli Alpini.

 

 

 

 

 

 

 

 


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