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Da "Umanità Nova" n. 23 del 22 giugno 2003

L'inferno, solo l'inferno...
Iraq: l'interminabile calvario della popolazione



"Ma gli americani usano anche la politica del bastone e della carota. Dopo le incursioni di questa notte, al mattino i militari hanno distribuito taniche di benzina alla popolazione irachena. La gente, però, dopo essere stata rifornita, si allontanava imprecando contro l'invasore americano". Dal Tg1 del 15 giugno.

Questa breve citazione dal telegiornale riassume esemplarmente la situazione venutasi a creare nell'Iraq occupato: le difficoltà e le miserie della vita quotidiana, la guerra che continua, l'apparente schizofrenia dell'esercito americano, l'ostilità manifesta degli iracheni "liberati". E se il giornalista del Tg1 non si è reso conto dell'efficacia di questa sua involontaria sintesi, tanto peggio per lui!

Sembrava il problema dei problemi da risolvere a qualsiasi costo, pena l'impossibilità della pacifica convivenza dei popoli, ma, come è evidente, dell'Iraq si parla sempre meno. E anche se ogni tanto l'interesse viene ravvivato da qualche flash d'agenzia su azioni armate dell'uno o dell'altro (di questo conflitto, che dicono finito ma non lo è, se ne parla anche in altra parte del giornale), la guerra mesopotamica è diventata comunque una notizia di serie B, pronta addirittura per una nuova e degradante retrocessione. Lontana dalle prime pagine, relegata in qualche telegiornale notturno, la questione irachena, una volta risolto il problema del controllo del petrolio e scongiurata la risposta massiccia del mondo arabo, torna a sprofondare in quella mediocrità dalla quale era stata estratta, malgrado suo e degli iracheni, dalla offensiva mediatico-militare dei nuovi imperialisti anglosassoni. Con l'evidente soddisfazione del feroce Saddam, lieto dello scampato pericolo, ma anche e soprattutto dei suoi amiconi di Washington, contenti (e riconoscenti) che la "disperata resistenza" del Rais, dissoltasi in un mese, sia venuta a costare al mitico contribuente statunitense molto meno di quello che si era preventivato.

Eppure, non solo non si è fatto nulla a favore dei "liberati", ma, per quello che ci è dato di capire, le cose sono addirittura peggiorate. E la distribuzione di benzina razionata a quegli stessi automobilisti che fino ad alcuni mesi orsono ci avrebbero potuto fare il bagno, ne è la paradossale metafora.

Doveva essere, viste le premesse, una passeggiata, ordinaria amministrazione. L'esercito più potente del mondo, spalleggiato dal bulldog inglese, non doveva trovare, e in effetti non ha trovato, alcuna resistenza reale. La guerra è stata vinta in quattro e quattr'otto e le statue di Saddam sono cadute, nella capitale, come da copione, fra la soddisfazione degli eccitati commentatori occidentali. Una nuova amministrazione, nuovi funzionari spalleggiati dai vecchi, le regole della democrazia americana esportate nella geenna mediorientale come fossero casse di cocacola. Tutto avrebbe dovuto filare liscio. Avrebbe dovuto... E indubbiamente, a parte alcuni spiacevoli incidenti e qualche fastidiosa contrarietà, agli occupanti, sostanzialmente, gli sta andando bene. Qualche morto nelle frequenti imboscate (ma nel conto ne avevano messi molti di più), qualche incidente diplomatico con alleati e vicini, qualche brutta figura a livello internazionale, ma chi non ne fa? Peggio, molto peggio, per gli occupati.

"Ma i più sfortunati sono i bambini, ne abbiamo curati ben millecinquecento" affermano i pediatri della Croce Rossa italiana, "siamo sconvolti per lo stato di denutrizione, l'alto numero di deformazioni congenite, malattie neonatali e patologie dermatologiche causate da radiazioni. Senza contare poi i bimbi dilaniati mentre raccolgono i proiettili inesplosi per venderne il metallo una volta svuotati". L'inferno, solo l'inferno e null'altro. "Ho visto i diavoli di fuoco scendere dal cielo. Sono state brutte vacanze, non si poteva né giocare di giorno né dormire di notte" scrive Hamid, di sette anni, alla maestra ritrovata. L'inferno, solo l'inferno e null'altro. "Il 7 aprile fuggivamo dai bombardamenti. Con me in auto c'erano Hernet e Wassim, un fratello maggiore, la mamma, il papà e il nonno. Un carro armato americano ci ha intimato l'alt. Era buio. Non abbiamo capito. Ci hanno sparato, sono morti in cinque, io sono rimasta ferita. I compagni di classe di Hernet mi hanno chiesto perché Hernet non è più venuto a scuola", racconta un'altra maestra di Baghdad. L'inferno, solo l'inferno e null'altro, e non si può definire altrimenti la vita quotidiana della popolazione irachena. E attenzione!, queste non sono notizie tratte da pericolosi giornali pacifisti, ma dalle pagine del sobrio e pacato "Corriere della Sera". E da giornali simili.

La legge della jungla, rapine ad ogni angolo di strada, saccheggi, violenze su donne e bambini, stupri e sevizie, fame, furti e miseria, espropri e disoccupazione, mancanza di stipendi e salari, incertezza dell'oggi e del domani, l'umiliazione come condizione quotidiana, la dignità offesa, l'impossibilità di conservare una identità, l'impossibilità di trovare un ruolo, l'impossibilità di avere una funzione e uno scopo, l'espropriazione del proprio essere, l'annichilimento fra le braccia del nemico.

La guerra e i suoi figli.

E nella disperazione esistenziale di un intero popolo, la violenza dell'esercito occupante, che non è solo gratuita ed arrogante, ma è resa necessaria dal bisogno di impedire che l'ostilità diffusa diventi una vera e propria sollevazione popolare. Per riassumere: l'anarchia. L'anarchia, come si è premurata di affermare, a suo tempo, quella massa di cialtroni di regime e non di regime, ansiosa di nascondere dietro il travisamento del nostro sogno la vergogna del proprio ruolo e del proprio mestiere. La vergogna di aver sostenuto le ragioni della Politica rispetto a quelle dell'umanità, le ragioni della Concretezza rispetto a quelle degli ideali, le ragioni della Economia rispetto a quelle della solidarietà, le ragioni della Violenza rispetto a quelle del confronto. Le ragioni della Bestia trionfante rispetto a quelle dell'uomo. Le loro ragioni, perché le nostre, le ragioni dell'Anarchia, sono le altre.

Massimo Ortalli

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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