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Da "Umanità Nova" n. 23 del 22 giugno 2003

Dibattito referendum 19:
La coerenza tra mezzi e fini



Nel momento in cui scrivo queste righe pare certo che il referendum sull'articolo 18 dello statuto dei lavoratori sia naufragato clamorosamente.

Per chiarire quali siano i miei criteri di giudizio, io davo per scontato che non si sarebbe raggiunto il quorum, ritenevo che un 35/40% di votanti avrebbe prodotto un pareggio e che il non raggiungere il 30% sarebbe stato una sconfitta secca del blocco referendario.

Naturalmente, i commentatori, più o meno qualificati, spiegheranno la debacle con argomenti consolidati: abuso dello strumento referendario e conseguente disgusto da parte dell'elettorato, efficacia prevedibile dell'astensionismo tattico del fronte del no, effetti devastanti delle divisioni a sinistra ecc.

Il blocco referendario, altrettanto presumibilmente, porrà l'accento sulla censura da parte dei media, sull'attitudine filistea dell'Ulivo, sul fatto che, comunque, i si sono assai più numerosi degli elettori dei partiti referendari.

La destra e il padronato utilizzeranno il risultato come prova del fatto che il paese è d'accordo con la politica di deregolamentazione che il governo ha avviato e, è ragionevole supporlo, accelereranno le riforme del mercato del lavoro che hanno avviato.

Il centro sinistra avrà buoni argomenti per sostenere che il PRC è totalmente irresponsabile e non escluderei che, dopo una doverosa difesa di bandiera, il PRC dovrà allinearsi alle posizioni dell'Ulivo.

Non voglio smentire il mio tradizionale ottimismo ipotizzando che questo disastro potrebbe liberarci per qualche tempo della mania referendaria e favorire una valutazione più seria fra i settori più combattivi del movimento dei lavoratori rispetto agli strumenti d'azione da utilizzarsi a fronte delle politiche statali e padronali. Naturalmente un risultato del genere è tutt'altro che scontato e richiederà una battaglia politica contro le illusioni democratiche e le attitudini politiciste che infestano lo stesso sindacalismo alternativo.

Insomma, ognuno dovrà fare la sua parte sapendo che la situazione non è facile e, anzi, a parer mio è oggi, se possibile, più complicata.

Venendo alla discussione sul referendum in campo libertario, è stata sicuramente complicata e non sempre serena. La cosa non mi scandalizza, il rapporto col voto ha importanti implicazioni sia simboliche che politiche e la distinzione fra elezioni politiche e referendum sulla quale hanno posto l'accento coloro che, come me, hanno ritenuto di votare si turandosi il naso non è affatto condivisa da tutti i compagni, anzi.

È, comunque, mia opinione che discutere apertamente sia sempre un bene e che, di conseguenza, questo confronto, nonostante qualche sbavatura, sia stato opportuno.

Vorrei, quindi, porre l'accento su di un argomento forte, fra gli altri, utilizzato dai compagni favorevoli a una posizione astensionista anche in questo caso. Non mi riferisco alle tesi, diciamo così, tradizionali (coerenza mezzi fini, rischio di derive riformiste, rifiuto del principio di maggioranza ecc.) non perché le ritenga prive di interesse ma perché non ho lo spazio di occuparmene.

Vorrei, invece, concentrarmi sull'accento posto da diversi compagni sulla centralità della lotta di classe e sul fatto che il referendum ne ha indebolito lo sviluppo e ha sottratto energie all'azione degli anarchici, in particolare, e ai militanti sindacali radicali, in generale, in campo sociale e sindacale.

Riconosco pubblicamente che ho trovato questa preoccupazione assolutamente condivisibile e, dirò di più, gradevolmente sorprendente.

Infatti, a quanto ne so, gran parte dei compagni impegnati quotidianamente sul terreno della lotta di classe si sono espressi per il si. Questi stessi compagni o, almeno quelli che conosco e non sono pochi, nei mesi passati sono stati coinvolti in lotte sindacali interessanti e non hanno certo sottratto molto tempo alle lotte per fare campagna referendaria.

Ne consegue che emergono ben tre fatti positivi:

- i compagni favorevoli ad un intervento libertario sul terreno di classe sono assai più numerosi di quanto sembrasse sino a qualche mese addietro;

- vi sono compagni, e non pochi, che hanno dichiarato che questo intervento deve essere ben più deciso, incisivo e radicale di quello attualmente svolto e dobbiamo attenderci che dimostrino nei fatti la coerenza fra pensiero ed azione che è importante almeno quanto quella fra mezzi e fini;

- l'orientamento classista del nostro movimento appare robusto e condiviso oltre le più rosee speranze.

Ne consegue che, nel prossimo periodo, affronteremo assieme la mobilitazione per il salario, contro la precarizzazione, per i servizi sociali e lo faremo più forti, uniti, convinti che in passato.

Se, nel nostro campo, la discussione sul referendum fosse servita solo a questo sarebbe già un risultato assolutamente positivo. Ora si tratta solo di dar seguito alle dichiarazioni di intenti che abbiamo letto ed ascoltato.

Cosimo Scarinzi

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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