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Da "Umanità Nova" n. 24 del 29 giugno 2003

Iran. La rivolta e il bastone USA



Il Medio Oriente in via di pacificazione da parte degli americani continua ad essere in primo piano. Dopo l'ufficiale chiusura della campagna irachena e le minacce alla Siria, i riflettori dei costruttori di mostri sono fissati sull'Iran della teocrazia sciita. Il gioco dell'Amministrazione Bush è scoperto: avviare una campagna di criminalizzazione del peraltro criminale regime iraniano, costringere l'Unione Europea ad allinearsi, utilizzare l'ONU e le Agenzie Internazionali di controllo sugli armamenti per fabbricare le prove della malvagità di Teheran, dopodiché avviare una campagna internazionale di sanzioni che metta in ginocchio l'antica Persia. A quel punto scegliere se attaccare l'Iran oppure favorire un colpo di stato interno che riconsegni questo paese all'orbita imperiale di Washington.

Dalla fine della campagna di occupazione in Iraq (in realtà tutt'altro che terminata vista l'insistenza con la quale la guerriglia nazionalista colpisce le truppe USA, e le dimensioni delle campagne di repressione di queste ultime) la corda sul collo del paese mediorientale ha iniziato a stringersi ogni giorno di più. Gli avvenimenti delle ultime settimane che hanno visto la sempre serpeggiante rivolta studentesca accendersi in manifestazioni quotidiane a Teheran, e l'appoggio dato a queste ultime dal proletariato mobile iraniano che vive ai margini della metropoli persiana cercando giorno per giorno un lavoro per sopravvivere, hanno permesso all'Amministrazione americana di attaccare l'Iran e a quella parte di Unione Europea che si era schierata contro l'intervento in Iraq di riallinearsi con "l'amico americano" condannando Teheran e sospendendo i rapporti commerciali.

ANTIMPERIALISMO E MASSE ARABO-ISLAMICHE

Le manifestazioni di dissenso contro il regime e le mire neocoloniali americane sono realtà ben diverse tra di loro, e le dichiarazioni isteriche comparse in rete da parte di settori che si pretendono antimperialisti secondo i quali gli studenti iraniani sarebbero "complici" dell'aggressione americana in atto contro il loro paese, dimostrano soltanto il livello di confusione nel quale si trova una parte consistente della sinistra anticapitalistica, orfana della teoria dei due campi e bisognosa di trovare punti di riferimento "oggettivi" nella battaglia contro l'imperialismo unipolare degli USA.

Una visione politica costruita sulla base di un'interpretazione geopolitica della realtà sembra avere preso il posto, nei riferimenti teorici di queste aree, della visione del mondo basata sul conflitto di classe, con l'inevitabile scivolamento in una forma di spiritualismo che fa dimenticare a costoro che le "masse arabo-islamiche", ancorché in via di proletarizzazione affondano la loro percezione della realtà sull'interpretazione religiosa di quest'ultima e non sulla contrapposizione rispetto alle classi dominanti di casa propria. Detto in estrema sintesi, l'antiamericanismo a base religiosa fortemente diffuso tra le popolazioni dei paesi islamici frustrate nelle loro speranze di riscatto dal fallimento del nazionalismo arabo più o meno progressista degli anni Cinquanta-Settanta dell'ultimo secolo, non prefigura per nulla l'approdo di queste popolazioni al conflitto di classe, anzi le consegna in blocco a una nuova élite islamica che sulla base della battaglia antiamericana sta cercando di sostituirsi al vecchio blocco dominante di questi paesi. Pensare il contrario vuol dire riproporre la dimensione dell'"astuzia della storia" che starebbe inconsapevolmente lavorando a favore dell'insubordinazione globale contro le classi dominanti. Peccato che la visione soggettiva del mondo, specie se "di massa", sia ancor più importante nella determinazione dei comportamenti di quanto non lo sia la condizione sociale oggettiva. I fenomeni di sovversione sia nel mondo antico che in quello moderno si sono dati esclusivamente quando le due dimensioni si sono incontrate in una sintesi capace di pensare il futuro e progettarlo su una base diversa dal ritorno a un ordine tradizionale.

L'IRAN TRA MODERNIZZAZIONE E CRISI SOCIALE

Ritornando all'argomento dell'articolo, è necessario per capire cosa sta succedendo in Iran riferirsi ad una serie di dati strutturali riguardanti il paese asiatico e leggere in modo sistematico il suo passato più recente.

L'Iran è un paese di discreto livello industriale, la cui ricchezza non è determinata esclusivamente dalla rendita petrolifera, ma dallo sviluppo dell'industria chimica, di quella tessile e di quella metallurgica, nonché dalla presenza di un forte settore ortofrutticolo destinato all'esportazione. Lo sviluppo moderno dell'Iran è figlio della politica svolta sotto il governo repressivo e dittatoriale della famiglia Pahlavi che, forte dell'appoggio angloamericano, negli anni Sessanta utilizzò la rendita petrolifera in modo migliore di quanto non abbiano fatto le petromonarchie arabe, concentrandola sulla modernizzazione del paese e non sugli investimenti finanziari nei paesi occidentali. Oggi, caso unico nell'intero Medio Oriente, la forza lavoro operaia del paese assomma al 31% degli abitanti, e giova ricordare che la spallata al regime dello Shah fu data dallo sciopero generale dei lavoratori petroliferi, chimici e metallurgici che a partire dal 18 dicembre del 1978 bloccarono completamente la produzione causando il crollo del governo Azehari, ultimo tentativo dello Shah di riprendere in mano la situazione prima di passare la mano al leader dell'opposizione laica Bakhtiar, che sarà a sua volta abbattuto dall'insurrezione islamica del 9 e 10 febbraio del 1979.

Il paese, quindi ha un articolazione sociale delle classi subalterne più moderna rispetto a quella dei suoi vicini; la composizione delle classi dominanti è invece più simile a quella dei paesi del Terzo Mondo, basata com'è sulla proprietà statale dei principali mezzi di produzione, delle banche e delle assicurazioni. Nel corso dei ventiquattro anni di regime islamico si è costituita una vera e propria borghesia di stato che trae la sua legittimazione dall'appartenenza all'ortodossia islamica sciita, il cui vertice controlla l'insieme delle istituzioni politiche, militari ed economiche del paese. A queste classi si deve aggiungere un ceto medio commerciale (il bazar) particolarmente importante nelle grandi città, determinante nel successo della rivoluzione islamica nel 1979 e oggi in piena crisi a causa dell'avvio del processo di internazionalizzazione dell'economia iraniana che ha determinato un aumento delle esportazioni ma anche una prima penetrazione di operatori occidentali sul mercato interno rompendo così il monopolio commerciale nazionale, e un proletariato mobile coincidente con l'oltre 13% di disoccupazione che vive alla giornata cercando impieghi precari nella periferia di città come Teheran, Tabriz e Abadan.

La condizione economica è tutt'altro che eccellente e la recente apertura dei mercati ha sviluppato un processo inflattivo che ha portato questo indicatore oltre il 20%, mentre la bilancia statale è in rosso per oltre ventimila miliardi di dollari e il debito estero assomma a più di tredicimila miliardi di dollari. La bilancia commerciale è diventata attiva nel corso degli ultimi anni grazie allo sviluppo delle relazioni commerciali con il Regno Unito (massimo importatore dall'Iran), la Germania, l'Italia e la Corea del Sud, ma l'aumento dell'export ha determinato la riorganizzazione in senso efficientista dell'agricoltura e delle industrie, provocando un fenomeno molto simile a quello avvenuto in Cina negli ultimi dieci anni (anche se su dimensioni nettamente inferiori) consistente nell'espulsione di migliaia di contadini dalla terra e nel licenziamento di alcune migliaia di operai dalle fabbriche statali. Queste due categorie sociali sono quelle che hanno dato vita alla figura del proletariato mobile iraniano che, approfittando delle manifestazioni studentesche, sta cercando di assumere un ruolo di protesta sociale nei confronti del regime, considerato responsabile delle loro condizioni.

A questo dato si deve aggiungere quello riguardante la composizione per età della popolazione iraniana che vede i minori di trent'anni costituire il 70% della popolazione. Questi ultimi hanno speranze di futuro precarie e molto limitate, mentre l'accesso del ceto medio alle Università ha creato nella parte studentesca di questa popolazione un'insofferenza generalizzata verso la chiusura bigotta imposta dal regime degli ayatollah. Qualsiasi reportage sulla moderna Teheran parla in modo esplicito dell'esistenza di un commercio in nero di prodotti culturali occidentali, di feste con uso di alcool nelle case dei giovani di ceto medio e di costumi sessuali non certo consoni al dettato dell'osservanza coranica. Fenomeni di questo tipo, inoltre, in società composite, dove i confini sociali sono rappresentati dalle classi e non dalle caste, tendono a distribuirsi dalle avanguardie intellettuali di ceto medio verso i settori popolari giovanili più scontenti della propria condizione. Inoltre la caratteristica di rigidità del regime comporta l'impossibilità di una risposta positiva alla domanda di mobilità sociale verso l'alto espressa dai giovani universitari le cui famiglie di origine commerciale perdono anzi reddito, prestigio e status.

LA BATTAGLIA POLITICA

L'espressione del malcontento è stata nel 1997 e nel 2000 di un Presidente della Repubblica, Khatami, appartenente all'ala sinistra del clero sciita che, da sempre, si è espressa per la separazione del potere statale dalle gerarchie ecclesiastiche, e di un Majlis-e-Shura (il Parlamento) con una chiara posizione riformista. Il Fronte Khordad, espressione di questa fazione, ha conquistato 189 seggi contro i 54 della destra islamica e i 42 del centro, risultato tanto più significativo se si pensa che l'elezione parlamentare in Iran non avviene per suffragio universale, ma dai componenti della lista dei "buoni musulmani" (alle minoranze religiose sono attribuiti 5 seggi decisi all'interno delle rispettive comunità). Il potere di queste istituzioni è, però, fortemente limitato dalla figura della Guida Religiosa, eletta a vita da un consiglio di 84 teologi sciiti eletti ogni otto anni, che ha l'ultima parola su qualsiasi legge, controlla direttamente i tribunali, tanto laici che religiosi, compreso quello che decide delle libertà di stampa, ed è il capo supremo della più efficiente organizzazione militare delegata alla repressione interna del paese: i Guardiani della Rivoluzione, forti di circa tredicimila uomini, con poteri di indagine, ispezione ed arresto praticamente illimitati.

La mobilitazione della Guida Religiosa contro la politica dell'ala sinistra del clero sciita è stata totale tanto in tema di diritti e libertà politiche, che in campo economico. Se l'ala destra aveva infatti promosso l'apertura economica verso l'Europa e la Corea e la modernizzazione della struttura agroindustriale, essa non può assolutamente permettere la "rivoluzione borghese" che la sinistra islamica sta cercando di portare avanti, consistente nella sottrazione della proprietà delle aziende del paese dalle mani delle Fondazioni caritatevoli che le gestiscono e nella promozione di una moderna classe imprenditoriale proveniente dalle fila di quel ceto medio commerciale che da pilastro del regime si sta trasformando nel suo più feroce oppositore.

Il fallimento delle politiche riformiste ha aperto la strada a un protagonismo sociale in cui la protesta si è prima espressa nel movimento universitario del 2001 ferocemente represso dai Guardiani della Rivoluzione, poi nell'astensionismo di massa alle elezioni municipali del 2002 in cui ha votato meno del 12% dei "buoni musulmani" iscritti nelle liste elettorali, e oggi in questa nuova mobilitazione studentesca alla quale stanno unendosi anche i settori proletari marginali, le donne e lo stesso ceto medio commerciale. La risposta non si è fatta attendere in termini repressivi e il numero di feriti nel corso delle cariche e degli assalti all'Università compiuti dai Guardiani sembra superi il mezzo migliaio di persone, mentre gli arresti sono di alcune centinaia di studenti rinchiusi nel vecchio carcere della Savak, la terribile polizia politica dello Shah. L'insubordinazione sociale, però, non sembra destinata a scemare tanto facilmente e il malcontento, da quanto riferiscono osservatori interni sembra inizi a diffondersi anche nelle città di provincia dove il carnevale islamico dello scorso Marzo è stato già occasione di contestazioni di tipo culturale verso il regime.

Questo è attualmente il quadro politico e sociale dell'Iran all'interno del quale si muovono non solo i gruppi della sinistra islamica più decisamente in antagonismo con il regime, ma gli stessi gruppi di opposizione storica prima allo Shah e, dopo la rivoluzione islamica, al regime degli ayatollah. Tra questi ultimi spiccano i muyaheddin del popolo, gruppo laico ispirato al socialismo arabo, per vent'anni ospitato in Iraq da Saddam Hussein e inserito da USA e Unione Europea nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali. Oggi questo gruppo è tollerato dagli USA sul territorio iracheno in funzione antiraniana ma le sue attività sono assolutamente sotto controllo tanto che gli è stato permesso di portare armi leggere (assolutamente inutili ad azioni di guerriglia sul confine) ma gli sono state sequestrate le armi pesanti. In Francia, poi, paese che ne aveva a lungo ospitato le attività politiche e diplomatiche è stato dato il via a un'operazione repressiva che ha portato in carcere l'intera dirigenza rifugiata a Parigi. I roghi umani adottati come risposta dai militanti del gruppo in Francia e in Italia hanno portato a conoscenza del grande pubblico occidentale l'esistenza di questo partito il cui grado di compromissione con i servizi segreti di mezzo mondo è da almeno vent'anni la caratteristica principale. Oltre a questi ultimi sono presenti in Iran il Tudeh, partito comunista di stretta osservanza sovietica e i comunisti internazionalisti iraniano-iracheni radicati nella zona petrolifera del paese.

Nessuno di questi gruppi sembra oggi seriamente in grado di approfittare dello scontento diffuso nel paese, mentre la sinistra islamica spera di rafforzare la sua posizione sull'onda delle mobilitazioni e la destra sta cercando di strumentalizzare l'appoggio virtuale e strumentale dato dagli americani al movimento studentesco per irrigidire il regime e salvaguardare la propria posizione, presentandosi come salvaguardia dell'indipendenza dell'Iran contro l'aggressione americana.

Aggressione americana che è effettivamente in corso anche se il suo fine, naturalmente, non ha nulla a che fare con la democratizzazione del grande paese asiatico.

Giacomo Catrame

 

 


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