Da "Umanità Nova"
n. 24 del 29 giugno 2003
D'uranio impoveriti e d'uranio
arricchiti
Discarica nucleare: pieni poteri al generale Jean
Trattando il tema del nucleare non possiamo non considerare le politiche
energetiche in ambito mondiale, ponendo particolare attenzione alla situazione
statunitense dove più numerose sono le centrali nucleari in attività
(vedi tabella) e dove vengono delineate le strategie del nuovo ordine
mondiale.
Nel corso del 2002 sono entrati in funzione 6 nuovi impianti (4 in Cina,
1 in Corea, 1 nella Repubblica Ceca), 4 sono stati fermati (2 in Bulgaria,
2 in Gran Bretagna) ed è iniziata la costruzione di altre 7 centrali
(6 in India, 1 nella Repubblica Democratica di Corea).
Complessivamente i 441 impianti in funzione forniscono il 16% dell'energia
utilizzata sul pianeta.
In 25 anni, dal 1977 al 1998, i consumi di energia sono passati da 53
a 77 miliardi di megawatt/ora con oltre il 45% di aumento, le previsioni
indicano che il fabbisogno energetico crescerà ancora del 50% entro
il 2040.
Negli USA nessuna nuova centrale è stata commissionata dal 1978
e, l'ultimo impianto, tra quelli programmati, è stato terminato
nel 1995. L'incidente della centrale di Three Mile Island del 1979 aveva
evidenziato il rischio legato allo sfruttamento dell'energia nucleare
facendo precipitare la fiducia dell'opinione pubblica americana nei confronti
della sicurezza delle centrali. Contemporaneamente, i costi dell'intero
processo, dalla progettazione allo smantellamento, rendevano meno competitiva
la fonte energetica nucleare frenando in maniera evidente quasi tutti
i programmi di sviluppo nel settore.
In Italia, le lotte antinucleari degli anni '70 - '80, il disastro di
Chernobyl nell'aprile del 1986 e l'esito del referendum del 1987 avevano
chiuso ogni prospettiva di funzionamento per le 4 centrali costruite sul
suolo italico (Garigliano, Latina, Caorso e Trino Vercellese).
Il problema energetico, come hanno drammaticamente evidenziato le ultime
guerre dell'imperialismo di fine millennio, ha focalizzato l'attenzione
mondiale sui paesi produttori di petrolio e sul controllo delle aree geografiche
attraverso cui passano o passeranno oleodotti e gasdotti. Oggi, però,
l'opzione nucleare torna a presentarsi come soluzione "conveniente" e
lo fa sempre meno timidamente. I pretesti sono vari e vengono abilmente
mischiati in un paradossale calderone in cui troviamo: l'allarme sui possibili
black-out energetici, una strumentale attenzione al rispetto degli accordi
di Kyoto, il tentativo di sottrarsi all'eccessiva dipendenza da combustibili
fossili, il miglioramento (ottenuto sull'esperienza fatta sulla "pelle"
del pianeta e dei suoi abitanti) della tecnologia impiegata nella progettazione,
costruzione e gestione degli impianti nucleari. Da non sottovalutare infine,
per l'industria nucleare, la possibilità di cogenerare l'idrogeno,
il combustibile per i trasporti che ci viene presentato come la novità
per il futuro, ma che necessita di una soluzione produttiva che sia economicamente
sostenibile.
Già nel piano Bush per l'energia, presentato nel maggio del 2001,
con affermazioni come: "Un'economia moderna è un'economia che consuma
enormi quantità di elettricità" George double-u spiegava
in diretta alla nazione che: "occorre rimuovere le restrizioni e i regolamenti
che hanno reso l'America dipendente dal petrolio straniero". Così
venivano determinate le linee guida di una deregulation che, sfruttando
la preoccupazione conseguente ai ripetuti black-out in California e l'aumento
vertiginoso dei prezzi dell'energia, definiva una strategia mirata ad
ammorbidire le normative in tema di rilascio di autorizzazioni a nuovi
e vecchi impianti per la generazione di elettricità, a garantire
lo sfruttamento petrolifero di aree fino ad allora protette per il loro
valore naturalistico, ad incentivare l'utilizzo del carbone e del gas
naturale, a rilanciare il nucleare.
Oggi, l'energia nucleare è "pulita e sicura" ci rassicura George
Bush II, esattamente come pulita e sicura ci era stata descritta dai paladini
dell'energia atomica di 30 anni or sono.
A proposito di sicurezza ricordiamo, rileggendo i quotidiani di qualche
anno fa, che il 30 settembre del 1999 a Tokaimura in Giappone furono 69
le persone rimaste gravemente contaminate per incidente classificato al
livello 4 (7 è il massimo) su una scala internazionale. Le responsabilità
dell'accaduto vennero, in un primo tempo, attribuite alla negligenza di
alcuni dipendenti che non avrebbero rispettato le procedure previste per
il processamento dell'uranio.
L'incidente avveniva nell'impianto privato della Jco, azienda che tratta
uranio e altri materiali radioattivi che vengono poi utilizzati nella
centrale nucleare di Tokaimura (un centinaio di chilometri a nord est
di Tokyo). L'azienda in un secondo tempo ammetteva che alcune norme di
sicurezza venivano violate regolarmente almeno da quattro anni. Agli operai
era stato ordinato di servirsi di alcuni secchi di acciaio inossidabile,
invece che dei contenitori adeguatamente protetti, almeno per una parte
della lavorazione dell'uranio. Ed era da due anni che questa procedura
era stata addirittura inserita nel manuale distribuito ai nuovi assunti,
senza che le competenti autorità governative ne fossero informate.
Nel 1993 la Jco aveva ottenuto dalle autorità governative i permessi
per avviare l'attività senza che fosse previsto un piano d'emergenza
per fronteggiare eventuali "incidenti critici". Tutto questo accadeva
poco tempo fa nel moderno e tecnologicamente avanzato Giappone (ma si
sa che i costi di produzione vanno tagliati per ottimizzare il profitto).
Negli Stati Uniti invece... un dettagliato studio del dipartimento dell'energia,
pubblicato nel gennaio del 2000, ha rivelato che in 14 impianti nucleari
per la fabbricazione di armi atomiche, tra i quali quelli di Los Alamos
(New Mexico) e Lawrence Livermore (California), i lavoratori presentavano
una frequenza anomala di 22 diversi tipi di cancro: dal morbo di Hodgkin
alla leucemia, dal cancro ai polmoni a quello ai reni. Oltre 600 mila
operai ne sono stati colpiti dall'inizio della seconda guerra mondiale
a oggi.
Citiamo un altro caso che, come esempio, può valere per tutti
gli altri di cui è difficile venire a conoscenza: almeno dieci
chilogrammi di materiale radioattivo, uranio 235 e 238, sono stati trafugati
dai depositi congolesi del deposto dittatore Mobutu. Il materiale era
stato fornito dagli Stati Uniti alla centrale nucleare di Kinshasa, dove,
dal 1971, era installato un piccolo reattore sperimentale "Triga". La
centrale è stata dismessa ma i suoi "pezzi" hanno continuato a
circolare sul mercato nero del nucleare. All'appello, tra l'altro, mancano
otto barre di uranio 235, sparite nel nulla e poi riapparse in Italia
(in mano alla mafia) nel 1998. Una fu recuperata dalla Guardia di Finanza;
delle altre non si sa più nulla. Anche questo caso è finito
nel database che raccoglie i 175 episodi, accertati, di traffico illecito
di materiale nucleare dal 1994 al 2000; materiale che continua a girare
il mondo in mano a trafficanti senza scrupoli con il rischio, sempre maggiore,
che qualcuno lo usi per fabbricare la cosiddetta "dirty bomb".
Questo senza naturalmente dimenticare i danni provocati dai proiettili
all'uranio impoverito usati in abbondanza negli ultimi conflitti e tutte
le testate nucleari legali che stati, più o meno potenti e democratici,
vantano nei propri arsenali militari.
Nessun timore quindi: militare e civile non sono settori collegati,
ed è tutto sotto controllo!!
Avvicinandoci ai problemi di "casa nostra ", è interessante rilevare
l'atteggiamento del governo italiano che pare accodarsi, come d'abitudine,
facendo proprie le linee guida definite dal burattinaio d'oltre atlantico.
Basti ricordare il decreto "sblocca centrali" dell'ottobre 2001 che, pur
trovando una parziale attenuazione nella sua traduzione in legge (n.55
aprile 2002), mirava ad una estrema semplificazione dell'iter necessario
per l'autorizzazione della costruzione di nuove centrali elettriche. Nello
stesso filone si colloca il documento approvato nell'aprile del 2002 dalla
commissione per le attività produttive della Camera che autorizza
le industrie italiane a partecipare ad attività di ricerca e di
produzione nel settore nucleare all'estero, buon ultimo, ma non meno significativo,
il provvedimento emanato con il decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
numero 59 del 12 marzo 2003, in cui Berlusconi ha dichiarato lo stato
di emergenza per i rifiuti radioattivi e ha conferito a Carlo Jean, numero
uno della Sogin (Società gestione impianti nucleari), poteri speciali
in qualità di commissario straordinario. Poteri degni dello stato
di guerra: il generale, su propria insindacabile decisione, può
infatti derogare a ben 21 tra leggi, decreti ministeriali, circolari e
contratti di lavoro. Questa scelta del governo è ufficialmente
giustificata da motivi di ordine pubblico legati al pericolo del terrorismo
internazionale.
La Sogin Spa è una società statale, ex società
Enel oggi del ministero del Tesoro, nata nel 1999, ha circa 700 dipendenti,
è presieduta, appunto, dal generale Carlo Jean. È stata
creata con l'obbiettivo di gestire lo smantellamento delle centrali nucleari
italiane e dei depositi di materiali radioattivi, la messa in sicurezza
delle aree contaminate e l'individuazione di un sito nazionale per lo
stoccaggio delle scorie radioattive.
Il programma ventennale di smantellamento (dovrebbe concludersi nel
2020) degli ex impianti nucleari italiani costerà 2.650 milioni
di euro (la stima è della Sogin). I costi almeno fino al 2004 verranno
sostenuti con un ricarico di 0,5 centesimi di euro per chilowattora dagli
utenti (altra fonte indica 0,04 centesimi).
Si tratta complessivamente di circa 55 mila metri cubi di materiale
a bassa, media e alta radioattività, di cui 35 mila metri cubi
relativi solo alle ex centrali. Questa valutazione, ha detto il presidente
della Sogin, Carlo Jean, alla commissione Ambiente della Camera, comprende
le attività di smantellamento degli impianti e quelle di gestione
del combustibile irraggiato e dei prodotti di riprocessamento fino al
loro conferimento al deposito nazionale. Non comprende eventuali maggiori
oneri derivanti da cambiamenti di strategia (per esempio l'esportazione),
né gli oneri associati alla sistemazione definitiva in un deposito
di tipo geologico del combustibile e dei rifiuti ad alta attività.
Non comprende, inoltre, le voci di costo delle attività preliminari
alla realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti.
Gli eventi dell'11 settembre, aveva detto Rubbia, commissario straordinario
dell'Enea, nel corso di un'audizione alla commissione Ambiente della Camera,
"hanno profondamente modificato la strategia da seguire per la messa in
sicurezza dei residui radioattivi e hanno introdotto un carattere di assoluta
urgenza". Prima dell'11 settembre, aveva proseguito, "la gestione di questi
materiali era esclusivamente determinata da considerazioni che esulavano
dalla volontà di nuocere. Oggi in Italia ci troviamo in una situazione
di intollerabile fragilità che deve essere urgentemente risolta".
Per questi motivi anche "Il deposito nazionale deve essere realizzato
nei tempi più brevi. Un sito unico, adeguatamente protetto, dà
più garanzie di sicurezza rispetto alla situazione attuale, con
tanti siti più difficili da sorvegliare ".
E il rischio di eventuali azioni terroristiche contro gli ex impianti
nucleari è aggravato dall'attuale situazione internazionale, come
rilevano Sisde e Sismi nell'ultima relazione inviata al Parlamento. In
attesa della realizzazione di un deposito centralizzato di rifiuti nucleari,
sostengono gli 007 nostrani, "la sicurezza del combustibile nucleare,
delle scorie radioattive e degli altri materiali irraggiati ha assunto
una crescente valenza nel quadro della continua evoluzione del rischio
terroristico, nonché in relazione all'eventualità di traffici
illeciti della criminalità organizzata".
Opplà il gioco è fatto, il governo prende la palla al
balzo e conferisce poteri eccezionali al generale Jean che, casualmente,
in precedenza aveva affermato: "L'iter è troppo farraginoso, occorre
velocizzare le procedure".
Quale è la situazione attuale?
Nell'ex reattore dell'impianto Fiat Avio di Saluggia, sito costruito
in un avvallamento in riva alla Dora Baltea, sono stoccati i rifiuti radioattivi
provenienti dalle ex centrali nucleari di Trino e Garigliano. Tre volte,
in dieci anni, il fiume ha rotto gli argini, invadendo depositi e laboratori.
L'episodio più grave nel 2000, quando la piena ha minacciato di
rovesciare nella Dora i liquidi di raffreddamento delle barre nucleari.
Tutti questi residui stoccati a Saluggia devono essere riprocessati presso
l'impianto di Sellafield nel Regno Unito.
Il contratto con la Bnfl, l'ente nucleare inglese, è stato stipulato
dall'Enel nel 1980 e prevedeva il ritrattamento di 105 tonnellate di biossido
di uranio presso la centrale nucleare di Sellafield, un impianto che è
anche utilizzato per estrarre uranio impoverito per i proiettili perforanti
e plutonio da usare in altri reattori ed eventualmente nelle testate nucleari.
Per onorare il contratto restano ancora 53,3 tonnellate da portare a
Sellafield.
Il combustibile ritrattato nell'impianto inglese diventerà, in
scala di pericolosità, uranio impoverito, materiale a bassa e media
attività e, in piccola percentuale, materiale ad altissima attività
radioattiva stoccato in blocchi vetrificati. Per contratto con la Bnfl,
dopo il trattamento ritornerà in Italia solo quest'ultimo materiale
ma, assicurano alla Sogin, solo dopo che sarà stato individuato
il sito di stoccaggio nazionale definitivo. Nel frattempo tutto resterà
lì, magari pagando un affitto. Il percorso del materiale radioattivo
parte da Saluggia su tir fino a Vercelli; da qui su treno fino a Modane
e al porto di Dunkerque; poi i due enormi "bidoni" saranno caricati su
una nave costruita apposta per i trasporti nucleari fino a un porto inglese
dal quale, via treno, arriveranno a Sellafield.
Concluso il trattamento, come già accennato, parte delle scorie
torneranno indietro e per quel tempo dovrà essere pronto il deposito
per lo stoccaggio definitivo.
Da decenni si cerca un sito italiano per la "sepoltura" delle scorie,
ma in molti anni di indagine, evidentemente inutile, sono stai individuati
ben 214 siti, senza che ci sia stata una scelta definitiva.
Il sito ideale, secondo Jean, è una miniera abbandonata, in un
territorio geologicamente stabile, poco popolato, che abbia nei dintorni
installazioni militari che garantiscono la protezione dagli attentati
di sostanze così pericolose. Senza compiere eccessivo sforzo d'immaginazione
pare proprio il ritratto della Sardegna che è stata, per il vero,
già nominata durante audizioni parlamentari successive alla presa
di potere incondizionato di Jean nella Sogin.
Un'altra soluzione è stata ventilata in seguito alle dichiarazioni
del commissario Enea, Carlo Rubbia, secondo il quale "per i rifiuti ad
alta attività riveste interesse anche il sistema innovativo che
prevede il bruciamento dei prodotti", in proposito, "si pensa di fornire
alla Russia il sistema per il quale noi siamo già in fase avanzata
e in cambio potremmo trasferire in quel paese il nostro combustibile irraggiato".
Tecnologia italiana alla Russia in cambio del combustibile nucleare
irraggiato presente in Italia, di questa possibilità, pare abbiano
parlato anche Berlusconi e Putin, nel corso dei loro incontri.
L'eventuale trasferimento in Russia, ha sottolineato il presidente della
Sogin, "non farà comunque cessare l'esigenza di individuare un
deposito nazionale. Non bisogna dimenticare che, a parte l'eredità
nucleare delle vecchie centrali, vengono prodotte ogni anno in Italia
500 tonnellate di scorie radioattive da ospedali e industrie".
Comunque, entro il mese di giugno il sito dovrebbe essere definitivamente
indicato.
Per concludere, vale la pena di ricordare, che per quanto riguarda le
procedure di "decommissioning" delle centrali italiane si è scelta
la soluzione di smantellamento accelerato che pur durando decenni risulta
più veloce del metodo detto Saftor, da safe storage (stoccaggio
sicuro) che prevede che la centrale dopo aver concluso la sua attività
venga mantenuta intatta e conservata con un immagazzinamento protettivo
per un lungo tempo (fino a 60 anni) per essere "smontata" solo successivamente.
Jean, per gli appalti di messa in sicurezza dei siti, sceglie il metodo
di "affidamento diretto - si legge in una delle ordinanze - delle attività
a soggetti in possesso dei necessari requisiti tecnico-professionali,
con preferenza tra quelli che sono risultati già aggiudicatari
in Sogin Spa di attività analoghe, previa approvazione del commissario
delegato".
Da quando ha ricevuto l'incarico, il commissario delegato ha emanato
diverse ordinanze alcune delle quali con degli omissis... (ma quanti saranno
i segreti che accompagneranno questa vicenda prima della sua conclusione?).
Coordinare i lavori, decidere sulle infrastrutture da smantellare (le
ex-centrali nucleari) e da costruire (deposito per le scorie), è
un'operazione "molto delicata" perché interessa la salute dei lavoratori,
dei cittadini e, non scordiamolo, muove un giro di affari milionario.
Indispensabile, quindi, tenere gli occhi aperti!
Marco Tafel
consigliato:
http://lists.peacelink.it/voce/msg00274.html
http://lists.peacelink.it/voce/msg00274.html per un approfondimento sul
generale Jean
le fonti utilizzate:
http://www.ilnuovo.it
http://www.larepubblica.it
http://www.liberazione.it
http://www.ilmanifesto.it
http://www.italy.indymedia.org
http://www.lanuovaecologia
http://www.dirittoambiente.com
http://www.cgil.it/fnle
http://www.iaea.org
Quark n.17; Le Scienze n.402 / 416; Umanità Nova n.37/2000; n.
3-16-19/2001; n. 11-15/2002.
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