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Da "Umanità Nova" n. 25 del 6 luglio 2003

Vecchio modello
Fiat: un rilancio verso l'ignoto



I grandi giocatori amano rilanciare in condizioni disperate. È quanto sta avvenendo nel sistema Fiat, con l'ultimo aumento di capitale deliberato il 26 giugno, e previsto nelle settimane centrali di luglio, prima dunque di dover comunicare al mercato l'andamento complessivo del primo semestre 2003, che alcuni definiscono imbarazzante ed altri disastroso.

La fase che ha preceduto la stesura del piano industriale ed il connesso aumento di capitale è stata usata dalla Fiat per fare "cambiare il clima" attorno a sé. La successione di Umberto Agnelli al più famoso fratello è stata spesa con grande tatto diplomatico, cercando di ricostruire attorno alla Fiat quel consenso servile che in passato era considerato un atto dovuto e che invece, negli ultimi tempi, la famiglia ha dovuto imparare a sudarsi. Mai prima del 2002 la Fiat era stata fatta segno di attacchi così pesanti da parte dei media, della classe politica, della stessa congrega confindustriale. Il veto a criticare la Fiat si è sgretolato e le accuse, il più delle volte meritate, sono piovute a catinelle, spesso dai pulpiti meno probabili. Umberto Agnelli ha accettato come amministratore delegato un uomo imposto dalle banche (Morchio) e ha impostato una strategia di riavvicinamento alle istituzioni che contano. Ha cercato di riportare il governo dalla propria parte e ha tenuto un discorso distensivo all'assemblea di Confindustria, in mano al "piccolo imprenditore" D'Amato dopo la sconfitta, a suo tempo, dell'uomo Fiat Calleri. Infine ha cercato di riguadagnare un trattamento amichevole da parte dei media e ha raccolto i risultati: quasi non passa giorno senza che la Rai mandi uno spot pubblicitario sui nuovi modelli Fiat travestiti da servizi giornalistici.

Certo restano i refrattari: la GM, le banche, il Financial Times e la Fiom (con la sua stampa "fiancheggiatrice"). Cominciamo da quest'ultima e dalla recente iniziativa che l'ha portata a stilare, insieme alla Banca della Solidarietà di Sergio Cusani, un contro-rapporto sui bilanci Fiat e sulle sue prospettive future. Il rapporto Fiom è stato definito catastrofista, non senza qualche ragione. Lo studio parte da una considerazione assai preoccupata sull'andamento del primo semestre 2003, che sarebbe in passivo di circa 1.400 milioni di euro. Procedendo di questo passo, sostengono la Fiom e Cusani, la Fiat si avvierebbe verso il default nel 2004, cioè il fallimento ed il deposito dei libri in tribunale. Tra il 2004 ed il 2006 ci sarebbero 8 miliardi di euro di obbligazioni in scadenza e la Fiat non sarebbe in grado di onorarli, perché la macchina continua a produrre perdite, né vi sarebbero altre attività di valore da alienare per fare cassa, oltre alle dismissioni già effettuate. La prospettiva sarebbe dunque un fallimento tecnico, seguito da una conveniente acquisizione da parte di GM di ciò che interessa ai padroni di Detroit. Un altro caso Daewoo, in poche parole.

La Fiom ha fatto uno studio analitico del disastro finanziario Fiat lavorando sui bilanci ufficiali. La Fiat sostiene che si tratta di congetture, che il volume dei debiti indicato dal rapporto è sbagliato, in quanto va deconsolidato il debito Fidis, ceduta alle banche proprio per abbassare l'indebitamento globale e rientrare dentro parametri più accettabili, a livello di centrale rischi Banca d'Italia. Sia come sia, resta da capire come la Fiat intenda ritornare a produrre utili. Proprio nel giorno in cui veniva reso noto il nuovo piano industriale (il quarto in due anni), il Financial Times nella sua prestigiosa "lex column" riprendeva a bastonare il Lingotto. Secondo il quotidiano inglese non si capisce come la Fiat possa credere di ottenere soldi freschi dal mercato dopo aver dato prova di essere un "dissennato dissipatore di capitale altrui". L'azienda torinese non avrebbe il coraggio e la determinazione di attuare un vero piano di rilancio, frenata dalle resistenze politiche e sindacali tipiche del "caso italiano". Il nuovo piano sarebbe un ennesimo fallimento destinato a bruciare nuove risorse.

Un po' più abbottonato l'atteggiamento di GM e banche. Sondata a più riprese sulle sue intenzioni, GM ha preso tempo e non ha mandato alcun segnale incoraggiante per il Lingotto. Impegnata in una mostruosa operazione per recuperare capitali freschi (13 miliardi di dollari) destinati a rifinanziare il suo fondo pensioni in grave crisi, la casa di Detroit non può e non vuole mettere, adesso, altri soldi in Fiat. Preferisce scendere di quota ed attendere gli eventi, sfruttando i 18 mesi che gli restano per prendere decisioni definitive. Le banche hanno invece assunto un atteggiamento diversificato: Intesa e Unicredit si sono dette disponibili a rifinanziare la Fiat, Sanpaolo e Capitalia si sono espresse in modo molto più freddo. Il principale problema delle banche è rientrare dei propri crediti, ma sul modo e sui tempi c'è divergenza di opinioni. Se la vendita dell'auto a GM si allontana nel tempo (o diventa addirittura aleatoria), se tutte le principali partecipazioni sono già state vendute, se tutta la posta viene puntata sul rilancio dell'auto, allora la scommessa diventa davvero rischiosa.

E se il rilancio dell'auto fallisse? Cosa resterebbe del sistema Fiat tra 2/3 anni se il mercato non dovesse premiare i modelli del Lingotto? Su cosa ci si potrebbe rivalere? La risposta a queste domande è, oggi, impossibile. Quello che c'è, di concreto, è solo il piano Morchio.

Il piano Morchio prevede un aumento di capitale da 1,8 miliardi di euro. Sono pochi rispetto al volume considerato necessario per impostare un rilancio vero, ma sono il massimo consentito per la famiglia, che non ha altri soldi da investire e che vuole rimanere sopra il 30% come quota di controllo. Quindi si parte da qui, da una cifra che, se sono vere le stime della Fiom, serve a coprire poco più di un semestre di perdite operative. Naturalmente, messa così, si capisce che è un pacco e che le riserve dei "refrattari" sono più che giustificate. Per indorare la pillola si organizza una bella "conference call" e si monta la panna con cifre, scenari, prospettive ben diverse. Da qui al 2006 si parla di 19,5 miliardi di nuovi investimenti (ricerca e sviluppo, nuovi modelli, rete commerciale), ma in realtà il grosso dei risparmi effettivi viene realizzato con la chiusura di stabilimenti e la riduzione di personale. 12 stabilimenti chiusi, 12.300 tagli all'organico, di cui 2.800 in Italia e 9.500 in altri paesi. A fronte di questo, si ventila la possibilità di 5.400 assunzioni, di cui 1.600 in Italia. La scure colpisce stavolta soprattutto Iveco e Case-NewHolland. In Italia la Fiom individua come fabbriche a rischio la CNH di Modena e la Iveco di Brescia. La Fim pensa invece allo stabilimento milanese della Magneti Marelli. Metà dei tagli riguarderà dirigenti e impiegati, l'altra metà gli operai.

La strategia della Fiat sembra rifocalizzarsi sull'Europa, allargata a Polonia, Russia e Turchia, con il consolidamento sui mercati di Brasile e Cina. Tutto il resto va chiuso. L'auto ritorna come "core business", si dichiara di voler rilanciare il marchio Lancia, si riparte con i modelli nuovi. Si prende atto del fallimento della diversificazione geografica e settoriale, vera causa del disastro attuale. Tuttavia le variabili che incombono sul rilancio Fiat sono numerose e importanti: oggi la Fiat lavora al 70% delle proprie capacità, contro un 85% della Volkswagen e il 100% di alcuni stabilimenti Peugeot. Questo divario tra potenziale produttivo e domanda effettiva può essere colmato solo in due mondi: aumentando il venduto o riducendo il potenziale. Se il venduto effettivo annuo dovesse attestarsi sul milione di auto, contro l'1,5 di potenziale, è evidente che un altro 30% sarebbe destinato a sparire, con altre decine di migliaia di posti di lavoro a rischio ed una deriva inarrestabile verso lo smantellamento e la svendita a GM.

La Fiat si gioca quindi la sua ultima carta: se questa scommessa viene perduta, non ci saranno alternative, a meno che lo stato intervenga direttamente nel capitale Fiat con una nazionalizzazione improbabile, in barba a tutte le leggi comunitarie. Nelle prossime settimane vedremo se il tentativo Fiat di drenare nuovi soldi al mercato verrà premiato o se, ancora una volta, saranno le banche, sotto pressione di Bankit e governo, a doversi fare carico dei problemi del Lingotto. Nella fase immediatamente successiva, comunque vadano le cose, ci sarà il via libera al piano di razionalizzazione e 12.300 lavoratori riacquisteranno, malvolentieri, la propria libertà. Lavoriamo sin da ora perché le loro ragioni trovino ascolto, solidarietà, modo di esprimersi. Ancora una volta gli errori gestionali, le strategie sbagliate, l'ingordigia di una famiglia pletorica e parassitaria, ricadono sulle spalle di tecnici, impiegati e operai che hanno sempre lavorato duramente senza altra ricompensa che un misero salario. La loro situazione, la loro lotta, in qualunque zona del mondo essi vivano, è un problema di tutto il movimento.

Renato Strumia

 

 

 


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