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Da "Umanità Nova"
n. 26 del 13 luglio 2003
Africa
Continente sommerso
Sei miliardi di individui che compongono il pianeta terra rappresentano
una cifra talmente enorme da risultare irrilevante il destino di ciascuno
di quei sei miliardi. Non potendoli abbracciare tutti quanti, neanche
con lo sguardo, un certo effetto di velamento ci oscura la vista su ciascuno
di essi, che tuttavia costituisce il perno di ogni concezione filosofica
e politica di una vita degna di essere vissuta, e possibilmente in libertà
ed eguaglianza, secondo le nostre idee.
Sono ormai decenni che poco meno di un sesto della popolazione mondiale
subisce un destino avverso di nascondimento delle proprie vite e delle
proprie tragedie dalle agende geopolitiche planetarie e, peggio, dalle
agende di esperienza di ciascuno di noi esseri umani bianchi occidentali.
Sono uomini e donne, neonati e anziani, straziati da guerre civili condotte
all'arma bianca, da omicidi quotidiani mascherati da fame e malattie curabili
sradicabili altrove ma non in quei luoghi e con quei redditi di miseria,
da stragi ricorrenti causate da una ricerca spasmodica di mezzi improbabili
per sopravvivere un giorno in più - peggio della legge della giungla
per gli animali più deboli, ma l'immagine pecca forse per difetto.
Stiamo riferendoci al continente africano, martoriato da sempre per
le sue ricchezze. Già, ricchezze di culture, civiltà, uomini
e donne venduti come schiavi, risorse minerali depredate, fonti energetiche
che alimentano povertà e conflitti. Senza ripercorrere le tristi
vicende del miliardo o poco giù degli africani residenti nel continente,
ossia senza contare gli afro-americani figli degli schiavi e senza contare
gli assimilati ex-colonizzati nel territorio europeo, è sufficiente
dare uno sguardo alla carta geografica solo per immedesimarsi tanto in
una condizione che definire sub-umana suona eufemistico, quanto e soprattutto
in un modello micidiale di desviluppo e deculturazione che stermina intere
popolazioni e intere generazioni. Dall'apartheid sudafricano al genocidio
ruandese, dal primo conflitto panafricano sul suolo congolese alla guerra
per fame tra etiopi e eritrei, dal petrolio off-shore in Nigeria che produce
sempre più miseria e disperazione (sino alle stragi di centinaia
di civili che si mettono in coda lungo gli oleodotti per intercettare
qualche litro di preziosissimo liquido da rivendere) all'ultima carneficina
in Liberia, in Costa d'Avorio, tra gli Ituri congolesi, per non dimenticare
l'annosa questione del popolo nomade sahrawi o degli algerini in preda
alla mattanza fondamentalista e militare.
Le responsabilità storiche e attuali delle grandi potenze sono
risapute e notorie: gli inglesi di Churchill ad inizio XX secolo, i belgi
che hanno fomentato la divisione sociale tra hutu e tutsi discriminando
a turno i rispettivi gruppi socio-etnici, i francesi con la loro grandeur
imperiale i quali stanno lasciando la poltrona principale al business
a stelle e strisce che trova nel petrolio sottomarino una fonte di tutto
rilievo rispetto al fabbisogno energetico dello stile di vita i 250 mln
di nordamericani viziati, in modo da bilanciare la loro dipendenza dal
Venezuela e dal Medio oriente e da approfittare così al tempo stesso
di un predominio d'area.
Ma l'Africa resta un continente ignoto non per i nuovi padroni, bensì
per il movimento, quello più ampio per il quale le immagini di
fame e di aids non sono più politicamente e mediaticamente sufficienti
per mobilitare in modo permanente una attenzione non solo legata alle
migrazioni controllate dalle mafie locali e transnazionali; ma anche il
nostro movimento ha molto da imparare dall'Africa, non solo dai movimenti
libertari e operai che nello scorso secolo si sono affacciati con grande
timidezza, per così dire, nel panorama delle lotte emancipatrici,
ma pure per maturare un meticciato culturale intorno alle comunità
di autogoverno, alle modalità di scambio via dono senza moneta,
elementi che caratterizzavano le civiltà africane nei secoli trascorsi
e che ora vengono rivalutati per offrire una via di uscita non regressiva
né sterminatrice al miliardo o poco giù di esseri umani
che sì hanno bisogno di aiuti e tecnologie dolci e risorse alimentari
e tanto altro ancora, ma hanno soprattutto l'esigenza di venire rispettati
per quello che possono offrire alla storia dell'umanità sull'onda
di una civiltà millenaria che può insegnare oltre che apprendere
anche al mondo ipermoderno e luccicante segnato dai mercanti di armi e
di morte.
Salvo Vaccaro
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