archivio/archivio2003/un01/unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 26 del 13 luglio 2003

Spezzano Albanese 21 22 23 24 agosto
Idee, sperimentazioni e pratiche di autogoverno



Il tanto decantato "villaggio globale"

Il sistema sociale gerarchico prosegue incessante la sua lotta contro il genere umano e contro ogni altra forma di vita, per continuare ad imporsi con la barbarie, che però a seconda del campo dove la applica, la chiama flessibilità, accoglienza, sicurezza, uso saggio delle risorse naturali, missioni di pace, intervento umanitario, guerra al terrorismo, guerra infinita, preventiva, ecc.:

  • nel nord come nel sud del pianeta, innumerevoli schiere di persone elemosinano lavoro ed indirettamente lo sfruttamento che ne consegue;
  • i servizi sociali ormai aziendalizzati, in mano a privati o allo stato, migliorano per i pochi (i ricchi) e peggiorano per i molti (i poveri);
  • proliferano liberamente le mafie in campo economico e politico, si rafforzano gli apparati repressivi e giudiziari nei confronti di chi si ribella e lotta contro le iniquità sociali, mentre la sicurezza del sistema di dominio viene spacciata per sicurezza civica;
  • si deturpa e si saccheggia il territorio, vengono imposte coltivazioni forzate, si distrugge l'ecosistema, si lasciano nella miseria più completa intere popolazioni del sud del mondo, derubate nelle materie prime e risorse naturali;
  • ovunque la guerra per il dominio assoluto nel mondo, definita a seconda del momento, pulizia etnica, umanitaria, preventiva, permanente, consuma veri e propri genocidi seminando la morte non solo per gli esseri umani, ma anche per animali e ambiente;
  • sempre più innumerevoli schiere di popoli, costrette dalla barbarie della guerra, dalla fame e dalla miseria emigrano dalle loro terre, per finire relegate come bestie nei moderni lager (case di accoglienza) della tanto osannata civiltà occidentale, in attesa di essere dati in pasto al neoschiavismo liberista, alla delinquenza, alla mafia; ecc.

È questo il tanto decantato "villaggio globale" che il sempre attivo cantiere gerarchico del democratico sistema del capitalismo internazionale infaticabilmente costruisce giorno dopo giorno, servendosi della forza lavoro di coloro che di questo "villaggio globale" sono i moderni schiavi.

Il sonno della ragione provoca mostri

La borghesia, che su questo motto ha permeato la propria rivoluzione proponendosi il ruolo di cultrice e coltrice della ragione, del paradosso di questo motto è oggi lo specchio fedele.

Ha preteso di realizzare libertè, fraternitè, egalitè ma poggiando il suo credo sociale sulla democrazia delegata in campo politico e sul capitale in campo economico, a gerarchia ha sostituito gerarchia, a sfruttamento ha sostituito sfruttamento, a mostri ha sostituito mostri lasciando versare la ragione in un sonno profondo.

La stessa identica sorte è toccata a quelle scuole politiche che hanno preteso di giungere ad una società egualitaria attraverso la gerarchia (autodefinitesi rivoluzionarie o socialdemocratiche), con la differenza che mentre alcune sono già inesorabilmente implose, altre continuano paradossalmente a marciare a braccetto col sistema di potere contro il quale erano sorte. A trionfare, dunque, è sempre il dominio.

Il dominio dei padroni e delle istituzioni gerarchiche. Il dominio dei pochi sui molti, che nelle realtà produttive passa attraverso la gerarchia d'impresa e nelle realtà politiche e sociali attraverso la scala gerarchica di amministrazioni comunali, provinciali, regionali, nazionali, continentali, intercontinentali e di strutture associative presenti nel sociale che di queste ultime riproducono pari pari l'impostazione piramidale.

Ma questa non è l'unica società possibile

Perché non è una società data. È una società costruita su un modello anziché su un altro. Ed a costruirla e mantenerla in vita sono i suoi componenti. Dunque, come è stata costruita così può essere destrutturata e rifondata su un nuovo modello. Quanti non condividono e né si riconoscono nell'attuale modello sociale possono, sempre che lo vogliano, riformulare e praticare da liberi e da eguali il vivere in società fuori dal recinto gerarchico.

Utopisti continuano ad essere definiti coloro che alla libertà vogliono giungervi attraverso la libertà, quanti affermano che non ci può essere transizione verso una società egualitaria se si lascia in vita la gerarchia, o meglio se proprio dell'emblema di quest'ultima, ossia dello stato, ci si vuole servire per realizzarla.

Intanto, l'incoerenza genera il paradosso, e paradossale risulta infatti oggi il progetto di quanti hanno ritenuto di poter costruire la libertà con la gerarchia annidandosi negli stati già esistenti o dando vita a degli altri. Infatti, anziché determinare la realizzazione di una società egualitaria sono finiti col partecipare alla conservazione di quel sistema di società borghese che intendevano distruggere: l'utopia cosmopolita della borghesia illuminista marcia, oggi come ieri, a suon di guerre fra le varie fazioni nazionali e imperialiste a danno di inermi popolazioni, con la forza delle bombe "intelligenti", "umanitarie", "preventive" e con le altre sofisticate armi della flessibilità, dell'accoglienza, della sicurezza, dell'uso saggio delle risorse naturali, ecc., verso la globalizzazione di un "potentato di cittadini del mondo" che si candida a diventare democratico dominatore assoluto di un mondo di neoschiavi.

Per ironia della storia, dunque, l'accusa di utopismo ricade su coloro che l'hanno teorizzata, mentre le aspirazioni libertarie contro le quali l'accusa venne a suo tempo lanciata, continuano a rappresentare l'alternativa possibile alla barbarie. Un'alternativa che oggi ad esempio trova vigore, anche se con variegate sfaccettature, in variegate anime del movimento noglobal e contro la guerra. Un'alternativa che vive in nuce in una miriade di strutture autorganizzate, autogestionarie e di base presenti nel mondo del lavoro e nel sociale. Un'alternativa che vivacizza correnti di pensiero e dibattito in vari settori culturali.

All'azione libertaria il fare da sprone

Nuovi orizzonti si schiudono per l'azione libertaria. Orizzonti che necessitano di profonde analisi, di sviscerate discussioni, di una radicale prassi sociale autogestionaria, antiautoritaria, antigerarchica. Orizzonti che la spronano a spronare gli altri per insieme disegnare una progettualità gradualista ma rivoluzionaria protesa nel contempo alla distruzione dell'esistente ed alla costruzione dell'alternativa, di una progettualità che non si accontenti di un mero rivendicazionismo ma che sappia andare oltre, che sappia orientarsi verso la realizzazione già nell'oggi delle basi su cui edificare la società del domani. Se la prassi rivendicazionista rappresenta senza dubbio una ginnastica rivoluzionaria, protesa a far comprendere agli sfruttati ed agli oppressi che lottando si possono migliorare le proprie condizioni di vita, la prassi proiettata alla realizzazione di una società alternativa al dominio deve invece rappresentare la certezza di come ciò sia possibile cominciare a realizzarlo già nell'oggi:

  • smascherare nel campo economico le contraddizioni e i paradossi del dominio;
  • non estraniarsi da coloro che lottano per stimolarli a comprendere che è possibile trasformarci in artefici del nostro vivere in società, in artefici di una prassi di organizzazione politica ed economica diversa da quella gerarchica.
  • spronare chi lotta a non fermarsi nel chiedere ai padroni, a non lasciare inalterate le cause che rendono possibile lo sfruttamento e il profitto, a indirizzare la lotta verso l'esproprio e la socializzazione dei mezzi e degli strumenti di produzione, a proiettare l'azione verso l'autogestione economica, a rilanciare ad esempio il cooperativismo delle origini mutualista e solidale, a costruire una rete autogestionaria di produttori e consumatori, autonoma dallo stato e dal potentato economico, relazionandola alle lotte dei lavoratori salariati e di tutte le fasce sociali meno abbienti;
  • agire nella sfera politica e sociale delle comunità in cui ognuno di noi vive e opera con una prassi che non si limiti a partecipare o a fungere meramente da controllo alle decisioni delle amministrazioni di stato, dimostrare con la prassi comunalista della democrazia diretta come a decidere ed a praticare la risoluzione delle problematiche territoriali (servizi, ambiente, ecc.) possano essere i diretti interessati, i lavoratori, i disoccupati, i pensionati, gli studenti, sia in quanto tali che in quanto "cittadini".

Ecco è su una simile prassi libertaria che riteniamo sia giunta l'ora di interrogarci. Una prassi che non si nutra di illusioni riformiste e neppure di una rivoluzione di cui si aspetta lo scoppio per poi rimandarne il fine, bensì una prassi gradualista rivoluzionaria che trovando linfa nel conflitto si progetti giorno dopo giorno, fuori dalle istituzioni del potere, con strutture autorganizzate ed autogestionarie, che a partire dalle municipalità prefigurino in nuce la "società altra": la società dell'autogoverno.

FMB - Federazione Municipale di Base di Spezzano Albanese

 

 

 


Contenuti  UNa storia  in edicola  archivio  comunicati  a-links


Redazione fat@inrete.it  Web uenne@ecn.org  Amministrazione  t.antonelli@tin.it