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Da "Umanità Nova"
n. 27 del 7 settembre 2003 Berlusconi e le pensioni
Intenzioni ed ossessioni
Come era facile prevedere, il dibattito politico tardo-estivo è ripreso
dal tema delle pensioni. Dopo un'estate trascorsa in febbrile attività
in una delle sue numerose tenute sarde, Silvio Berlusconi ed il suo circo
vagante hanno deciso di dare fuoco alle polveri lanciando la proposta/proclama
di mettere mano alle pensioni allungando di cinque anni la vita lavorativa di
ogni italiano. Si tratterebbe, secondo una delle innumerevoli precisazioni
piovute nei giorni successivi, di portare a 60 anni entro il 2010 il requisito
anagrafico minimo per poter accedere al pensionamento, per poi inasprire
gradualmente le condizioni negli anni, in modo da arrivare, a regime, agli
auspicati 65 anni. Le pensioni si confermano così come uno degli assi
privilegiati di intervento di ogni tipo di governo, calpestando non solo il
concetto di diritto acquisito, ma polverizzando ogni ragionevole certezza di
dover lavorare un certo numero di anni, prima di accedere ad una prestazione
definita.
D'altronde lo sfondamento sulle pensioni rappresenta un importante obiettivo di
questo governo e l'insistenza su questo terreno riflette l'ossessione
ricorrente di tornare laddove, nel 1994, il primo esecutivo Berlusconi dovette
subire la più cocente delle sconfitte. Viceversa la sinistra, alleata
con i governi tecnici prima, e con il centro democristiano poi, è
riuscita sinora a toccare le pensioni ben tre volte, nel 1992 con Amato, nel
1995 con Dini, nel 1997 con Prodi e non perde occasione per legittimarsi, agli
occhi della Confindustria, della classe dirigente e degli organismi comunitari,
come l'unica coalizione seria, affidabile, responsabile e determinata a
riformare il welfare italiano, gestendo il passaggio senza scontro sociale e
con il preventivo consenso dei sindacati. Si capisce così come il
centro-destra consideri le pensioni il banco di prova decisivo, il test
fondamentale per dimostrare di colpo ai padroni, all'opinione pubblica
internazionale ed ai circoli che contano in Europa, che la destra sa attuare i
suoi programmi con la fermezza necessaria, in presenza o meno del consenso
sindacale, come a sua volta seppe fare in Gran Bretagna la Thatcher. Tutta la
prima metà della legislatura è stata spesa, in fondo, per
preparare questo scontro. Il prolungato braccio di ferro sull'articolo 18 e
sulla riforma del mercato del lavoro non facevano altro che avviare a
compimento la flessibilizzazione introdotta dai governi dell'Ulivo con il
pacchetto Treu. La riforma fiscale si è dimostrata sinora una
chiarissima bufala, con livelli di aliquota addirittura aumentati sulla parte
medio-bassa della griglia dei redditi, mentre le uniche a beneficiare veramente
della riduzione di Irpeg ed Irap sono state le imprese. La struttura del
bilancio statale non è però stata aggredita, le misure delle
finanziarie precedenti hanno incluso prevalentemente provvedimenti
straordinari, a partire dalla massiccia batteria di condoni tombali, per
arrivare allo scudo fiscale a copertura del rientro dei capitali dall'estero. I
tagli di spesa sono stati consistenti ed hanno insistito sulla riduzione dei
trasferimenti agli enti locali, aggravando il dissesto della finanza locale e
provocando una pesante riduzione dei servizi offerti e/o un rincaro delle
rispettive tariffe, ma non si può seriamente sostenere che il
centrosinistra avrebbe fatto qualcosa di diverso.
In sostanza, mi sembra corretto sostenere che il governo si è inventato
per il 2002 ed il 2003 delle misure una-tantum per prendere tempo, ma adesso ha
esaurito le pile e deve fare un salto di qualità, rischioso
finché si vuole, ma necessario alla sua stessa sopravvivenza. La
rissosità degli alleati deve essere ricondotta a coerenza e tutti devono
capire che il carro è guidato da Berlusconi: chi non se la sente
è pregato di scendere.
Il problema del governo è raccogliere le forze necessarie ad affrontare
questa battaglia, tenendo presente che tutti gli altri canali per ridurre la
spesa sono ostruiti: la spesa sanitaria è incomprimibile senza toccare
direttamente gli interessi delle grandi multinazionali farmaceutiche o mandare
in rovina le regioni; il settore pubblico ed suoi addetti sono un nervo
scoperto per quei sindacati che il governo ha sempre cercato di ingraziarsi per
dividere il fronte e isolare la Cgil e gli extra-confederali.
A livello europeo i problemi sono esattamente gli stessi che in Italia. In
Francia il governo Raffarin ha sfidato il settore pubblico per imporre
l'equiparazione al settore privato, dove già si andava in pensione con
40 anni di lavoro. In Germania il governo Schroder ha impostato una politica di
ristrutturazione del welfare che impone un pesante ridimensionamento del
sistema pensionistico pubblico. Ovunque i sindacati si trovano in forte
difficoltà a contrastare questi progetti, che vengono presentati come
una riscrittura della costituzione materiale europea, necessaria per consentire
alla Comunità di sbloccare la stasi economica ed agganciare la ripresa
mondiale. I tassi di crescita dell'economia Usa e di quella Japan sono tornati
a macinare percentuali positive e si pensa che il 2004 consolidi finalmente il
rilancio produttivo e commerciale, mentre i principali paesi europei lottano
strenuamente per restare al di sopra delle zero, in alcuni casi senza
riuscirci. Inoltre le "rigidità" della struttura produttiva europea
continuano a far sì che sia l'inflazione che i tassi d'interessi restino
superiori a quelli delle aree economiche concorrenti, mentre il rafforzamento
dell'euro provocato dalla deliberata svalutazione del dollaro ostacola in
misura crescente la ripresa europea.
Berlusconi vuole quindi approfittare del semestre europeo a guida italiana per
ottenere due obiettivi: candidare la leadership europea moderata (rappresentata
da se stesso) a guidare i processi di riforma del welfare anche senza consenso
sindacale, scalzando l'idea di una condanna a vita al modello della coesione
sociale; usare l'ombrello di protezione europeo per fare passare all'interno
una riforma mal digerita dai propri alleati, contrastata dall'opposizione e
combattuta un po' da tutte le forze sindacali.
Il passaggio è naturalmente assai delicato: A.N. è ben decisa nel
chiedere modifiche graduali e concordate socialmente, la Lega si è fatta
paladina delle pensioni di anzianità del Nord, l'U.D.C. è un
partito di mediazione per definizione. Il centro-sinistra è naturalmente
tentato di lasciare andare avanti Berlusconi su questo terreno insidioso in
attesa di vederlo rompersi le corna, ben sapendo in fondo che il lavoro sporco
da qualcuno va fatto ed un eventuale ritorno al governo, tra tre anni, potrebbe
essere molto più agevole con le pensioni già tagliate.
In realtà la situazione non può tecnicamente essere risolta a
breve: è impossibile pensare di risolvere nell'immediato i problemi
della finanza pubblica facendo cassa sulle pensioni, anzi ogni nuovo allarme
accelera la rapida fuoriuscita di tutti gli indecisi, aggravando la situazione
nel breve periodo. Allungare l'età pensionabile può essere fatto
con gli incentivi appropriati, come dimostra la buona accoglienza che ha
ottenuto la proposta (molto generica) di Maroni per riconoscere il 30% di
salario in più a chi, pur avendo maturato il diritto, posticipa il
pensionamento. Questa proposta utilizzerebbe il risparmio sui contributi
previdenziali per appesantire le buste paga, ma non è certo in grado di
risolvere tutti i problemi: oltre al blocco del turn-over, che terrebbe fuori
altri giovani dal mercato del lavoro (alla faccia della solidarietà
inter-generazionale), la soluzione Maroni andrebbe in netto contrasto con la
politica padronale dei pre-pensionamenti e il taglio del costo del lavoro
ottenuto per questa via, sostituendo vecchi garantiti con giovani precari.
È difficile quindi che Berlusconi ottenga, in questo contesto, un
lasciapassare generale per fare qualcosa di significativo. Probabilmente
è più verosimile la tesi, cislina, che la sua uscita sia tesa ad
ottenere più cose da alleati malfidati in una fase cruciale in cui la
maggioranza non è d'accordo quasi su niente.
In ogni caso i mesi a venire porranno sul tappeto questioni molto serie che
l'opposizione sociale dovrà affrontare con tutta la forza e
l'intelligenza di cui è capace.
Renato Strumia
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