archivio/archivio2003/un01/unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 27 del 7 settembre 2003

No Border Camp in Puglia
Un'occasione persa?


Dal 21 al 27 luglio, in Puglia, si è tenuto il primo No Border Camp italiano. Il tema principale dei dibattiti e delle azioni svolte durante il campo è stato quello antirazzista, ed in particolare la lotta contro i centri di permanenza temporanea e per la libertà di circolazione.

La Rete No Border, che ha aderito e promosso il raduno, è attiva a livello europeo dal 1999: è un coordinamento di gruppi e di realtà di base che lavorano sulle tematiche riguardanti i migranti e si battono contro le frontiere e per la libertà di movimento. I diversi gruppi che ne fanno parte si tengono in contatto prevalentemente attraverso internet e si ritrovano due volte all'anno, in diverse località europee, per organizzare e coordinare le attività e le azioni.

Quest'anno si sono svolti svariati No Border camp in tutta Europa, basati su un'organizzazione assembleare e antiverticista.

Il campeggio pugliese era organizzato dal Tavolo Migranti del Social Forum italiano e dal Lecce Social Forum con l'adesione, oltre alla Rete No Border, di diverse realtà antirazziste europee e si preannunciava come un buon momento di incontro e di scambio.

Nella realtà i disobbedienti (soprattutto quelli meridionali), ansiosi di mettere radici in terra salentina, hanno cercato (ma ci sono riusciti solo in parte) di usare il campo come una bella vetrina ed i suoi partecipanti come delle pedine da manovrare.

A dimostrarlo vi sono innanzituttodue fatti:

1. la presenza delle figure più rappresentative tra i disobbedienti del sud, che hanno svolto un ruolo organizzativo spesso al di fuori delle assemblee generali.

2. due azioni compiute dagli stessi disobbedienti senza che la stragrande maggioranza dei partecipanti ne sapesse niente: la prima è stata l'occupazione dell'ufficio del lavoro a Lecce la mattina del 23 luglio (quindi nei primi giorni), compiuta da qualche decina di attivisti (che naturalmente ne hanno anche gestito la conferenza stampa) senza che fosse stata prima concordata in alcuna assemblea. La seconda è stata un'azione contro il cpt di Bari Palese, organizzata da un gruppo ristretto (sempre formato soprattutto da ex-tute bianche) all'interno del campeggio e portata a termine tagliando la rete di recinzione ed entrando per pochi metri all'interno del centro di detenzione. Quella che voleva essere un'azione puramente mediatica si è trasformata in un diversivo che ha permesso ad alcuni immigrati, rinchiusi nel centro, di fuggire.

L'intento esclusivamente dimostrativo dell'azione è dimostrabile dal fatto che fino ad oggi non si abbia alcuna informazione su quanti immigrati siano riusciti realmente a fuggire né sulle modalità di fuga o sulla condizione dei reclusi.

In ogni caso il centro di Bari Palese, in seguito all'azione, è stato chiuso e i detenuti trasferiti.

Tornando al No Border camp, negli ultimi giorni si è formato un gruppo di affinità che ha riunito le anime libertarie presenti ed ha evidenziato le numerose contraddizioni che diventavano sempre più palesi, cercando (e a volte riuscendo) di sviluppare una gestione del campeggio che fosse concretamente orizzontale e assembleare.

Ad ogni modo ci sono stati anche aspetti positivi: interessante è stata l'azione al cpt Regina Pacis il 24 luglio, che ha visto un contatto (seppur dall'esterno) con gli immigrati detenuti e una "performance teatrale" sulla spiaggia che ha coinvolto i bagnanti e i turisti con l'utilizzo di reti da pesca per "simulare" la condizione di prigionia degli immigrati nel centro di detenzione.

Il corteo di sabato 26, che sarebbe dovuta essere l'azione conclusiva del campeggio, tenuto nuovamente al cpt Regina Pacis, è stato caratterizzato da una partecipazione inferiore alle aspettative (circa 600 partecipanti), ma ha visto dei bei momenti di dialogo "attraverso le sbarre" con i reclusi, come era accaduto due giorni prima.

È stato inoltre avviato un lavoro di inchiesta sul lavoro dei raccoglitori di frutta e di pomodoro nel foggiano, i quali vengono trattati come schiavi con il tacito assenso degli amministratori locali.

Probabilmente da molti punti di vista questo No Border camp è stato un'occasione sprecata dal movimento antirazzista, ma i lati positivi, che riguardano soprattutto i contatti e gli scambi tra le diverse realtà anarchiche, libertarie e radicali all'interno della galassia antirazzista, ci sono e vanno approfonditi affinché la lotta contro ogni forma di razzismo si accompagni a quella contro ogni forma di autorità e di dominio.

Raffaele Viezzi della Commissione antirazzista della FAI

 

 



Contenuti  UNa storia  in edicola  archivio  comunicati  a-links


Redazione fat@inrete.it  Web uenne@ecn.org  Amministrazione  t.antonelli@tin.it