Da "Umanità Nova"
n. 28 del 14 settembre 2003 8 settembre 1943
Revisionismo all'italiana
"L'8 settembre non
fu la morte della patria, perché allora la patria si rigenerò
nell'animo degli italiani che seppero essere, seppero sentirsi nazione" (A.
Ciampi)
Non è certo un caso che la patria, la nazione, così come per lo
scorso 2 giugno, sono state al centro delle celebrazioni istituzionali per il
60mo anniversario dell'8 settembre '43, ossia dell'armistizio e del
dissolvimento dell'esercito italiano.
Fuori dalla retorica, in quei giorni i soldati italiani disertori e sbandati
volevano soprattutto tornare a casa, non sentire più parlare di guerra,
privazioni, patria e fascismo; essi, come ha scritto Giaime Pintor, "erano un
popolo vinto; ma portavano dentro di sé il germe di un'oscura ripresa:
il senso delle offese inflitte e subite, il disgusto per un'ingiustizia in cui
erano vissuti".
Tale consapevolezza si trasformò quasi immediatamente anche in
resistenza armata contro l'occupazione nazista, come avvenne a Porta S. Paolo a
Roma, e poche settimane dopo nell'insurrezione delle 4 giornate di Napoli.
Ma questo è un aspetto di quella realtà che oggi si preferisce
ammantare nel tricolore nazionale, perché solo in questo modo, con un
governo di centro-destra come quello attuale, è possibile rievocare
questa come altre pagine della nostra storia; un governo che per bocca di G.
Baget Bozzo appena un anno fa ha dichiarato che "quando la Casa delle
Libertà diverrà forza culturale, il suo primo atto sarà di
abolire il 25 aprile come festa della nazione. La resistenza ha diviso la
coscienza nazionale".
Da tempo infatti l'interesse da parte di chi oggi governa non tanto ad
utilizzare la storia nazionale per legittimare le proprie scelte come è
accaduto nei decenni passati, ma di accreditare una storia semplificata,
censurata, mistificata col dichiarato scopo di delegittimare ogni
opposizione.
Così osserviamo che se fino ad un decennio fa i partiti del cosiddetto
"arco costituzionale" (Dc, Pci, Psi, Pri…) ogni 25 aprile utilizzavano in
modo del tutto strumentale un evento come la Resistenza di cui si sentivano
più o meno fondatamente eredi, al fine di legittimarsi democraticamente;
oggi assistiamo ad un meccanismo inverso per il quale le forze governative
(Forza Italia, An, Lega Nord) prendono drasticamente le distanze dalla
Resistenza e accusano gli oppositori (dai Ds alla sinistra antagonista) di
essere gli eredi della lotta partigiana, intesa come feroce ed insensata guerra
fratricida, anti-italiana, egemonizzata dai comunisti filosovietici.
L'equazione è peraltro nota: la guerra di liberazione fu una spietata
guerra di parte, combattuta con metodi terroristici, portata avanti da italiani
al soldo di Mosca contro altri italiani che per difendere l'onore della patria
avevano scelto di combattere a fianco dei tedeschi.
Dall'altra parte invece gli unici "patrioti" sinceri erano invece i
filo-monarchici, gli anticomunisti e i militari che scelsero di combattere a
fianco degli anglo-americani.
Gli eccidi e le violenze avvenute in tre anni di guerra civile, sempre secondo
tale visione, furono causati soprattutto dai partigiani "comunisti", sia
perché usavano metodi riprovevoli quali attentati ed agguati sia
perché le loro azioni scatenavano le rappresaglie naziste. Da parte loro
invece Mussolini e la Repubblica di Salò avrebbero cercato di arginare
la violenta occupazione nazista, cercando la pacificazione tra gli italiani e
magari - come Perlasca - salvando gli ebrei.
Chi parla di Resistenza e si richiama all'antifascismo è quindi accusato
non solo di voler tirare fuori storie ormai inattuali ma di essere moralmente
complice del "comunismo assassino" peraltro responsabile di milioni di morti in
tutto il mondo.
Questo è il quadro in cui si inserisce il revisionismo storico
all'italiana a cui non interessa negare gli orrori dei lager nazisti, ma
più semplicemente mira a minimizzare le responsabilità del
fascismo italiano e a enfatizzare i crimini del comunismo, intendendo con
questa parola non solo tutto quello che ha a che vedere con la sinistra, ma con
il movimento operaio e la lotta di classe.
Di fronte ai crimini del nazismo viene operata invece una sorta di scissione,
facendo leva sul mito del buon italiano ed eludendo il fatto che anche in
Italia vi sono stati campi di concentramento, delle leggi razziali e dei boia
non meno spietati di quelli nazisti. E questo anche prima dei 600 giorni della
Repubblica di Salò, basti pensare alle efferatezze e alle rappresaglie
commesse dai soldati italiani in Libia, Etiopia, Spagna e Balcani.
Ma in questa operazione, il centro-destra ha gioco facile, anche perché
i partiti della sinistra parlamentare continuano ad accettare la visione per la
quale la Resistenza fu soltanto guerra di liberazione nazionale, nascondendo
quella che fu invece anche guerra proletaria per liberarsi da ogni
sfruttatore.
Anti
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