|
Da "Umanità Nova"
n. 28 del 14 settembre 2003 Cile: tra la memoria di ieri e le lotte di oggi
Il mio 11 settembre
A
colloquio con Urbano, esule cileno anarchico
Vicente Taquias Vergara in questi lunghi anni lo abbiamo conosciuto in
molti. Ma per tutti lui è Urbano, il nome con cui era conosciuto
nel suo paese di origine, il Cile. Un Cile che Urbano non vede dal
lontano 1974, quando, dopo aver occupato con altri l'ambasciata
italiana a Santiago, giunse esule nel nostro paese. Inarrestabile nel
suo impegno contro la dittatura di Pinochet, Urbano che oggi aderisce
alla Federazione Anarchica, ce lo siamo trovato a fianco nelle lotte
per la difesa dell'ambiente, per la libertà dei migranti, contro
ogni forma di oppressione.
In questo trentennale del golpe che precipitò il suo paese nella
più crudele e sanguinaria delle dittature, il giorno dopo la
bella manifestazione svoltasi a La Spezia per ricordare tutte le
vittime della ferocia degli stati, lo incontriamo a Carrara, dove ha
vissuto a lungo nei primi anni del suo esilio prima di trasferirsi
nell'alessandrino.
Due anni orsono, quando due aerei di linea si abbatterono sulle Torri
gemelle di New York, causandone il crollo ed uccidendo migliaia di
persone, alte si levarono le grida dei media di regime contro il
cosiddetto "terrorismo internazionale". Ai tanti cui non difettava la
memoria la mente corse ad un altro 11 settembre, il cui ricordo
è impresso indelebilmente nel DNA di una generazione di
compagni. Era il 1973. A Santiago venne bombardata la Moneda, il
palazzo del governo presieduto dal socialista Allende, che vi
trovò la morte. Poi la repressione passò nei barrios, nei
quartieri della periferia, dove il popolo delle baracche aveva occupato
le case in muratura destinate ai militari. Urbano, che una casa vera
non l'aveva mai conosciuta sin dalla più tenera infanzia, aveva
occupato con la famiglia una casa nel quartiere "Poblacion Guatemala".
Ma era difficile trovarcelo perché lui come tanti passava gran
parte del tempo negli accampamenti dei senza casa dove si programmavano
le lotte per nuove occupazioni di terre e case. Contro il percorso di
libertà e dignità di un popolo si abbatté il
terrorismo dei militari sostenuti dal governo statunitense.
Chiediamo ad Urbano di raccontarci il suo 11 settembre.
"All'epoca io ed altri compagni eravamo già in
clandestinità: il governo Allende ci perseguitava per le
occupazioni di terre e la guerra contro il mercato nero. Nel sud di
Santiago, una zona che era cresciuta sin dagli anni '50 con le
occupazioni di terre demaniali e dei latifondi, nel 1971 abbiamo
iniziato l'autogestione della distribuzione di alimenti alla
popolazione. Abbiamo così pestato molti autorevoli piedi: in
primo luogo quello dei padroni della distribuzione ma anche quelli dei
Partiti socialista e comunista che intendevano gestire in comune con i
commercianti la distribuzione del cibo, imponendo prezzi esosissimi,
mentre l'autogestione garantiva prezzi equi per tutti. Lo stesso
programma governativo per le terre abbandonate privilegiava nei fatti i
militanti socialisti e comunisti, tenendo fuori tanta parte della
popolazione. Questa situazione ci ha cacciato nella
clandestinità: il governo Allende dichiarò illegali le
nostre attività e le organizzazioni libertarie. All'epoca
eravamo impegnati anche sul fronte della solidarietà
internazionale con gli esuli provenienti da tutto il Sud America
perché perseguitati nei loro paesi. Il governo socialista cileno
non concedeva loro asilo politico: questi compagni lo ottenevano da
noi. Erano ospitati nei quartieri occupati e lottavano al nostro fianco
per le libertà ed i diritti di tutti. Il governo ci considerava
alla stregua di delinquenti comuni e ci perseguitava: il nostro rifugio
erano i quartieri occupati, dove la gente ci ospitava e proteggeva.
Prima dell'11 settembre ormai in tanti sapevamo che il golpe era
imminente. Nei mesi precedenti era passata una legge sul controllo
delle armi, la cosiddetta "Ley Maldita" che lo stesso Allende aveva
consentito: ufficialmente doveva servire per disarmare i fascisti che
attaccavano le zone popolari ma, nei fatti, la legge venne applicata
solo contro di noi, contro i sindacati, contro il "cordone industriale"
delle fabbriche occupate e dei quartieri autogestiti. In realtà
noi non eravamo armati: il governo socialista non aprì mai i
suoi arsenali al popolo che, quando avvenne il golpe, non aveva che
poche vecchie pistole.
Quell'11 settembre ero a casa di un compagno. Appena vengo a sapere che
il sollevamento militare era iniziato mi reco alla "La Bandera" uno dei
tanti quartieri occupati. Con la gente raccogliamo le armi disponibili:
saltano fuori una quarantina di pistole. Poi smontiamo la baracca della
distribuzione autogestita, consegnando alla popolazione tutte le
derrate che vi erano custodite. Con le armi a disposizione iniziamo la
resistenza, passando da un barrio all'altro nell'intera zona sud. La
battaglia più dura si farà nel quartiere "La Legua",
quello dove sono nato io, lì i lavoratori di una fabbrica
tessile occupata, la Sumar, che si erano opposti a colpi di arma da
fuoco alla consegna delle armi imposta dai militari, resisteranno a
lungo. Per rastrellare "La Legua" i militari impiegheranno ben tre
reggimenti, carri armati, aerei per stroncare la resistenza popolare.
Finirà con un massacro: oltre 400 saranno le vittime della loro
ferocia.
Io ed altri continuiamo a raccogliere armi, passando attraverso i vari
quartieri e ponendo le basi di una resistenza, che soffocata nel sangue
la lotta popolare, diviene presto clandestina. La cassa delle
distribuzioni autogestite ci servirà per finanziare la lotta
clandestina contro la dittatura. I soldi resteranno a lungo presso un
compagno, un calzolaio come me, prima di essere consegnati ai compagni
in clandestinità, per contribuire a tessere una rete di
opposizione e per aiutare a fuggire e dare sostegno alle famiglie dei
ricercati.
Il 27 settembre vengo arrestato nel quartiere "Guatemala". Nel
rastrellamento veniamo catturati in 32 e portati ad un campo di
concentramento dell'aviazione a San Bernardo, nei pressi di Santiago.
Cosa ti capita?
"Vengo torturato, sottoposto ad una finta fucilazione per
obbligarmi a parlare, a fare i nomi dei compagni e dire dove si
trovano. Dopo 3 giorni io e gli altri 32 veniamo portati allo Stadio
Nazionale dove erano rinchiusi migliaia di oppositori. Veniamo
nuovamente sottoposti a tortura e messi nell'elenco di quelli destinati
alla fucilazione.
Sono stato fortunato: proprio in quei giorni il grande clamore
suscitato a livello internazionale dai massacri di Pinochet induce le
Nazioni Unite ad inviare una Commissione per verificare la violazione
dei diritti umani. Pinochet fa un'operazione di facciata: mentre le
fucilazioni continuano nell'intero paese decide di liberare di fronte
alla stampa alcune centinaia di persone. Io e gli altri 32 veniamo
rilasciati. Mi guardo bene dal ripresentarmi in caserma, come
prescritto al momento del rilascio, e torno in clandestinità
sino alla fine del '74."
Sono passati trent'anni da quei giorni terribili. In Cile vi è un governo democratico. Come vivi questo anniversario?
"Dopo trent'anni in Cile è ancora in vigore, nonostante
il "ritorno" della democrazia, la costituzione voluta da Pinochet. Lui
ed i macellai del suo regime godono della più ampia
immunità. All'approssimarsi del trentennale il governo Lagos
intende promulgare un decreto legge, che con il pretesto di gettare
luce sui desaparecidos e di risarcire le famiglie di fatto garantisce
l'immunità ai militari.
I militari assassini che accetteranno di collaborare
nell'individuazione dei cadaveri degli scomparsi non verranno
processati. Quelli che, pur essendo già condannati con sentenza
definitiva, indicheranno il luogo dove è sepolto un assassinato,
oppure faranno i nomi dei responsabili, goderanno dell'anonimato,
vedranno ridotta la pena della metà, saranno protetti come
collaboratori. Chi ne facesse il nome verrebbe invece perseguito.
Questo progetto è sostenuto, oltre che dal governo Lagos,
dall'insieme dei partiti di destra, dalla chiesa cattolica e,
ovviamente, dai vertici dell'esercito. D'altra parte Lagos si guarda
bene dall'abrogare la legge di amnistia promulgata nel '78 da Pinochet
che sino ad oggi ha consentito l'immunità ai responsabili del
genocidio.
Per tappare la bocca ai famigliari delle vittime offre loro un
(peraltro ridicolo) risarcimento. Ma molti non ci stanno. 10 familiari
di desaparecidos "Hijos" degli scomparsi, sostenuti dalle associazioni
degli esuli, degli ex detenuti, dai sindacati, dagli studenti stanno
attuando uno sciopero della fame sin dal mese di agosto per denunciare
questa legge di impunità e per reclamare giustizia."
Urbano, tu non sei mai tornato
nel tuo paese... Sappiamo che i militari hanno condannato a morte te e
tua sorella, un tuo fratello morì sotto i colpi dei golpisti, ma
oggi, dopo il ritorno della democrazia, perché non torni in Cile?
"Probabilmente, dopo le condanne che mi hanno inflitto, mi attende
lì una galera democratica. Ma non è questo il vero motivo
per cui non torno. In Cile vige la stessa costituzione in atto durante
la dittatura, le condizioni di vita, di lavoro sono sempre più
gravi. Il recente "Pacto de adaptabilidad de la jornada de
trabajo" stabilisce la settimana lavorativa di 45 ore settimanali medie
su base annuale ma in realtà l'orario lavorativo effettivo
diventa di gran lunga superiore. Infatti si stabilisce che non deve
superare le 12 ore al giorno sino a 9 giorni consecutivi senza riposo
o, se le esigenze della produzione non lo richiedono, scendere a 2 ore
giornaliere. Il lavoratore diventa uno schiavo alle complete dipendenze
del datore di lavoro, la cui vita dovrà essere a completa
disposizione delle esigenze della produzione. Per legge. Senza alcuna
possibilità di contrattazione o conflitto. Il 13 agosto i
lavoratori in sciopero generale di protesta sono stati duramente
repressi: nelle varie piazze gli scioperanti sono stati caricati
violentemente dalla polizia.
Il Cile è il luogo della mia giovinezza, della lotta della prima
parte della mia vita. Oggi, dopo 28 anni di vita da esiliato, il mio
terreno di lotta, da anarchico ed internazionalista è qui dove
vivo, dove la "democrazia reale" non si mostra meno dura verso chi le
si oppone, cercando di costruire una società libera e solidale.
A cura di Mortisia
|
|