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Da "Umanità Nova"
n. 29 del 21 settembre 2003
America profonda
La parabola dei neoconservatori
Un grande solco paradossale
caratterizza storicamente la (multi)nazione americana, esattamente come
la faglia di S. Andrea tipicizza la California e lo stile di vita
assunto dalla popolazione locale angosciata tra fiducia e timore per un
evento sicuro ma incerto.
Da un lato, la Costituzione repubblicana è tra le
più avanzate dell'epoca, la mobilità sociale e politica
è relativamente alta, la capacità di integrazione e
assimilazione delle diverse popolazioni arrivate sul suolo americano in
cerca di fortuna e benessere è singolare al mondo, le condizioni
per lo sviluppo della cultura e della tecnologia sono sempre state
eccezionali, la ricchezza delle informazioni provenienti da
(poli)centri di poteri l'un con l'altro in competizione garantisce
grosso modo un sapere diffuso anche degli arcana imperii.
Dall'altro, la pratica della frontiera si è istruita su
un genocidio, la volontà di potenza sull'emisfero americano si
è subito affermata con la dottrina Monroe, la ricchezza della
nazione si è alimentata su una mobilitazione di risorse non solo
proprie ma anche altrui, grazie al dollaro che drena come moneta
esclusiva di pagamento delle transazioni internazionali ingenti
quantità di capitali esteri con cui sovvenzionare il benessere
dei propri cittadini alle spalle delle fatiche altrui, grazie allo
sfruttamento di materie prime ad opera delle imprese sostenute dalla
politica espansiva degli Usa (il mito dell'isolazionismo è
infatti solo un mito che nasconde come l'assenza di un impero coloniale
del genere di quello britannico sia stata ampiamente compensata dalla
presenza americana nel mondo segnata dalla bandiere a stelle e strisce
delle numerose basi militari), la grande democrazia americana è
escludente nei confronti di minoranze o nemici interni di volta in
volta differenziati, mentre la pena di morte ipoteca la leadership
morale del pianeta al pari della pretesa giuridica di sottrarsi ai
vincoli internazionali che al contempo si pretende imporre a tutti gli
altri governi (gli Usa infatti non hanno sottoscritto e/o ratificato
oltre una ventina tra accordi, trattati, convenzioni e patti in sede
internazionale).
È da questo contesto storico, senza dubbio non dell'ultima ora,
che occorre muovere per comprendere la profonda radice autoritaria
della democrazia americana, ormai ridotta ad un simulacro di partito
unico bipolare, di sistema economico unico, di apparati di informazione
unici, che blinda quanto di vitale, alternativo e efficiente esiste e
funziona tra le pieghe della società, senza emergere
visibilmente, senza incidere sulle istituzioni, ma influenzando ampi
segmenti di società restia a sentirsi rappresentata dagli Usa
ufficiali.
In questo paradosso entro cui oscilla lo spettro della
politica americana sia sul piano interno che su quello esterno, quindi
con un ventaglio di sfumature che non muta l'indirizzo istituzionale
della politica Usa dei repubblicani e dei democratici in alternanza di
clientele avvicendantisi al potere con il sistema della lottizzazione a
cascata (lo spoil system), diviene possibile comprendere come l'attuale
leadership repubblicana, guidata dalla fazione neoconservatrice
fondamentalista cristiana, sia pervenuta al potere dopo anni di
apprendistato e di rancore accumulato, che l'hanno radicata e trova a
sua volta radicamento in uno spirito soffuso di arroganza quasi
invincibile e prepotente che lascia traccia esemplare non tanto nelle
modalità di semi-golpe fascista con cui ha conquistato la Casa
Bianca, quanto con l'uso spregiudicato della brutale accelerazione alle
proprie strategie politiche che l'11 settembre 2001 ha impresso
alimentando la messa in opera di fatti e norme (il Patriot Act, ad
esempio) concepiti anteriormente e realizzati sull'onda dello sdegno
planetario e a maggior ragione locale.
Bush, Rumsfeld, Wolfowitz, Perle rappresentano i leader
intellettuali di questa America profonda, risentita, vogliosa di
potenza, moralmente portatrice di verità e certezze assolute (il
loro modello di vita e di democrazia deve essere esportato a tutto il
mondo, al di là delle differenze di civiltà, e questo
funge non solo da alibi ideologico, ma da profondo sentire sordo e
cieco ad ogni ragione, tipico di ogni dogma religioso), che si è
alleato per banali motivi economici con quel blocco elitario di alta
finanza e alta industria dedita a raschiare all'estero gli altrui
barili di ricchezza, rappresentata dal vice-presidente Cheney che drena
risorse finanziarie per le campagne elettorali, nonché
opportunità di affari per privatizzare quanto poco è
rimasto di pubblico negli stati Uniti (di recente anche i servizi di
logistica dell'esercito americano invasore in Iraq).
È ottimistico pensare che questo volto demoniaco della
potenza americana (imperiale o meno che la si voglia definire,
certamente non egemonica, visto che le residue e fragili
capacità economiche suggeriscono un uso sempre più
spregiudicato e tendenzialmente insostenibile dell'aggressività
militare) possa dissolversi solo perché Bush correrà il
rischio di perdere le elezioni nel 2004, pur essendo prematuro
azzardare previsioni. Il motivo è che tale posizione ben si
adatta al mutato ruolo del paese più potente del mondo in un
contesto globale in cui saltano, sono saltati e salteranno ancora una
buone dose di assetti tipici del nesso tra sovranità interna,
nella coincidenza di potere tra sfera diretta di potere politico e
sfera di controllo indiretto dell'economia, detta appunto politica, da
una parte, e del nesso tra forse di potenza e territori e popolazioni
su cui esercitare tale potere legittimato da carte di diritti e di
obblighi quasi interamente da riscrivere, visto i rapporti di forza che
si vanno delineando tanto all'interno dei confini dei singoli paesi (da
quelli deboli a quelli forti), quanto all'esterno di tali confini
sempre più permeabili ai flussi più o meno governabili
dei rischi globali (dall'inquinamento ambientale alle minacce
terroristiche con armi miniaturizzate di distruzione di massa).
Rinchiudersi nel proprio guscio ripulito dai nemici interni e
scagliarsi contro i nemici percepiti in un brutale scontro e
selezionati in base a sottili e palesi mezzi di disinformazione di
massa, resterà la mossa più facile e probabile per una
élite desiderosa di rappresentare tali pulsioni profonde in cui
lo spazio della razionalità è tutto strumentale
all'esercizio del potere ad ogni costo e mai caratterizzato da una
saggezza intelligente che un tempo contraddistingueva la ragione prima
che venisse piegata a diventare logos asservente e asservito al tempo
stesso.
Salvo Vaccaro
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