|
Da "Umanità Nova"
n. 29 del 21 settembre 2003
"Vacanza" della memoria
Il Cavaliere e il mai sopito qualunquismo italico
Che Berlusconi possa essere
considerato una persona spregevole, se non addirittura un brigante,
è ormai comune sentire di tanta parte della popolazione
italiana. Dalla quale riesce davvero difficile dissentire! Che sia
però anche un cretino, pur se ripetute e plateali sono le
occasioni che ci offre per pensarlo, resta tutto da dimostrare. E anche
questa sua ultima sparata sul fascismo, le isole e Mussolini, a
dispetto della squallida idiozia delle argomentazioni, sembra
nascondere un disegno che proprio cretino non è.
Da tempo, ormai, il capo del governo si rende conto che le sue
difficoltà non nascono solo dalle "persecuzioni" giudiziarie
rese inevitabili dalla genesi della sua favolosa ed equivoca fortuna,
ma trovano ben più sostanza nei continui fallimenti governativi
in economia e nelle politiche sociali, talmente evidenti da non poterli
mascherare neppure con tutto il fard di cui fa copiosamente uso.
Fallimenti che si ripercuotono, inevitabilmente, nella tenuta e nella
coesione della Casa delle cosiddette libertà, sempre più
propensa a riportare in auge, se mai fossero stati messi in soffitta, i
giochini della "vecchia" politica: ricatti, minacce, sotterfugi,
alleanze incrociate, campagne acquisti, mercato delle vacche, ecc. ecc.
Mentre é evidente che solo l'insipienza e l'inadeguatezza di una
opposizione parlamentare geneticamente allo sbando impediscono che la
compagine governativa venga messa davvero alle corde.
Sia come sia, comunque, si rende necessario, per il cavaliere,
riaffermare la sua leadership nel Polo, e al tempo stesso distogliere
l'attenzione dai problemi concreti che attanagliano il paese. E per far
questo, cosa di meglio che non sparare cazzate, visto anche che gli
riesce così bene? L'effetto è sicuro, chi era già
d'accordo si sente confermato nelle sue discutibili opinioni, chi
già dissentiva trova nuovi motivi per una "sana e democratica"
indignazione, e lui, piccolo Narcisetto, Adoncino d'amor, torna al
centro dell'attenzione. Con i suoi adoranti portavoce pronti a offrire
il petto per ripararlo dalle critiche di gente cattiva e invidiosa.
È così, quindi, che nascono le berlusconate.
Tutte, a ben vedere, per nulla casuali, ma attentamente preparate. E
più sono beceri il metodo e l'argomentare, tanto maggiore
è l'effetto.
Anche in questa sua ultima sortita, in questa sua
rivisitazione della dittatura fascista, Berlusconi si è rivelato
un piccolo maestro della comunicazione. Riuscendo infatti a dar voce,
con poche parole, a quel sottobosco di umori vigliacchi e meschini nel
quale, a cinquantotto anni dalla caduta del fascismo, ancora si pasce
l'eterno italiano qualunque dell'antipolitica, ha raggiunto, come
già altre volte, concreti risultati. Ciampi è stato
rimesso al suo posto, al secondo, non al primo, e gli sono state
ricacciate in gola le parole pronunciate in occasione dell'anniversario
dell'8 settembre 1943; Fini ha dovuto dissociarsi, e immaginiamo con
quale sincerità, per non vedere compromessa la prossima entrata
nel Partito Popolare Europeo e il sofferto recupero d'immagine di
leader di un partito moderno e democratico; i fascisti di sempre, Forza
nuova e Msi in testa, sono stati blanditi e legittimati; gli altri
alleati, anche se meno coinvolti, hanno dovuto ancora una volta cedere
il passo al primus inter impares e riconoscere che "con quella bocca"
può dire ciò che vuole. E al centrosinistra, sempre
disponibile in precedenza a giustificare o far propri quei processi di
revisione storica del ventennio che Berlusconi ha chiosato da par suo,
non è rimasto che mettere in scena la solita, rituale,
indignazione.
Rituale, abbiamo detto, e forse il problema sta proprio qui.
Se ancora oggi un rappresentante istituzionale (e non importa di che
livello) di questa repubblica che si dichiara nata dalla lotta contro
il fascismo, può permettersi di fare simili affermazioni senza
pagare dazio, anzi, guadagnandoci anche, allora c'è qualcosa che
non quadra. E se questo mezzo secolo vissuto nella "libertà
repubblicana" non è bastato a convincere pienamente questa
piccola gente, stretta fra la paura e le manie di grandezza, della
superiorità della libertà sulla oppressione,
evidentemente c'è da cominciare ad interrogarsi sull'effettivo
grado di libertà che è stato offerto. Se ancora oggi
c'è che chi afferma, e per di più ci crede, che il
fascismo non ha ammazzato nessuno, che era una dittatura all'acqua di
rose, che gli oppositori erano i fortunati fruitori di un'agenzia di
viaggio chiamata Tribunale Speciale, se c'è chi dimentica i
milioni di morti fatti e subiti nelle continue guerre d'aggressione di
un regime fanaticamente "maschio", le responsabilità nel
genocidio del popolo ebraico, la distruzione di un paese offerto in
pasto alle armate tedesche, le criminali vigliaccherie di una masnada
di squadristi implacabile con gli indifesi e tremante di fronte ad
oppositori decisi, se c'è chi afferma o dimentica tutto questo,
non v'è dubbio che poco è stato fatto e molto resta
ancora da fare.
E non v'è dubbio, soprattutto, che un sistema governato
dagli epigoni del totalitarismo clericale, sempre in affari con gli
epigoni del totalitarismo sovietico, non poteva essere la cattedra
migliore per insegnare al popolo studente il valore della
libertà. Meglio, molto meglio che gli "studenti" si facciano
lezione da soli, e che il berretto da somaro lo indossino questi
"professori", inopinatamente indignati. Sempre che Berlusconi ceda loro
il suo, tanto meritatamente conquistato.
Massimo Ortalli
|
|