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Da "Umanità Nova"
n. 30 del 28 settembre 2003 Libertà senza confini
Contro stati, padroni, frontiere... contro il razzismo
Quest'estate
a Rimini, quattro aspiranti nazisti, al grido di "sporco negro", hanno
aggredito un ragazzo di 17 anni ferendolo con una bottiglia rotta; ma
il pregiudizio aveva accecato a tal punto i baldi difensori della razza
da non rendersi conto che la loro vittima era soltanto molto
abbronzata, di cittadinanza italiana, per di più di Bergamo (la
Repubblica, 6.8.03).
L'episodio sarebbe quasi esilarante, se non fosse per i 15
giorni di prognosi toccati al malcapitato e in quanto rappresenta solo
la punta emergente di un sempre più diffuso razzismo che
s'insinua tra i rapporti umani e sociali: quante aggressioni e
prepotenze contro immigrati - viene da chiedersi - non sono neppure
denunciate?
E quanti omicidi sono stati commessi in questi anni senza che se ne sapesse niente?
Le principali responsabilità di tale preconcetta
ostilità a carattere razziale sono da attribuirsi in primo luogo
alle destre di governo (Forza Italia, AN, Lega Nord), vere
imprenditrici elettorali della xenofobia, quindi all'apparato statale
con le sue leggi e ai cosiddetti mezzi d'informazione che fomentano la
logica dell'apartheid.
Se infatti chiunque, la "testa rasata" come il probo padre di famiglia,
il poliziotto come la signora che va a fare la spesa, si sente
autorizzato ad accanirsi, fisicamente o verbalmente, contro il primo
immigrato o il primo "irregolare" che incontra per strada, ciò
è possibile perché chi governa legittima e pianifica tali
comportamenti con decisioni oggettivamente discriminatorie e
dichiarazioni aberranti, quali quelle sulla necessità di sparare
sulle carrette del mare cariche di disperati.
Da una desolante ricerca sociologica è recentemente emerso che
in Italia un adolescente su quattro si mostra ostile verso ogni
diversità e il numero di coloro che negano la possibilità
del dialogo e del confronto, oltre a chi si dichiara preoccupato dalla
possibile "contaminazione" con altre culture, raggiunge persino la
maggioranza degli intervistati (Liberazione, 28.6.03); sarebbe
interessante scoprire i risultati di un analogo sondaggio tra i
parlamentari italiani, ossia coloro che - sia di destra sia di sinistra
- hanno approvato e reiterato l'istituzione dei centri di permanenza
temporanea per "clandestini", messi sotto accusa persino da
un'associazione certo non sospettabile di estremismo quale è
Amnesty International.
Quegli stessi parlamentari che discutono di kapò, di lager e di leggi razziali come ombre di una storia irripetibile.
Nel cosiddetto immaginario collettivo lo straniero, specie se povero,
non casualmente è percepito quasi solo come un'entità
biologica: è altro, diverso, riconosciuto per il colore della
pelle o per il taglio degli occhi. Chi sia e perché si trovi
nelle nostre città sono domande continuamente eluse, nella
generale intolleranza di una presenza "extracomunitaria" percepita come
un pericolo.
Eppure la risposta sarebbe semplice: il migrante è una
persona, un lavoratore, un individuo latore di una storia la cui
continuità è stata sconvolta e interrotta da eventi
drammatici quali la miseria, le guerre, le persecuzioni, i disastri
ambientali.
Una risposta forse troppo semplice, troppo coinvolgente
umanamente e troppo vicina al nostro passato prossimo di popolo
straccione costretto all'emigrazione, per essere accettata.
D'altra parte ai più conviene così, siano
padroni e padroncini desiderosi di manodopera ricattabile e a buon
mercato o siano sfruttati che non vogliono sentirsi all'ultimo gradino
della gerarchia sociale che hanno rinunciato a voler rovesciare.
Da qui l'importanza, non solo della fraterna complicità
di classe con le lotte degli sfruttati provenienti dal Sud del mondo,
ma anche del manifestare apertamente in ogni occasione possibile il
nostro antirazzismo e il nostro totale rifiuto di ogni nazionalismo e
di tutte le frontiere.
KAS
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