|
Da "Umanità Nova"
n. 30 del 28 settembre 2003 Vietato scioperare
I nuovi paletti della Commissione di garanzia
Forse
complice la feroce calura agostana, la commissione di garanzia sugli
scioperi nei servizi pubblici essenziali ha partorito una bozza di
regolamento dello sciopero generale. Parrebbe uno scherzo, ma non
è così.
Come è risaputo, lo sciopero nei servizi pubblici
essenziali (trasporti, sanità, scuola, ecc.) è regolato
dalla legge 146/90, poi modificata dalla legge 83/00. Attualmente, uno
sciopero nei servizi pubblici essenziali deve essere preceduto da una
procedura di raffreddamento volta ad evitare l'astensione e da un
preavviso scritto di dieci giorni; sono previsti intervalli minimi tra
un'agitazione e l'altra; devono essere garantite le prestazioni
indispensabili.
Sulla corretta applicazione della legge vigila una commissione
di garanzia, che ha, tra l'altro, il potere di regolare le prestazioni
indispensabili e le procedure di raffreddamento, nonché di
sanzionare le organizzazioni sindacali che abbiano violato le norme
della legge 146/90.
I limiti fin qui descritti vengono meno solo in caso di
agitazioni indette in difesa dell'ordine costituzionale o per protesta
contro gravi eventi lesivi dell'incolumità e della sicurezza dei
lavoratori. La Corte Costituzionale ha stabilito fin dal 1992 che
comunque anche lo sciopero politico – economico è soggetto ai
limiti della legge 146/90.
Quali sarebbero oggi le novità che bollono in pentola? Per la
Commissione è sciopero generale quello che coinvolge tutte le
categorie pubbliche e private di una o più confederazioni
sindacali e la commissione chiede che le confederazioni in questione
siano "dotate tendenzialmente di diffusa rappresentanza per tutte le
predette categorie pubbliche e private"; lo sciopero deve avere ad
oggetto "rivendicazioni non contrattuali".
Non basterebbe poi che fosse una confederazione a proclamare
lo sciopero: se non vengono fornite le indicazioni, settore per
settore, sulla tutela dei servizi pubblici essenziali, occorre "una
apposita proclamazione da parte delle organizzazioni di categoria,
contenente, appunto, le predette indicazioni". Inoltre, per proclamare
lo sciopero deve essere rispettato "il termine di preavviso" e "la
proclamazione non deve essere preceduta dal ricorso alle procedure di
raffreddamento e conciliazione"; per quanto riguarda la durata, "deve
essere contenuta con riferimento alla stessa giornata entro limiti di
ragionevolezza e fermo restando l'obbligo di assicurare le prestazioni
minime indispensabili".
Infine, se non verrà rispettato l'intervallo minimo tra
uno sciopero e l'altro, la commissione di garanzia potrà
intervenire, sempre nel nome del rispetto dei servizi pubblici
essenziali, e chiedere una riformulazione del calendario.
Una prima osservazione. La commissione di garanzia non ha il
potere di stabilire chi possa o meno indire uno sciopero, di settore o
generale. La commissione è un organo amministrativo che vigila
sulla corretta applicazione di una legge e deve agire nei limiti dei
poteri che quella legge le ha dato. Per l'art. 40 della costituzione
italiana lo sciopero è un diritto (individuale) che si esercita
nei limiti stabiliti dalla legge, quindi solo una legge o un atto
dotato della stessa forza, può comprimere legittimante questo
diritto.
L'osservazione parrebbe meramente tecnica, ma non lo è.
La commissione di garanzia sta semplicemente provando ad arrogarsi un
potere che non ha, ma solleva intanto la questione della rappresentanza
sindacale e cerca di moltiplicare gli ostacoli da superare per
l'indizione di uno sciopero, facendo leva, in particolare, sull'obbligo
di un intervallo tra una agitazione e l'altra.
Per certi aspetti, quindi, la mossa della commissione di
garanzia potrebbe essere vista come sponda alle organizzazioni
sindacali maggiori e di stato, col tentativo di togliere
legittimità formale ad agitazioni indette da soggetti
conflittuali come il sindacalismo di base.
Da altro punto di vista, le ventilate limitazioni alla
possibilità di indire uno sciopero generale ripropongono la
questione del rapporto tra legalità e lotta sociale. Il
passaggio mi pare ineludibile. In occasione dello sciopero generale
contro la guerra in Iraq da attuare allo scoppio delle ostilità,
la commissione di garanzia provò a sollevare questioni e dubbi
sulla legittimità dell'agitazione, riuscendo certo a confondere
non pochi lavoratori, ma venendo travolta dalla vastità della
mobilitazione.
Oggi, alla vigilia di quello che si prospetta come un possibile periodo
di tensioni sociali, la commissione si rifà viva e prova a
giocare d'anticipo. La questione però che solleva è se la
lotta sociale possa trovare, e quali, limiti legali. Solo uno sciopero
che "sta alle regole" può essere indetto? Quale spazio di azione
ha una lotta sociale, sindacale, che violi delle norme? Attenzione, non
stiamo qui parlando della questione violenza o non violenza o di
blocchi stradali e ferroviari, occupazione di stabili pubblici o
privati, ecc. Si parla della violazione cosciente di limiti imposti da
una legge o da un provvedimento amministrativo a forme di protesta come
lo sciopero. Si parla cioè del fatto che è in atto il
tentativo di spostare sul piano dell'illiceità formale un atto
che è espressione di un diritto. Senza dubbio il tentativo va
respinto, perché le conseguenze dell'accettazione della logica
proposta in questo caso sono o dovrebbero essere sotto gli occhi di
tutti. Già snervato dai lacci e laccioli dell'attuale normativa,
lo sciopero economico nei servizi pubblici essenziali ha perso negli
anni mordente e la formalizzazione della lotta sindacale è stata
inculcata come fatto ormai generalmente accettato dagli stessi
lavoratori. Oggi si vorrebbe spingere un poco più in là
il recinto, con una riduzione della possibilità di indire
scioperi generali, atto politico per eccellenza, ed impedirne di fatto
la partecipazione ad intere categorie di lavoratori, spezzando,
appunto, la "generalità" dello sciopero. E lo si fa attraverso
uno strumento che desta poco scalpore, cioè una deliberazione
della commissione di garanzia: immaginiamo quale vespaio potrebbe
suscitare la stessa proposta se fosse contenuta in un disegno di legge
portato al dibattito del parlamento. L'attuale manovra è quindi
particolarmente insidiosa ed è un altro segnale di come si stia
cercando di ridurre ulteriormente per via "amministrativa" gli spazi di
libertà. Non si può vivere solo di libertà
concesse, il cui spazio può essere ristretto a piacere da
burocrati o legislatori. Per questo lo sciopero generale va difeso come
forma di lotta dei lavoratori che non può essere messo in
discussione da chicchessia.
Simone Bisacca
|
|