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Da "Umanità Nova" n. 30 del 28 settembre 2003

Crepe nella maggioranza
La finanziaria dei malpancisti


Sono ormai numerosi gli elementi che depongono a favore della tesi di una crisi di governo a metà della legislatura. La maggioranza che sostiene il governo Berlusconi è, come tutte le coalizioni, profondamente divisa al proprio interno da interessi (elettorali e non) di varia natura, tenuta insieme da motivazioni non sempre confessabili, disomogenea su tutto, ma costretta a convivere dalla necessità di restare abbarbicati al potere. Forse non tutti i partitini che appartengono alla maggioranza di governo sono nelle stesse condizioni della Lega (affidata nel 2001 per due miliardi, facendo leva su fideiussioni personali del Cavaliere), ma è evidente che nessuno potrebbe permettersi di sopravvivere economicamente senza i lauti finanziamenti pubblici e sopravvivere politicamente senza la grancassa delle televisioni Mediaset, accomunate a quelle Rai dopo la presa di Viale Mazzini da parte del "nuovo" governo.

Tuttavia il livello di rissosità interno ha raggiunto del corso dell'estate apici mai prima toccati, complice anche lo stato spesso confusionale del leader in vacanza, dedito a superalcolici ed interviste a giornali stranieri, senza soluzione di continuità, con conseguente scatenamento in dichiarazioni al calor bianco su ogni argomento di varia pertinenza. Alle soglie dell'autunno però diventa non più rinviabile la necessità per il governo di fare un bilancio della prima metà della legislatura, provare a delineare un progetto per la seconda metà, e poi dare un'occhiata ai sondaggi, che sembrerebbero aver mandato la compagine di governo ormai in minoranza. In altre parole, se si andasse al voto oggi, con un centrosinistra un po' meno autolesionista del solito, con Rifondazione e Di Pietro recuperati, sarebbe assai arduo per il Cavaliere Nero ripetere la brillante performance del 2001.

Il bilancio che il governo può trarre dai suoi due anni e mezzo di governo è assai poco lusinghiero. Berlusconi è riuscito a farsi approvare dalla sua maggioranza tutte le leggi che gli consentono di chiudere i conti con il passato, evitare i processi, condonare il pregresso, risparmiare sulle tasse di successione e persino evitare di pagare in futuro tasse sulle plusvalenze se decidesse di vendere Mediaset. Tuttavia questo non può essere considerato il bilancio di un governo, neanche quello di un governo piegato ai più sfrontati interessi privati di un privato cittadino. Sul piano del programma di governo, i famosi cinque punti del contratto con gli Italiani, non si può neanche dire che qualcosa sia mai cominciato.

La promessa più plateale era stata quello di un rilancio dello sviluppo, attraverso il taglio delle tasse. Non si sono visti né l'uno, né l'altro. La tasse sono scese solo per le imprese, un po' per le aliquote più basse per legge, un po' per il deterioramento del ciclo economico. Per i privati cittadini, o meglio per i lavoratori dipendenti impediti ad evadere, la pressione fiscale non è scesa per nulla. L'introduzione delle due aliquote al 23% ed al 33% è stata completamente bilanciata dall'introduzione di un complesso sistema di deduzioni e detrazioni che finiscono per rendere neutrale la manovra da parte della tassazione statale, mentre contemporaneamente salgono (e di molto) le aliquote delle tasse locali. Il circolo virtuoso taglio alle tasse/sviluppo economico gira all'incontrario, ed il rallentamento dell'economia impedisce di abbassare le imposte, frena i consumi, e quindi sparisce qualunque stimolo alla ripresa degli investimenti. I tassi di crescita dell'economia italiana sono tra i più bassi d'Europa, ormai più indietro persino della Germania, che sta cominciando a registrare qualche timido segnale di ripresa. Per il 2003, invece, le previsioni sull'Italia sono bloccate all'interno di un range tra lo 0,5 e lo 0,6%. Un bel risultato per il presidente imprenditore ed anche per il presidente operaio. Sul piano sociale il bilancio non si può considerare migliore. I tentativi di spaccare i sindacati per attuare un serio programma di abbattimento del welfare hanno avuto un successo soltanto parziale. La battaglia sull'articolo 18 ha mandato in frantumi la pace sociale per un obiettivo tutto sommato discutibile e con esiti assai modesti. La nuova normativa sul mercato del lavoro ha semplicemente completato quello che l'Ulivo aveva cominciato a fare con il pacchetto Treu, aprendo però un vasto insieme di contenziosi non ancora del tutto assorbiti. Con Cisl e Uil è iniziato un percorso di concertazione informale che non ha un suo assetto ufficiale, ma si svolge in sedi quasi clandestine. L'isolamento della Cgil è avvenuto solo in parte, pagando dei prezzi spesso salati. E quello che più conta, la Confindustria si esprime in modo molto critico sull'operato del governo, consapevole che quello che era stato promesso a Parma, prima delle elezioni, non è stato mantenuto, prevalentemente per l'incapacità del governo a svolgere il mandato ricevuto dai padroni.
In un contesto del genere diventa difficile fare qualunque scelta, soprattutto se si ha a disposizione una maggioranza poco coesa e molto preoccupata della propria sopravvivenza politica di fronte ad un eventuale crak della maggioranza. Questo spiega l'inconsistenza della finanziaria che verrà completata, nei dettagli, entro l'ultima settimana di settembre. Dopo il grande polverone sollevato dall'intervista agostana del Cavaliere sulla necessità di riformare le pensioni, ci si sarebbe aspettati una manovra dura e incisiva per dare una sterzata al bilancio statale. Ma non sono più i tempi di Amato e di Prodi, con manovre shock da 100.000 miliardi di lire. La finanza creativa di Tremonti ha partorito una manovra assai più modesta, in tutto 16 miliardi di euro, centrata per 10 miliardi su misure straordinarie una tantum (condono edilizio e condono tombale fino al 2002 compreso, addirittura un concordato preventivo per il 2003-2004) e per gli altri 6 su tagli agli enti locali e risparmi sugli acquisti pubblici. Sulle pensioni, tema assai delicato per questo governo, si è deciso di usare il guanto di velluto: introduzione di incentivi dal 2004 per favorire la permanenza al lavoro degli aventi diritto (bonus del 30%), nessuna chiusura delle finestre, rinvio al 2008 di tutti i provvedimenti più antipopolari (requisito minimo di 60 anni d'età per le donne e 65 per gli uomini oppure 40 anni di anzianità). Nel frattempo circola un progetto di medio-lungo termine che potrebbe rappresentare una Dini-bis, con l'ipotesi di spaccare l'universo del lavoro in tre blocchi in base all'anno di assunzione ed un passaggio graduale verso un sistema sostanzialmente contributivo per tutti, che migliorerebbe i conti dell'Inps nel lungo periodo abbassando drasticamente le prestazioni dovute. Per avere il via libero per tutto questo progetto, da realizzarsi non in finanziaria ma nella legge delega di Maroni, il governo sarebbe persino disponibile a rinunciare alla decontribuzione per i neo-assunti e anche al sequestro del Tfr per finanziare i fondi pensione (introducendo il silenzio assenso chiesto dai sindacati), permettendo così un vero decollo per il business della previdenza integrativa.

La incapacità del governo di sciogliere le proprie contraddizioni interne implica, come è evidente, un basso livello di controllo della spesa pubblica, coniugata alla mancanza di legittimazione nel chiedere nuovi sacrifici fiscali. Questo governo che si era autoproposto come emulo italiano della Thatcher si trova così a dover giustificare, in sede europea, un innalzamento dal 1,8 al 2,1% del rapporto deficit-pil, accodandosi sostanzialmente alla linea dei vituperati governi franco-tedeschi, che si avviano tranquillamente a sforare i parametri di Maastricht, sulla base della motivazione assai sensata che è meglio correre qualche rischio pur di crescere, piuttosto che restare prigionieri di logiche economiche auto-referenziali.

Il governo sembra aver esaurito le capacità di mediazione tra le sue litigiose componenti e sembra avviato ad una faticosa gestione dell'esistente, con un occhio vigile ai sondaggi ed ai test elettorali sempre più ravvicinati. L'opposizione politica cerca di sfruttare le più palesi cadute di stile della maggioranza per dimostrare di esistere, coprendo così il proprio vuoto di elaborazione strategica alternativa. L'opposizione sociale ha davanti uno spazio notevole per fare emergere le contraddizioni dell'uno e dell'altro schieramento e costruire un blocco ampio di forze che si ponga l'obiettivo di contrastare le politiche antisociali del governo Berlusconi e di tutti i suoi aspiranti sostituti.

Renato Strumia


 

 



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