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Da "Umanità Nova"
n. 30 del 28 settembre 2003 Inform@zione
Torino: meno servizi più precari
Il movimento verso l'esternalizzazione dei servizi
pubblici e nel senso della precarizzazione dei rapporti lavorativi nel
campo dell'Assistenza procede senza sosta e senza opposizioni di
rilievo. L'ultima novità che dobbiamo segnalare in questo campo
è l'avvio del processo di accreditamento delle strutture e dei
servizi per l'assistenza ai disabili al comune di Torino. Questa
operazione è già stata fatta con "successo" nel campo
dell'assistenza ai minori all'interno della stessa amministrazione, e
sempre per opera dello stesso personaggio. L'ineffabile assessore
all'Assistenza Lepri, recordman di preferenze alle ultime elezioni
comunali e uomo della centrale cooperativa "bianca" Concooperative
all'interno dell'amministrazione ulivista torinese.
In cosa consiste l'accreditamento? Per capirlo dobbiamo fare un passo
indietro: oggi il sistema di esternalizzazione dei servizi funziona
mediante gare pubbliche di appalto con le quali il Comune determina le
condizioni alle quali i soggetti interessati ad ottenere la commessa di
un servizio possono ottenerla. Le cooperative e le imprese sociali
interessate possono sì giocare sul prezzo proposto da questi
soggetti, cercando di ottenere appalti con il gioco del ribasso, ma
sempre dentro una determinata forchetta di costi determinata dalle
condizioni di espletazione della prestazione richieste
dall'amministrazione. Per intenderci, almeno ufficialmente, una
cooperativa non può gestire un servizio con la metà degli
operatori previsti dall'appalto. Questo meccanismo, già molto
peggiorativo delle condizioni di lavoro rispetto a quello
precedentemente usato delle convenzioni (non essendo appalti non
prevedevano gare e, quindi, non innescavano alcun gioco al ribasso),
consentiva un minimo di controllo pubblico delle condizioni lavorative
e soprattutto consentiva ai lavoratori dei servizi di avere un
riscontro rispetto a quello che gli veniva chiesto di fare.
Il sistema dell'accreditamento, invece, funziona in modo completamente
diverso: l'Amministrazione pubblica si limita ad accreditare con una
certificazione che una struttura è a norma rispetto agli
standard di qualità, per il resto sta ad ognuno dei soggetti
interessati procurarsi i clienti o essere disponibili ad accogliere gli
utenti individuati dai servizi sociali. In pratica, si tratta di un
immissione spuria sul mercato dell'intera assistenza. Parliamo di
immissione spuria perché alle cooperative e alle imprese
interessate non spetta il lavoro di ricerca dei "clienti", dal momento
che costoro (o, meglio, le loro famiglie) non sono certo in grado di
cercarsi la soluzione migliore ma, per lo più, si rivolgono ai
servizi sociali perché questi gliela trovino.
Il risultato è paradossale: l'amministrazione costringe
sul mercato determinate strutture, poi sta alla stessa amministrazione
decidere se e quanto utilizzarle, indirizzandovi o meno i propri
utenti. In questo modo l'amministrazione non si trova più a
dover pagare per mantenere le strutture verso le quali esternalizza, ma
si trova solamente a pagare solamente per i costi coperti e per i casi
affidati. In questo modo si scatena un triplice movimento. Da un lato
le coop e le imprese si trovano a cercare di evitare di perdere
"clienti" per non perdere i pagamenti pubblici, dall'altra le stesse
imprese cercano di "tenersi buone" le famiglie per evitare che queste
chiedano soluzioni differenti per i loro cari, infine i costi delle
strutture diventano costi esclusivamente a carico di coop e imprese
alle quali è semplicemente riconosciuto il pagamento di una
quota per ogni "cliente" presso le loro strutture.
Il risultato dal punto di vista lavorativo è pessimo;
la non sicurezza sulla gestione di strutture ed utenti porta le coop e
le imprese sociali ad evitare di imbarcarsi in costi dei quali non
esiste la sicurezza sulla copertura; le strutture, però, devono
rispondere a norme ben precise per essere accreditate e quindi non
è possibile il taglio dei costi sulle strutture stesse.
Risultato, il taglio dei costi di produzione ricade direttamente sui
lavoratori che si trovano a dovere subire le ricadute dell'incertezza
economica delle coop. I contratti che vengono già oggi stipulati
per le strutture in accredito, infatti, non sono mai (se non per i
responsabili) contratti a tempo indeterminato, ma rientrano nella
tipologia dei contratti non garantiti, quasi sempre nella forma dei
co.co.co. che adesso diventeranno "contratti a progetto". In questo
modo le coop e le imprese sociali dispongono di una forza lavoro
utilizzabile a piacere secondo i picchi di produzione (leggi arrivo di
nuovi utenti), allontanabile facilmente in caso di dimissioni di un
utente, trasferimento dello stesso o mancato gradimento da parte delle
famiglie. In questo sono anche favorite dal grande numero di educatori
ed educatrici professionali che le università hanno iniziato a
sfornare e che costituiscono un discreto esercito di riserva
professionale, disponibile e ricattato.
La situazione per chi lavora in questi campi si fa sempre
più grigia e la stessa qualificazione professionale, un tempo
spacciata come salvezza per gli operatori dell'Assistenza, si rivela
sempre meno uno scudo contro la precarietà. È giunto il
tempo che i vari soggetti che lavorano nel campo dei servizi alla
persona abbandonino la falsa coscienza che ne ha permesso lo
sfruttamento selvaggio, abbandonino le divisioni tra pubblici e
privati, sfigati e meno sfigati, e inizino a metter in discussione un
sistema che ne mortifica la professione, tiene basso il reddito e ne
condanna una parte consistente alla precarietà più infame.
Flora Purim
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