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Da "Umanità Nova"
n. 30 del 28 settembre 2003
Letture: Barbari / L’insorgenza disordinata
Barbari e moltitudini contro l’impero fantasma
Crisso/Odoteo, Barbari / L'insorgenza disordinata (2002), ed. NN, euro 3,00
Barbari e moltitudini contro l'impero fantasma
"Capitale e lavoro sono fattori contrapposti ed inconciliabili, come lo sono fuoco ed acqua." (Spartacus 1918)
L'uscita del simpatico pamphlet "Barbari. L'insorgenza
disordinata", in risposta al ponderoso quanto pretenzioso "Impero" di
M. Hardt e A. Negri, ci offre l'occasione per riflettere su alcune
questioni che entrambi i testi, seppur da opposti punti di vista,
affrontano, rimandando ad altri interventi un'analisi più
completa della sacra bibbia negriana, subito adottata da varie aree
politiche che vanno da settori di Rifondazione Comunista ai
Disobbedienti, dai Verdi ad una parte della redazione de "Il Manifesto".
La critica neo-luddista degli autori di "Barbari" è
senz'altro interessante, anche se presenta sia intuizioni forti che
punti deboli. La sua tesi principale è che l'opposizione
"Global" all'Impero sia nella sostanza del tutto funzionale ad esso e
persino taumaturgica, anche se questa alimenta e mette in scena il
conflitto delle cosiddette moltitudini.
Tale "atteggiamento" nei confronti della globalizzazione economica
infatti ricorda per certi aspetti quello marxista nei confronti della
funzione rivoluzionaria della borghesia che, parallelamente allo
sviluppo della grande industria, avrebbe fatalmente accresciuto il peso
politico del proletariato e quindi determinato le premesse del
comunismo.
Ed in effetti, non è difficile riscontrare nel saggio
di Hardt e Negri una simile, e quasi perversa, ammirazione per la
globalizzazione, giungendo a teorizzare che è stata "la
moltitudine ad evocare la nascita dell'Impero". Giustamente, osservano
acutamente i loro barbari critici, "nemmeno la grandezza delle piramidi
egizie costituisce una valida giustificazione alle terribili sofferenze
patite dagli schiavi che le hanno costruite, figuriamoci se possono
esserlo il mais transgenico, i pozzi di petrolio, le sfilate di moda o
i microchip!".
È infatti innegabile che se i comportamenti a-legali
dei sudditi accelerano taluni processi sociali e la ricerca
tecnologica, è altrettanto vero che "la ribellione spinge il
dominio a rimodellare costantemente il mondo, ma il risultato finale di
questa ristrutturazione corrisponde sempre agli interessi di chi
governa".
Invece, forti della convinzione che la globalizzazione finisca
per favorire le sue vittime, Hardt e Negri escludono a priori ogni
spazio autonomo di sovversione, diretta a distruggere quello che loro
definiscono Impero. "Si tratta - si legge nel pamphlet - di una
eventualità che i due emissari non prendono nemmeno in
considerazione, pur di non evocare pericolosi fantasmi" che ritengono
ormai consegnati tra le anticaglie dei musei quali rivoluzione,
comunismo, anarchia.
Per loro la costruzione dell'Impero reca già al suo
interno le premesse della liberazione delle moltitudini, "è
buona in sé, ma non per sé"; quindi più che
resistere ai devastanti processi della globalizzazione capitalistica
bisogna riorganizzarli, influenzarli, democratizzarli e pilotarli
attraverso un "contropotere" che in realtà non è altro se
non la riproposizione mascherata dell'utopia riformista e, sul fondo,
s'intravede una strategia basata sulla "progressiva conquista di spazi
istituzionali, di un consenso politico e sindacale sempre più
allargato, di una legittimità ottenuta offrendo al potere la
propria forza di mediazione".
I tempi in cui Negri, il cattivo maestro dell'Autonomia
scriveva "Il dominio e il sabotaggio" appaiono ormai così
lontani che il professore padovano consegna il sabotaggio ad una "era
disciplinare" ritenuta ormai superata: bene fanno gli autori di
"Barbari" a mettere il dito nella piaga, ma anch'essi, come si diceva,
evidenziano dei punti deboli nel loro discorso.
Innanzi tutto, in tutto il pamphlet, non mettono una sola
volta in discussione l'idea stessa di Impero, che appare sempre
più mito e propaganda di un dominio che ha bisogno di stupire,
irretire, terrorizzare. L'Impero è allo stesso tempo un apparato
ideologico, un regime mitologico, una macchina propagandistica;
l'Impero così come ci viene rappresentato praticamente non
esiste: questo deve essere il punto centrale della critica radicale nei
confronti delle teorizzazioni negriane e delle pratiche "disobbedienti".
La stessa guerra contro l'Iraq ha bombardato anche l'idea del
super Impero che vedeva un'alleanza planetaria capeggiata dagli Usa, ma
comprendente anche l'Europa, la Russia e la Cina; infatti siamo stati
testimoni di un'aggressione in puro stile imperialista (e non
imperiale!) dentro un quadro di conflitto interimperialista che ha
visto i diversi e dissonanti ruoli assunti da Germania, Francia, Belgio
in Europa, e quelli di Russia e Cina.
Dissonanti al punto da far immaginare per il futuro altrettante guerre.
Così quelle istituzioni "globali" che erano considerate mere
articolazioni dell'Impero, quali l'Onu, la Ue, la Nato sono entrate in
una crisi senza precedenti.
Altrettanto evidente è apparso il declino statunitense,
assalito dalla recessione interna e minacciato da potenze economiche
emergenti, come la Cina, o riemergenti, come l'Europa, un declino che
spinge in continuazione verso la guerra su tutti i fronti.
La teoria che aveva dato per scontato il superamento
dell'imperialismo e delle sue contraddizioni a causa dell'annullamento
dei confini nazionali operato dalle grandi centralizzazioni
capitalistiche che hanno aperto la fase della cosiddetta
globalizzazione, suonando la campana a morto per le borghesie e gli
stati nazionali, è peraltro confutata radicalmente dai crudi
dati economici. Se si prende infatti in considerazione la "madre
patria" delle prime 45 multinazionali mondiali si scopre che sono
così spartite: 16 Usa, 15 Giappone, 5 Germania, 3 Regno Unito, 2
Svizzera, 2 Italia, 1 Francia, 1 Paesi Bassi, ossia tra i principali
Stati imperialisti del mondo.
L'altro punto debole della critica "barbara", anch'esso per
certi aspetti speculare alle tesi negriane, riguarda l'individuazione
del "nemico" dell'Impero.
Per Negri e i Disobbedienti, questo viene individuato nella
società civile, nei cittadini, nelle moltitudini, ma che
rapporto ha per costoro la "Moltitudine" con i proletari, gli
sfruttati, la working class, se nella loro visione la "fabbrica"
è stata completamente soppiantata dal "lavoro immateriale"?
Semplicemente facendo rientrare le contraddizioni e la lotta
di classe dentro la categoria astratta quanto interclassista della
"moltitudine" (parente chic della "gente" di Funari), annullando di
colpo le determinazioni classiche del lavoro salariato e le esperienze
del "vecchio" movimento operaio, evidentemente troppo antagoniste e
troppo poco addomesticabili sullo scenario postmoderno dell'Impero.
Purtroppo questo aspetto del Negri-pensiero ai "Barbari" non interessa
smascherarlo, ed anzi preferiscono sottolineare, riecheggiando Lenin,
che "la natura del sindacato è intrinsecamente riformista" e che
"qualsiasi lotta economica entro i limiti della società
capitalistica non permette al lavoratore che di rimanere tale,
perpetuandone la schiavitù".
Su tali affermazioni ci sarebbe molto da obiettare, anche da un punto
di vista storico (hanno perpetuato la schiavitù dei proletari
l'IWW, la CNT o la FORA?), ma una certa involontaria convergenza con i
discorsi post-operaisti di Negri dovrebbe far riflettere su simili
argomentazioni.
Questa considerazione non è marginale nel momento in
cui si auspica la "guerra sociale" contro il capitale, andando oltre
"il disgusto, la disperazione, la ripugnanza di trascinare la propria
esistenza nel sangue sparso dal potere e nel fango sollevato
dall'obbedienza".
La citata rivolta spartachista insegna che la più
irriducibile e violenta delle guerre è quella combattuta ogni
giorno tra lavoro e capitale.
Sandra K.
Le presenti considerazioni sono debitrici nei confronti di diverse
elaborazioni, in particolare vanno menzionati gli interventi comparsi
su "Collegamenti-Wobbly". Per quanto riguarda invece una critica
puntuale del libro di Hardt e Negri si rimanda a Maria Turchetto,
L'Impero colpisce ancora www.intermarx.com. Un grazie anche ai compagni
del Comidad dei quali ho piratato alcune idee.
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