Da "Umanità Nova"
n. 31 del 5 ottobre 2003
Tentazioni nucleari
L'Italia e l'atomo
L'offensiva
degli ambienti favorevoli ad un ritorno del nucleare si è fatta
negli ultimi tempi sempre più intensa anche grazie alla sapiente
gestione della questione black out (si vedono UN n. 26 e n. 28). Il
governo si comporta in modo ambiguo: da una parte opera per far
rientrare l'Italia nel club nucleare (inserisce nel disegno di legge
Marzano sul "riordino delle politiche energetiche" un articolo che
prevede la possibilità per l'ENEL di investire sul nucleare
all'estero e diffonde un documento sul potenziale business
dell'ammodernamento degli impianti nucleari nell'Est europeo),
dall'altra nega di voler riaprire il dossier nucleare in Italia.
In realtà la partita è molto più
complessa. In Italia la lobby legata al petrolio e al gas è
molto forte e si basa su multinazionali potenti che in passato non
hanno mancato di foraggiare il sistema politico a tutti livelli.
Ricordo di aver scritto proprio su queste colonne (n. 34 del 1987) che
uno dei motivi della rinuncia italiana al nucleare era il fatto che i
due principali partiti di governo (DE e PSI) erano fortemente
"influenzati" dagli interessi petroliferi. Gli scandali delle tangenti
pagate dall'ENI ai partiti negli anni '80 confermarono questa
affermazione, così osteggiata dagli ambientalisti
filoparlamentari. La forza della lobby petrolifera spiega perché
il nucleare in Italia non si sia mai sviluppato: ricordiamoci che il
referendum del 1987 fece chiudere appena 4 centrali atomiche, una
miseria rispetto alle decine di impianti nucleari costruiti un po' in
tutto il resto d'Europa!
Oggi la situazione non è sostanzialmente cambiata anche
se la privatizzazione dell'ENEL sembra ridare fiato ai nuclearisti. Non
a caso è proprio su questo colosso – che ancora oggi è al
68% di proprietà dello Stato – che si fondano le nostrane
ipotesi di rilancio atomico: in un'intervista pubblicata da "Il Sole-24
ore" dell'11 marzo il presidente dell'ENEL Scaroni ha dichiarato che
"l'ENEL vuol entrare in possesso di 4/5 centrali nucleari francesi". In
realtà le cose non stanno proprio cosi. Effettivamente l'ENEL
conta sulla liberalizzazione del mercato francese per incrementare le
proprie capacità a livello internazionale ma non ha alcuna
intenzione di "acquistare" centrali nucleari (se non altro
perché producono energia a costi superiori a quelli delle
centrali a gas e a carbone e quindi si tratterebbe di un pessimo
affare). Più realisticamente si tratterebbe di uno scambio:
l'ENEL otterrebbe diritti di prelievo sul 10-15% della capacità
di produzione di EdF (ossia circa 10mila megawatt di potenza
installata) - destinati ad essere venduti sul mercato francese - mentre
l'EDF, il monopolista di stato francese, otterrebbe di poter allargare
la sua presenza in Edison, seconda produttrice di elettricità in
Italia, oggi ferma al 2% a causa di un decreto ad hoc emanato dal
governo Berlusconi. Riguardo al nucleare l'ENEL per ora si è
limitata a chiedere di poter partecipare al programma franco-tedesco
del nuovo reattore nucleare EPR e a ipotizzare la creazione di una
società mista ENEL-EDF per assicurarsi nuove fonti di energia
sul mercato dell'Europa centrale (il riferimento al nucleare è
chiaro).
Il fatto è che il nucleare rimane in crisi per motivi
economici e sociali. Motivi economici perché l'energia nucleare
è tanto costosa da essere tenuta nel mercato solo grazie alle
sovvenzioni statali. Non è un caso che negli Stati Uniti
l'ultima richiesta di costruire una centrale atomica risale al 1973, ed
è quella di costruire un reattore a Spring City. Ci vollero 22
anni e 7 miliardi di dollari per completare il progetto, l'ultimo
è più lampante esempio del catastrofico esperimento
nucleare lanciato all'inizio degli anni '50. Negli Stati Uniti oggi
nessuno investe nel nucleare, non solo per l'aumento esorbitante dei
costi ma anche per i problemi legati al "decommissioning", cioè
alla messa in sicurezza che deve seguire la chiusura degli impianti, e
alla gestione delle scorie. La mazzata finale al sogno nucleare l'hanno
data la diminuzione dei costi delle centrali a gas e a carbone tanto
che dopo aver raggiunto il picco di 111 il numero degli impianti
funzionanti è sceso oggi a 103. In Inghilterra il nucleare
boccheggia: il prezzo di un MegaWattore nucleare è di 21,70
sterline contro un prezzo di vendita di 18,30 sterline. Per salvare
l'Ente atomico (British Energy, nel 2002 perdite per circa 6 miliardi
di euro) lo Stato inglese è dovuto intervenire con un prestito
straordinario di 650 milioni di sterline e con altri aiuti. In Francia
l'Autorità per la sicurezza atomica ha chiesto all'EDF un
riesame del rischio terremoto per tutti i suoi 58 reattori ma il
colosso elettrico francese tentenna perché non può
permettersi i 2 miliardi di euro per i lavori di rafforzamento. Ma
anche in Francia il prezzo dell'energia nucleare è sostenuto
dallo Stato che si accolla le spese per lo smaltimento e lo stoccaggio
delle scorie e quelle per la sicurezza. Oltre che per i problemi
economici il nucleare è in crisi anche per la forte opposizione
sociale: il Giappone, per esempio, rischia il black out a causa di uno
scandalo che ha travolto i dirigenti della TEPCO, la principale
compagnia elettrica del paese, che hanno ammesso di aver falsificato
per quasi 20 anni i risultati delle ispezioni condotte sui reattori:
insomma questi criminali non hanno fermato gli impianti nonostante
conoscessero i loro problemi tecnici. Cosi da aprile la TEPCO ha dovuto
chiudere 17 dei suoi 51 reattori nucleari per sottoporli ad accurati
test di sicurezza, test ancora in corso. È bene ricordare che il
Giappone ha subito il più grave incidente nucleare dopo quello
di Chernobyl: il 30 settembre 1999 una perdita alla centrale di
Takamura, fino ad allora "fiore all'occhiello" della TEPCO,
provocò 2 morti e 663 irradiati.
L'ultima idiozia per rilanciare il nucleare viene dagli Stati
Uniti dove alcuni "scienziati" avrebbero proposto di costruire una rete
di trasmissione continentale fondata su un uso "sinergico" di energia
nucleare, elettricità e idrogeno. Per rispetto di chi ci legge
evitiamo di scendere nel dettaglio di questa scempiaggine, denominata
"Continental Super GRID".
Insomma il progetto di produrre energia elettrica da impianti
nucleari, voluto dal complesso militar-industriale per meglio sostenere
i piani per nuovi armamenti nucleari, è fallito. Ma questa
constatazione non ci dispensa dal mantenere alta l'attenzione su questo
tema. A scanso di brutte sorprese.
M. Z.
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