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Da "Umanità Nova"
n. 32 del 12 ottobre 2003
Schiavitù senza fine
Berlusconi affonda le pensioni: cresce lo scontro sociale
L'idea
che i cosiddetti grandi uomini facciano la storia è, a mio
avviso, destituita di fondamento. I "grandi uomini", infatti, occupano
un ruolo disegnato da forze impersonali e capita, ad esser buoni, che
esprimano, in qualche modo, quello che possiamo definire come come lo
spirito del tempo. In particolare i capi politici possono essere
definiti come individui che sono mossi dalle forze che si illudono, se
ne hanno una ragionevole percezione, di governare.
Che Silvio Berlusconi possa essere annoverato in questa
categoria può suonare, sono il primo ad ammetterlo, come una
definizione bizzarra, d'altro canto eviterei la classica gerarchia dei
grandi personaggi della storia, se abbiamo, come abbiamo, la
consapevolezza del fatto che sono stati per la gran parte dei macellai
e dei buffoni non si vede perché un tipo che possiede circa
30.000 miliardi di vecchie lire e tratta, sia pur da porta borse, con
Putin e Bush non debba essere annoverato come un personaggio storico.
In fondo, e sino ad un mai troppo vicino, rovescimento radicale
dell'ordine del mondo, la storia ufficiale è quella del potere.
Se uno spazio è dato ai personaggi comico/storici alla
Berlusconi (so che la definizione hegheliana è diversa ma
ritengo che la mia piccola correzione sia meritata) è, di
conseguenza, quello di esprimere un punto di crisi degli equilibri
interni al potere e di assumersi la responsabilità o, se si
preferisce, la parte di chi forza situazioni bloccate da tensioni
interne al blocco politico ed a quello sociale di riferimento.
Come è noto, infatti, la discussione sulla riforma delle
pensioni da diversi mesi si trascinava alquanto faticosamente fra i
vari segmenti che compongono il variopinto mondo della destra italica.
A livello di forze politiche, fascisti e democristiani si erano assunti
il compito di fare da guardiani dello stato sociale che, in fondo, come
categoria concettuale è stato creato dal Maresciallo Petain,
mentre Forza Italia si atteggiava ad alfiere della liberalizzazione.
Questo scontro titanico esprimeva, ed esprime, a livello superficiale
l'esigenza da parte di diversi settori della destra di non scontentare
i settori popolari della loro base e, a un livello più profondo,
la classica contraddizione del capitalismo realmente esistente fra
esigenza di comprimere reddito e diritti delle classi subalterne e
necessità di garantire il controllo sociale.
È assolutamente chiaro che si era nella classica
situazione dalla quale non si poteva uscire dialogando e mettendosi
tutti d'accordo e, di conseguenza, il nostro eroe ha fatto
un'operazione semplicissima. Presentandosi direttamente al buon popolo
ed informandolo che siamo una grande famiglia che, per il bene di figli
e nipoti, deve fare i doverosi sacrifici ha bruciato i ponti alle
spalle ponendo i suoi putiferianti partner di fonte a una scelta secca:
o seguirlo nell'impresa o far cadere il governo con il conseguente
suicidio in diretta dell'intera destra.
A modo suo, una mossa elegante che ha, per di più, il pregio di
cercare di ridare smalto al governo stesso e di accreditare
capacità di decisione a un'alleanza che sembra, di norma, una
banda di ubriachi. Che, poi, chi ha deciso veramente qualcosa è
stato il padronato nazionale ed internazionale e i tecnoburocrati
europei è palese ma Berlusconi, nonostante quello che si dice di
lui, sa accontentarsi del ruolo di primo attore e non pone problemi
soverchi ai suoi registi.
Che il ceto politico della destra si compatti è dubbio visto
che, nei giorni seguenti, qualche ritorsione il nostro eroe l'ha subita
proprio su questioni di suo personale interesse. Quello che è,
comunque, certo è che questa forzatura mette a repentaglio la
tenuta del blocco sociale della destra.
Infatti CISL e UIL, che pure si erano esposte non poco in una politica
di buoni rapporti con il governo e che qualche prezzo in termini di
consenso lo avevano pagato, si sono viste spiazzate ed umiliate e,
tenendo conto del fatto che il segmento sociale in proporzione
più colpìto è il pubblico impiego, loro
tradizionale bacino di insediamento, sono state costrette a ricostruire
un fronte "unitario" con una CGIL, per parte sua in fase di
normalizzazione postcofferatiana, e a promuovere uno sciopero di mezza
giornata contro il governo per il prossimo 24 ottobre.
Ovviamente la crisi di tenuta del blocco sociale della destra
non è questione di poco conto ed andrà valutata con
attenzione nelle prossime settimane. Nelle assemblee sindacali alle
quali mi è capitato di partecipare era chiaro che tutti, a
prescindere dalle simpatie poltiche, erano, diciamo così,
nervosi per una "riforma" che ci colpisce seccamente o sotto forma di
taglio della pensione e di prolugamento degli anni di lavoro o sotto
forma di prolungamento di una situazione precaria a fronte del taglio
degli organici derivante dal rinvio del pensionamento.
A livello ancora più profondo e sicuramente più rilevante
la partita si giocherà nelle mobilitazioni che partiranno.
La situazione non è quella del 1994, quando il governo cadde su
di una riforma delle pensioni analoga all'attuale, sia perchè la
maggioranza parlamentare è più robusta e la Lega Nord
è addomesticata e ridimensionata che perchè i governi di
sinistra hanno già tagliato seccamente le pensioni.
D'altro canto, è anche vero che in questi anni i salari si sono
ridotti seccamente e che la precarizzazione del lavoro incide
fortemente nel corpo della classe lavoratrice.
Non voglio sostenere che meccanicamente il degrado delle condizioni di
vita e di lavoro si traduce in combattività ma certo la tensione
è forte e palpabile e un obiettivo unificante può
funzionare da volano per la ripresa di un ciclo di lotte.
Siamo, a questo punto, di fonte ad una situazione complicata anche se
non nuova. La CUB, lo SLAI Cobas e l'USI avevano già indetto uno
sciopero non solo sulla questione delle pensioni ma certo anche, e con
ragione, sulle pensioni per il 7 novembre. La piattaforma dello
sciopero, senza essere "rivoluzionaria", è radicale visto che
pone al centro la necessità di una difesa intransigente della
retribuzione dei salariati (diretta, indiretta e differita), la difesa
delle libertà sindacali ecc.. La Confederazione Cobas ed il Sin
Cobas avevano ritenuto di tenersi fuori da questo percorso, come,
peraltro, era avvenuto in precedenti occasioni, forse in attesa di
un'occasione migliore che è effettivamente arrivata.
L'accelerazione berlusconiana ha prodotto quella dei sindacati
istituzionali ed è evidente che lo sciopero di CGIL-CISL-UIL,
anche perchè precede quello del sindacalismo alternativo ha la
possibilità di intercettare l'ovvia indignazione dei lavoratori
e di utilizzarla per restaurare la concertazione messa a repentaglio.
Non ritengo necessario tediare i nostri lettori ricordando
dettagliatamente come la Riforma Dini sia stata fatta con l'assenso di
CGIL-CISL-UIL, come la concertazione ha comportato un taglio secco
delle retribuzioni, come la Legge Biagi è stata preceduta dal
Pacchetto Treu ecc.
La questione è chiara, CGIL-CISL-UIL chiedono ai
lavoratori di rilegittimarli nel ruolo di soggetti concertativi e non
basteranno certo dei volantini estremisti a modificare questo dato di
realtà.
Credo che si debba, di conseguenza, sostenere un'iniziativa
come lo sciopero del 7 novembre che certo parte con mille e
comprensibili difficoltà ma che ha il pregio di porre al centro
alcune questioni sostanziali e di sviluppare l'autonomia dei lavoratori
dalle controparti.
Ancora una volta: "Hic Rhodus, hic salta!"
Cosimo Scarinzi
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