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Da "Umanità Nova"
n. 32 del 12 ottobre 2003
Risse nella maggioranza
I nodi vengono al pettine
Chi
è di memoria meno corta ricorderà la prosopopea con la
quale gli eredi di Mussolini e Almirante si offrirono all'attenzione
dell'elettorato dopo lo sconquasso di Mani Pulite: l'unico partito non
dico toccato, ma neppure sfiorato dalle inchieste della magistratura,
la forza del rinnovamento morale che avrebbe riportato ordine e rigore
nella vita politica, gli uomini dediti al progresso sociale e
geneticamente alieni dalle indecenti lotte di potere per la conquista
di una qualche poltrona. E se poi anche loro vennero colti con le mani
nel sacco (nei bilanci del Coni, l'unico ente nel quale contavano
qualcosa), se nelle amministrazioni del sud erano spesso collusi con
mafia e camorra, se il loro "progetto" politico si rifaceva e tornava,
con preoccupante attinenza, a quel fascismo sociale e repubblichino che
si proponeva come l'alibi del tragico Ventennio, tutto questo aveva,
per un elettorato affamato di aria fresca, ben poca importanza:
l'operazione fu affrontata con discreta intelligenza, i simboli vennero
cambiati e gli orbaci gettati alle ortiche, si fecero avanti le nuove
leve, gli "avanguardisti" delle lotte antistudentesche e antioperaie
degli anni settanta, la sostanza reazionaria e conservatrice rimase
identica, ma l'immagine si modificò e con essa il consenso
elettorale. Ricordate il fortunato slogan della "forza tranquilla"?
Ebbene, come era da immaginare, è durata poco. Dopo
qualche anno di discreti risultati alle elezioni, di sommessa presenza
nel governo, di ministeriale gestione del poco potere concesso
dall'oligarca Berlusconi (come si è compiaciuto di chiamarlo,
pochi giorni orsono, l'irriverente Storace), i nodi di An sono venuti
al pettine, con tutte le tensioni del caso. E contestualmente anche i
malmostosi intrecci di potere, di interessi e di complicità che
tengono unita la coalizione di governo, divisa su tutto, ma cementata
dalla provvidenziale fobia "anticomunista", stanno saltando fuori con
impressionante regolarità, facendo della cosiddetta Casa delle
Libertà una sorta di ricovero notturno frequentato dalla
grottesca fauna del sottoparlamentariato urbano. E se qualcuno,
preoccupato dell'andazzo, cercasse di metterci riparo, c'è
sempre il Braveheart di Viggiù, più sbavaccioso che mai,
pronto ad accomodare le cose a modo suo.
Da tempo, ormai, la compagine governativa è scossa da
pulsioni centrifughe ed autodistruttive, che solo un provvidenziale
senso di conservazione impedisce di risolversi compiutamente. Pulsioni
che non interessano solo i rapporti fra i vari partiti che la
compongono, ma anche gli equilibri interni ai più importanti di
essi. La crisi di An è sotto gli occhi di tutti, e neppure il
carisma dell'algido Fini riesce più a tener calmi coloro che
qualche buono spirito, tempo fa, si compiacque di chiamare colonnelli.
All'interno della Lega solo la consapevolezza del ricatto economico cui
è sottoposta impedisce ai suoi dirigenti di dire liberamente,
con parole loro, cosa pensano di Berlusconi. E nel partito di Follini e
Casini le immortali pratiche democristiane (moriremo democristiani?
Ebbene, sì, moriremo democristiani!) devono fare i conti con lo
stato di avvilente subalternità nei confronti di Forza Italia. E
se questi partiti stanno amaramente pagando dazio, anche all'interno
del partito-azienda le cose non sono così idilliache come le
vorrebbe il loro capo ufficio. Le recenti vicende della nomina a
coordinatori di Bondi e Cicchitto (toh, chi si rivede!), i soliti
impedimenti alla celebrazione di un vero congresso, l'avvicendarsi nel
corso degli anni dei "fidati" portavoce, la comica esibizione delle
mille comparse, l'emergere di una insofferenza reale in molti dei
"fondatori", tutto fa pensare che si stia aprendo, anche all'interno di
Forza Italia, una crisi strutturale di una qualche importanza. E se per
adesso la longa manus del premier e le sue generose elargizioni
riescono ancora a contenere e limitare lo scontento, è comunque
legittimo pensare che a breve, consegnata agli archivi l'unificante
fase dell'emergenza "giudiziaria", i particolarismi e gli interessi di
bottega, il vero humus di questa nobile accozzaglia, faranno deflagrare
un coacervo di contraddizioni sempre più insanabili. Anche
perchè i debiti contratti con i molti poteri che si muovono
fuori dal parlamento vanno onorati.
Come si vede, dunque, grande è la confusione sotto il
cielo. E altrettanto grandi sono le prospettive di lotta e di
intervento che si aprono. Nel momento in cui cadono gli equivoci,
quando i tanti lavoratori, convinti a suo tempo delle capacità
innovative della destra, hanno la possibilità di aprire gli
occhi, quando la massa elettorale si sgrugna sul fatto che non esistono
governi "buoni" ma solo "governi", la nostra presenza, la presenza di
chi da sempre combatte gli atti e denuncia le invenzioni del potere,
trova più ampia ragion d'essere. Nuove guerre si sono aggiunte
alle vecchie, nuove leggi razziali hanno "migliorato" le precedenti,
l'inflazione accelera e gli stipendi rallentano, il mercato del lavoro
e il sistema pensionistico perdono le ultime garanzie strappate al
liberismo imperante, le tensioni generazionali si misurano sul metro
della repressione, la trasgressione dei modelli imposti diviene un
delitto di lesa maestà. E la conferenza europea sulla scuola si
tiene nel carcere a cielo aperto di San Patrignano.
Di carne al fuoco, a quanto pare, ce n'è in abbondanza
e lo scontro sociale, lo scontro che vedrà ancora contrapposti
lavoro dipendente e sfruttamento capitalistico, desiderio di
libertà e coercizione autoritaria, spirito di solidarietà
e incultura dell'egoismo, troverà una radicalità
proporzionale a tale dicotomia. E in questa rinnovata radicalità
dovrà muoversi, con l'intelligenza della ragione e la forza dei
contenuti, l'azione degli anarchici. Senza facili illusioni ma anche
senza sconti per nessuno.
Massimo Ortalli
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