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Da "Umanità Nova"
n. 32 del 12 ottobre 2003
Speronata del Cavaliere
Condoni, pensioni, finanziaria
Il
governo è riuscito alla fine, con palesi mal di pancia, a varare
il proprio progetto di legge finanziaria. In realtà si tratta di
tre diversi provvedimenti, che si sostengono l'uno con l'altro: la
legge finanziaria, il maxi-decreto fiscale, la legge delega sulle
pensioni. Sarebbe ipocrita affermare che tutto questo ben di dio giunge
inatteso. La struttura portante della legge finanziaria è ben
nota da almeno un mese, mentre l'intervento sulle pensioni cova sotto
la cenere da almeno un paio d'anni, da quando il governo
presentò, nel dicembre 2001, i famosi decreti delegati su
previdenza, scuola, mercato del lavoro e fisco. Quello che ha
prepotentemente collocato al centro dell'agenda politica la ennesima
controriforma delle pensioni è stata l'uscita agostana del
Cavaliere Nero, che aveva indicato in 60 anni la soglia anagrafica
minima per poter accedere all'agognato collocamento a riposo. Da allora
è cominciato il conto alla rovescia, scandito da uno stucchevole
tira e molla tra il Ministro del Welfare Roberto Maroni (assurto a
sedicente paladino delle pensioni del Nord) ed il Ministro
dell'Economia Giulio Tremonti (autoinvestitosi del ruolo di vergine
sacrificale sull'altare del rigore e del rispetto dei conti pubblici).
D'altronde a metà legislatura occorreva rompere gli indugi e
provare ad attaccare al cuore: o adesso o mai più. In prima
serata e a rete unificate il Presidente del Consiglio, paterno come
Andreotti, conciliante come Prodi e convincente come un venditore di
detersivi, ha provato ad illustrare agli italiani la necessità
di farsi molti anni di lavoro in più in cambio di pensioni
più basse.
La rissosità, la scarsa coesione, le forti
contraddizioni interne alla maggioranza, da una parte, la debolezza del
ciclo economico e lo stato già comatoso della spesa pubblica
dall'altra, avevano reso impossibile la presentazione di una legge
finanziaria aggressiva, capace di attaccare frontalmente gli squilibri
strutturali del caso italiano. In questa situazione, l'unica strada per
dare un minimo di credibilità rigorista alla legge finanziaria
era quella di riprendere in mano le pensioni, nonostante che gli
accordi sindacali indicassero nel 2005 la data per la prima verifica
complessiva sulla legge Dini del 1995. La legge finanziaria 2004
è in sostanza la fotocopia di quella precedente, centrata per
due terzi su entrate straordinarie e per circa un terzo su tagli di
spesa: manca solo lo scudo fiscale per il rientro dei capitali italiani
dall'estero. Le entrate straordinarie includono il vergognoso capitolo
del condono edilizio (3,35 miliardi di euro attesi), che
consentirà di sanare gli abusi fino a 750 metri cubi; il
concordato preventivo biennale per artigiani e commercianti (3 miliardi
di euro); la proroga dal 16 ottobre 2003 al 16 marzo 2004 del condono
tombale; la cartolarizzazione di una ulteriore tranche di beni
pubblici, compresi terreni dello stato e immobili delle Ferrovie. I
contenimenti di spesa significano una razionalizzazione degli acquisti
della pubblica amministrazione, un rafforzamento del patto di
stabilità interno (cioè maggiori controlli e tagli ai
trasferimenti verso gli enti locali), un contributo di
solidarietà (2%) per le pensioni che superano i massimali della
Legge Dini.
La finanziaria riproduce dunque le logiche classiche di questo
governo: garantire impunità ai comportamenti illeciti facendo
pagare piccole sanzioni che chiudono i conti con il passato. Si premia
la capacità di arrangiarsi da soli, senza rispettare le regole e
senza osservare le leggi. Si riproduce la cultura
dell'illegalità e dell'abuso, praticato non certo per fini
generali o condivisibili, ma per ritagliarsi il proprio piccolo spazio
particolare, nel chiuso del proprio interesse privatistico. Una vera
educazione all'infrangere le regole in nome della proprietà
privata e del menefreghismo.
La ripetizione di continue misure una tantum viene
infiocchettata da una serie di trovate demagogiche per buttare polvere
negli occhi e contentare, nello stesso tempo, qualche segmento del ceto
politico, soprattutto quello più moderato, cattolico, familista:
tale è la proposta di dare 1.000 euro a chi fa il secondo
figlio, o semplificare le procedure per il nido condominiale, aiutare
gli insegnanti a comprarsi il computer e favorire gli studenti
meritevoli con un particolare Fondo. Molto ambigua è la misura
che dota di 1,2 miliardi di euro le missioni di pace dell'Italia
all'estero (la nostra quota di costo per Enduring Freedom?),
inconsistente la "detax etica" che dovrebbe incentivare con uno sconto
Iva il commercio equo e solidale, patetica la trovata di abbassare
l'Iva sull'acquisto delle ambulanze e risibile l'idea di mandare la
Guardia di Finanza a sorvegliare sull'aumento dei prezzi. Molto
più ambiziosa l'idea della Tecno-Tremonti, cioè una
Tremonti-ter tesa a favorire gli investimenti delle aziende in Ricerca
e Sviluppo, che sono attualmente a livelli da Terzo Mondo, come tutti
sanno. Il provvedimento dovrebbe consentire alle aziende di scalare
dalle tasse il 10% di quello che investono in ricerca e addirittura il
30% di quanto eccede gli investimenti medi dell'ultimo triennio. Nella
stessa logica rientra l'idea di concedere forti sconti fiscali (per due
anni) ai ricercatori che rientrano in Italia nei prossimi cinque.
L'efficacia di questo impianto è del tutto ipotetica e
comunque fortemente contraddittoria con le politiche generali: taglio
di fondi per scuola, Università e Ricerca, perdita di
competitività e di centralità produttiva, fuga dei
cervelli per incuria e disattenzione. Si ha l'impressione che si
chiudano le stalle a buoi ormai fuggiti e nulla esclude che la
Tremonti-ter fallisca miseramente come la Tremonti-bis, arrivata in un
momento in cui il ciclo degli investimenti aziendali era alla sua
conclusione e si è finito con l'usare le detrazioni,
sostanzialmente, per fare i leasing finalizzati a sostituire le auto
del popolo delle partite Iva. A proposito di leasing, la finanziaria ci
porta la bella novità del lease-back, cioè immobili
adibiti a uffici pubblici venduti ai privati, per essere riaffittati
allo stato con costi più elevati.
Tuttavia la finanziaria, pur così densa di piccoli e grandi
orrori, non vale lo show del Cavaliere che a reti unificate annuncia il
taglio delle pensioni all'Italia intera. Non si tratta, come è
ovvio, di un annuncio a ciel sereno. L'unica incertezza era sul quando
il governo avrebbe deciso di impegnare lo scontro. Adesso ci siamo. Per
il 2004 si comincia con la linea soft: incentivi del 32,7% della
retribuzione per chi, pur avendo maturato il diritto, si ferma a
lavorare per almeno altri due anni. Intanto procede la delega:
passaggio del TFR ai fondi pensioni, con la probabile clausola del
silenzio-assenso; decontribuzione o fiscalizzazione dei contributi
previdenziali per i neo assunti; innalzamento al 19% dei contributi
previdenziali per i Co.Co.Co.; e infine, dal 2008, requisito minino dei
40 anni di contributi per chi va in pensione, qualunque sia il regime
di appartenenza. Nelle mediazioni successive si è cercato di
addolcire la pillola tramutando il divieto di andare in pensione con
meno di 40 anni di contributi, con un forte disincentivo economico
(-30%), e con un regime transitorio che scade nel 2015. Inoltre i
lavoratori pubblici, in un primo tempo esclusi da qualunque incentivo a
restare, saranno soggetti di ulteriore trattativa tra un anno.
L'uscita televisiva del Cavaliere, fatta prima ancora di
avviare un confronto sindacale, manda in frantumi quel poco che restava
della concertazione o anche del dialogo sociale. Pezzotta accusa il
governo di voler scavalcare i "corpi intermedi" della società,
cioè in sostanza i rappresentanti istituzionali delle classi
subalterne, nella ricerca di un consenso plebiscitario ad un leader
mediatico di stampo presidenzialista. La Cgil allunga ancora la lista
del contenzioso con il governo. È probabile che ogni
difficoltà del governo si traduca in tentativi di disimpegno da
parte di qualche pezzo della maggioranza stessa. Potrebbe essere
cominciata una fase interessante, in cui emergono contemporaneamente
l'inconsistenza delle promesse elettorali e la dura realtà delle
decisioni da prendere. L'opposizione resta prigioniera di una strategia
priva di contenuti alternativi e fatica non poco a sfruttare lo spazio
politico che il governo le offre. I movimenti di opposizione sociale
hanno invece un notevole potenziale di intervento e possono misurarsi
con un avversario indebolito. Non si ripeterà tanto presto
un'occasione simile.
Renato Strumia
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