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Da "Umanità Nova"
n. 32 del 12 ottobre 2003
Sulle macerie del lavoro
I fondamenti della Costituzione europea
L'Europa
dei governi si è ritrovata a Roma per varare la conferenza
intergovernativa che dovrà portare all'approvazione di una
costituzione europea. Di questa costituzione europea fino ad ora si
è fondamentalmente occupata una commissione che ne ha redatto la
bozza. Questa commissione è formata da politici nominati dai
governi dei singoli paesi, con criteri più o meno bipartisan:
per esempio l'Italia è rappresentata da personaggi del calibro
di Giuliano Amato e Gianfranco Fini. Le critiche da fare al processo in
atto sono sia di metodo che di merito, anche solo in un'ottica
strettamente giuridica. Basti, sinteticamente, ricordare che le
costituzioni sono o concesse dal sovrano (tipo lo statuto albertino) o
frutto dei lavori di un'assemblea costituente eletta a suffragio
universale (tipo la nostra costituzione del 1948). La costituzione
europea che sta prendendo corpo è frutto, invece, di ristrette
cerchie politiche, al potere nei rispettivi paesi in questo preciso
momento storico. Nell'iter che da oggi alla fine del 2005
porterà all'entrata in vigore della costituzione europea, non vi
è alcun momento di almeno formale consultazione popolare.
È molto interessante che questa unione di stati, l'Europa, culla
della democrazia, dei principi liberali di divisione dei poteri, dei
diritti individuali, compia un processo costituzionale senza partire
dal soggetto cui appartiene la sovranità in tutti i paesi
dell'unione, cioè il popolo. Si tenga inoltre presente che il
processo di unificazione dell'Europa è sorto in primo luogo come
"mercato comune" e fino ad ora ha avuto il punto più alto nella
nascita dell'euro, la moneta unica.
Messi insieme questi dati, si può rilevare che fino ad
oggi le istituzioni europee e la relativa legislazione sono in gran
parte serviti a mettere in crisi, se non a smantellare, diritti
conquistati dai lavoratori in anni di lotte. L'esigenza di uniformare
la legislazione anche in materia sociale ha portato spesso a introdurre
normative che hanno di molto peggiorato le condizioni di lavoro,
piuttosto che migliorarle. Si pensi, tra le tante, alla normativa sul
contratto a termine introdotta nel 2001 o alla riforma dell'orario di
lavoro di questa primavera o alla legge 30/03 sul mercato del lavoro,
norme tutte approvate perché "l'Europa lo vuole". E che dire
della riforma delle pensioni francese o dei tagli allo stato sociale in
Germania o alla condanna ai lavori forzati che si vuole introdurre in
Italia con i 40 anni di contribuzione per poter andare in pensione?
Tutte misure prese perché "l'Europa lo vuole". L'Europa dei
banchieri, degli industriali, dei mercanti ha certo bisogno di
disciplina e flessibilità per scendere in campo contro Stati
Uniti e Cina nella competizione globale. Il fatto è che quanto a
stato sociale e condizioni di lavoro, gli avversari dell'Europa non
vanno tanto per il sottile; così come a partecipazione al potere
dal basso.
La sfida davanti cui ci troviamo è quindi quella di
impedire un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro in
Europa e contribuire ad un miglioramento in quelle aree che ci sono
presentate come avversarie sul mercato globale. Anche la domanda di
un'Europa più sociale e meno mercantile, appare fuorviante. Un
sovrastato o superstato non è migliore, anzi spesso è
peggiore, dei singoli stati che lo compongono, comunque. Uscire dai
meccanismi statuali per affermare la solidarietà diretta tra
lavoratori; darsi un percorso e delle tappe nel lavoro
internazionalista, l'unica dimensione davvero all'altezza dell'attacco
che viene portato ai lavoratori anche qui in Europa.
Simone Bisacca
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