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Da "Umanità Nova" n. 33 del 19 ottobre 2003

Contro lo stato e il capitalismo, azione diretta!


Non ci hanno messo molto i componenti della Casa delle Porcherie a fare pesare la loro matrice reazionaria, e nessuno si era illuso che avrebbero avuto la mano leggera nell'attacco alle condizioni di vita dei ceti meno abbienti.
In questo momento, tocca alla previdenza: dopo aver sistemato a colpi di leggi i propri guai giudiziari, dopo aver spedito un po' di soldati a fare la guerra santa agli infedeli, dopo aver fatto massacrare un po' di gente in piazza, i gangster dell'attuale governo si sono accorti che  restano ancora da risanare i conti pubblici: quale idea migliore che farli pagare ancora una volta ai lavoratori e ai pensionati?

L'attuale manovra sulle pensioni si configura come l'ennesima operazione banditesca dell'esecutivo berluscon-fascista: gli economisti del Sole 24 Ore, gli stessi che si eccitavano quando lo schianto delle bombe "antiterroriste" in Iraq e in Afganistan provocava il rialzo di qualche listino, non hanno esitato a commentare con interesse gli obiettivi dell'operazione "quota 40", che solo dal nome riecheggia fin troppo apertamente quel tetro "quota novanta" di mussoliniana memoria.
Effetti collaterali: "dai due ai tre milioni di pensioni in meno", con un risparmio di parecchi miliardi di euro, in oscillazione a seconda di quanto del nuovo regime verrà "spalmato" prima o dopo lo "scalino" del 2008.

In realtà, secondo molti, la manovra non sarebbe tanto finalizzata a risparmiare sulla spesa pubblica, quanto ad incentivare l'enorme business dei fondi integrativi privati, che non sono mai decollati definitivamente ed a cui ora si tenta di dare un impulso decisivo.
Di fatto sono in ballo alcuni anni di vita di milioni di lavoratori e lavoratrici (e dei loro familiari) sulla cui pelle i potenti e i loro tirapiedi mediatici si permettono di giocare alla roulette russa, dopo anni di tagli ai servizi e riduzioni drastiche del salario reale.
In questo calderone rientra un decreto governativo che blocca di fatto l'accesso anticipato alla pensione ai lavoratori che sono stati esposti all'amianto, con una macabra clausola: potranno andarci come prima quelli che hanno già contratto il mesotelioma. In sintesi, lor signori ci mandano a dire che prima crepiamo meglio è.

Nel teatrino dei quotidiani e dei telegiornali, la parte dei "cattivi" la stanno facendo i capi dello strombazzante carrozzone confederale di CGIL-CISL-UIL, che vorrebbero accreditarsi come i difensori dei diritti del lavoro, quando in realtà non lo sono da un bel pezzo, se mai in passato lo fossero stati qualche volta.

Non lo sono stati firmando gli infami accordi di luglio del ‘92 e del ‘93, i primi a bloccare la crescita dei salari nell'ultimo decennio, non lo sono stati arrogandosi il monopolio della rappresentanza con la truffa delle RSU.
Non lo sono stati ai tempi del governo Dini, la cui controriforma pensionistica, passata con il loro sostanziale avvallo, non è che la matrice di quel che sta facendo Berlusconi (che in realtà ha sostanzialmente preso lo schema del ‘95 per farlo viaggiare più velocemente).
Non lo sono stati in cinque anni di provvedimenti antipopolari, guerrafondai e clericali dei governi di centrosinistra, quando hanno pensato bene di tenere bassa la cresta per convenienza politica, facendo passare quel pacchetto Treu con cui si legalizzava  il lavoro in affitto e si dava un colpo tremendo ai diritti delle ultime generazioni di lavoratori e lavoratrici, che hanno visto in quegli stessi anni ridimensionarsi notevolmente tutti i servizi, le garanzie e le prospettive.
Non lo sono adesso che chiamano i lavoratori all'ennesima pagliacciata del 24 ottobre, uno sciopero generale finto (di sole 4 ore) che serve solo a rafforzare il loro apparato di opportunisti e burocrati, e forse ad avere una fetta il più grande possibile dell'appetitosa torta della previdenza integrativa, alla cui gestione non contano certo di restare estranei.

E nel frattempo rischiano di saltare anche quelle poche briciole di civiltà e di decenza che ancora esistono nel nostro sistema sociale, cioè uno straccio di tutela per chi è anziano e ha lavorato una vita. Certo, gli anarchici non si sono mai fatti illusioni sulla truffa del welfare state. Contrariamente ad altri, non abbiamo mai definito "età dell'oro" i decenni del dopoguerra in cui la "crescita" economica è andata a braccetto con il compromesso fordista-keynesiano.

Questo sia perché la ridistribuzione in forma di servizi e stato sociale non elimina la miseria e le contraddizioni, (fra l'altro viene restituita ai lavoratori una parte molto piccola di quello che era stato loro rapinato da Stato e padroni), sia perché, e la storia degli ultimi anni lo ha dimostrato ampiamente, queste concessioni sono revocabili in qualsiasi momento al primo vento di crisi.

Ma fatte queste considerazioni, gli anarchici, da sempre nel movimento operaio, si sono sempre battuti a fianco dei lavoratori anche per la più piccola conquista, perché questa, se non è piovuta dall'alto ma è stata conseguita con l'azione diretta e consapevole, è un passo verso la nuova società, una parte di quella "ginnastica rivoluzionaria" che ci raccomandava il vecchio Malatesta.

Per questo molti di noi si stanno mobilitando con quelle strutture del sindacalismo autogestionario e di base (Cub, USI-AIT, Slai) che non sono accorse scodinzolando dietro al carro di CGIL-CISL-UIL, ma con la coraggiosa scelta di indire uno sciopero generale autorganizzato per il 7 novembre, hanno rivendicato la presenza e la vitalità di un progetto alternativo di sindacato, e di una conflittualità sociale che non sia funzionale alla legittimazione e al controllo di partiti e apparati.

Certo la strada da fare è lunga, ma noi continueremo a batterci perché i lavoratori, i disoccupati, gli sfruttati, prendano in mano il loro destino. Lottando sì per l'immediata difesa dei diritti, ma con l'obiettivo che abbattuto questo governo non ne segua un altro più o meno simile, ma una società più giusta ed egualitaria, basata sull'autogestione della produzione e sulla solidarietà internazionalista e di classe. Obiettivi che dovremo conquistare con gli strumenti dell'azione diretta e dell'autorganizzazione, sbarazzandoci delle burocrazie confederali (e anche di quelle extraconfederali), per rilanciare nei posti di lavoro e nella società una pratica libertaria e autogestionaria.

F. F.





 

 



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