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Da "Umanità Nova" n. 33 del 19 ottobre 2003

Bolivia: rivolta contro la privatizzazione del gas
Sciopero generale e blocco della capitale


Soltanto a sei mesi di distanza da quando l'introduzione di una maggiorazione sulle imposte aveva portato il paese sull'orlo della guerra civile, con le forze di polizia che sparavano contro i corpi dell'esercito (vedi U.N. nn. 7 e 8/2003), a partire dalla seconda metà di settembre una nuova manovra governativa ha generato la quasi totale paralisi del paese, con uno sciopero generale cui aderiscono varie categorie di lavoratori, comunità contadine, insegnanti e statali con blocchi stradali e numerosi morti, feriti ed arresti.

Non essendo per ora riusciti a metterci in comunicazione diretta coi compagni in grado di leggere più a fondo la complessa realtà sociale boliviana, riprendiamo da varie fonti (fra cui Indymedia) le notizie che qui riportiamo, e che si fermano al 10 ottobre.

Nel perenne tentativo di rincorrere le imposizioni del Fondo Monetario Internazionale, e – perché no – per favorire le tasche di speculatori privati e di numerose multinazionali del petrolio, il presidente Gonzalo Sanchez de Lozada, ha negoziato l'esportazione di gas e petrolio grezzi del sottosuolo boliviano verso il Messico e gli Stati Uniti, passando per terminali marittimi situati in Cile. Si parla di un giro d'affari annuo di 1.300 miliardi di dollari, di cui soltanto le briciole rimarrebbero sul territorio in quanto le lavorazioni verrebbero effettuate all'estero.
Questo il motivo scatenante dell'agitazione attuale, che però va a sommarsi a numerose situazioni conflittuali che perennemente covano sotto le ceneri, per esplodere periodicamente col loro strascico di vittime. Per ricordarne qualcuna: la situazione dei coltivatori di coca, in continuazione nella morsa fra l'invasione militare americana, le mafie più o meno governative locali e imposizioni e restrizioni di ogni genere; la "guerra dell'acqua", che ha visto le popolazioni opporsi al tentativo delle multinazionali di impadronirsi della preziosa fonte di vita; i minatori, in balia delle quotazioni dello stagno e dei metalli estratti sui mercati internazionali, che spesso alle ristrutturazioni imposte dai padroni e dal governo e alla chiusura delle miniere rispondono con l'occupazione e l'autogestione; la disoccupazione e la sottoccupazione sempre dilaganti, i tagli alle pensioni, i salari al limite della sopravvivenza, ecc.

Fra le forme di lotta adottate, quella del blocco delle arterie che collegano i principali centri del paese è fra la più utilizzate: sulle strade vengono collocate grandi pietre ed alberi per rendere più difficile la circolazione ai veicoli, alle merci e soprattutto alle forze militari e di perlustrazione rurali.

Nella panoramica del paese spesso passa in secondo piano il tentativo, mai sopito, delle popolazioni che vivono sull'altipiano intorno al lago Titicaca, di espellere le strutture e la rappresentatività dello Stato boliviano, per ricomporre una comunità india presente da sempre sul territorio, capace di autogovernarsi e di vivere secondo le regole di una cultura propria: in larghe porzioni di territorio, lo stato non ha alcuna forma di rappresentatività.

A El Alto, nel pieno della zona che i nativi aymara vorrebbero franca, in settembre si sono tenute celebrazioni tradizionali religiose, che hanno visto la presenza di circa mille "turisti" di varia nazionalità, americani ed europei.

Proclamata dunque l'agitazione per la questione del gas, il convoglio composto da varie decine di pullman di "turisti" si è trovato nella difficoltà a rientrare verso la capitale, a causa degli sbarramenti stradali in territorio aymara, ed ha chiesto una scorta. Il 20 settembre, durante una delle tante soste per dar modo alla scorta di rimuovere gli ostacoli, la popolazione ha circondato il convoglio facendo sentire la propria protesta con grida ed il lancio di alcuni sassi. La risposta dei soldati è stata una sparatoria che ha causato molti feriti e alcuni morti (cinque?) fra la popolazione, fra cui una bambina affacciata ad una finestra, e sono spuntate anche alcune armi nelle mani dei campesinos, a loro volta causando due morti fra i militari.

La susseguente proclamazione dello sciopero generale ed il blocco stradale ancora più esteso hanno visto la partecipazione di larghi settori popolari e operai, che hanno tenuto manifestazioni nelle principali città, indette dalla Central Obrera Boliviana e dalle varie organizzazioni di mestiere, di quartiere e comunitarie presenti sul territorio.

Una marcia di minatori verso La Paz, il 9 ottobre, è stata affrontata a Ventanilla, pochi chilometri dal centro, a colpi di arma da fuoco, granate e gas asfissianti dalle forze di polizia e dall'esercito, causando alcuni morti (due?) e numerosissimi feriti. Gli scontri sono durati molte ore ed in altre zone intorno alla città sono stati assaltati posti di polizia e suppellettili sono state portate in strada ed incendiate per rafforzare i blocchi stradali.

AEnne





 

 



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