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Da "Umanità Nova" n. 33 del 19 ottobre 2003

I nuovi sudditi del capitale
Legge 30: il libro bianco dello sfruttamento


Il governo della destra oggi al potere nel nostro paese porta a compimento una delle promesse su cui aveva basato la propria campagna elettorale vincente, cioè la radicale trasformazione del mercato del lavoro. Questo pacchetto di norme viene chiamato "libro bianco di Maroni" o "legge Biagi", a seconda del riferimento all'attuale ministro del lavoro o al professore universitario di diritto del lavoro che le aveva dato corpo e forma giuridica, professore ucciso per suggellare nel sangue questo passaggio epocale.

Per noi è la legge 14.2.2003, n.30, una legge delega di dieci articoli, da cui il governo ha tratto un decreto legislativo di ottantasei articoli: l'insieme costituisce una vera e propria riforma della costituzione materiale della repubblica italiana, una riforma costituzionale molto più profonda delle altre riforme costituzionali annunciate, le quali dovrebbero coinvolgere il ruolo del governo e del parlamento. Perché le norme che andiamo a commentare toccano la vita quotidiana e il rapporto tra bisogno elementare di procurarsi il necessario per vivere, tempo di vita impiegato per soddisfare tale bisogno, soggezione all'altrui potere cui necessariamente i più si devono sottoporre per potere "tirare a campare".

Nell'impianto della Costituzione entrata in vigore il 1.1.1948, il lavoro era visto come elemento fondamentale della costruzione dello status di cittadinanza.

L'art. 1, c.1, Cost. recita: "L'Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro".
L'art. 3, c.2, Cost. recita: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della personalità umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese".
L'art. 4 Cost. recita: "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. – Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società".

È particolarmente significativo che queste norme siano contenute tra i "Principi fondamentali" della Costituzione.

Corollario fondamentale di questi principi sono il disposto dell'art. 36, c.1, Cost.: "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa"; nonché quello dell'art. 41 Cost: "L'attività economica privata è libera – Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana – La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali".
Nel disegno dei costituenti, l'impresa era al servizio del lavoro, inteso come fondamento della cittadinanza. In quest'ottica, il lavoro doveva appunto consentire "una esistenza libera e dignitosa", senza la quale non avrebbe potuto esserci una "effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese". Quindi tendenziale stabilità dell'occupazione come garanzia di effettivo accesso ai diritti politici e sociali e inserimento dell'impresa nel complessivo disegno costituzionale di elevazione economica, politica e sociale di tutti i cittadini.
La legislazione ordinaria ha quindi costruito un sistema ruotante attorno alla figura del "rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato" e le altre forme di lavoro (lavoro a termine, part-time, apprendistato, contratto di formazione e lavoro, socio lavoratore, lavoro interinale) erano state costruite come deroghe alla normativa generale e pienamente garantista dettata per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Il punto di vista oggi muta radicalmente. Il legislatore del 2003 assume a parametro la destrutturazione dell'organizzazione produttiva, alla stregua della quale l'impresa si riduce a nucleo essenziale operativo all'interno del quale soltanto si impone il radicamento organizzativo del lavoro; fuori da questo nucleo essenziale, l'imprenditore può di volta in volta indirizzare la propria scelta discrezionale organizzativa secondo una linea di indifferenza, tipologica e di regime giuridico, verso una varia gamma di forme di rapporto di lavoro, a prescindere dall'adeguatezza socio-economica della condizione lavorativa che ad esse consegue.

È l'impresa, quindi, nel nuovo disegno, il perno intorno cui ruota il mondo del lavoro, il quale deve fornire solo alla stessa le migliori condizioni per l'attuazione delle scelte organizzative e produttive che di volta in volta l'imprenditore assume.

Accanto a ciò e per diretta conseguenza, viene quindi privilegiato non il momento della tutela collettiva del lavoro, quanto il momento della contrattazione individuale: è tendenzialmente nel contratto individuale che le parti, imprenditore e lavoratore, formalmente sullo stesso piano e autonomi nelle loro decisioni, regolano i reciproci rapporti.
Dalla stabilità alla flessibilità e precarietà; dall'occupazione alla occupabilità; dalla cittadinanza alla sudditanza.

Si sono voluti ripercorrere brevemente i principi cardine della carta costituzionale italiana per misurare la distanza tra il quadro normativo entro cui ci si è mossi fino ad oggi e ciò che invece si prospetta come futuro. La cultura di cui la costituzione italiana è il frutto, cioè quella cattolica, comunista e liberale è giustamente criticabile nell'esaltazione del lavoro come accesso alla cittadinanza, perché nobilita il rapporto capitale/lavoro basato sullo sfruttamento e l'estrazione del plusvalore. Ma non possiamo neanche negare che oggi siamo davanti alla formalizzazione e ratificazione del dominio del capitale sul tempo di vita di tutta la società e viene meno la sponda legale su cui tante lotte di lavoratori comunque si basano. Azzardo che senza il velo del lavoro/cittadinanza, gli sfruttati dovranno fare i conti solo con la feroce, ormai senza freni, aggressione del capitale e, a questo punto, reagire con le lotte, o soccombere: non c'è più quello spazio di mediazione dato dal modello di società prefigurato dalla costituzione.
Iniziamo ora ad analizzare alcuni punti nodali della nuova normativa sul mercato del lavoro, per sottolineare l'entità del ridisegno in atto.
Il Titolo II del decreto legislativo di attuazione contiene norme che liberalizzano l'attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione, supporto alla ricollocazione del personale, attività che potranno essere svolte contemporaneamente dallo stesso soggetto. Le agenzie per il lavoro potranno essere soggetti privati o pubblici. Infatti, per quel che concerne in particolare l'intermediazione di manodopera, l'art. 6 del decreto legislativo di attuazione prevede che tale attività possa essere svolta anche da Università, scuole secondarie superiori di secondo grado, comuni, camere di commercio, organizzazioni di datori di lavoro, organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative e firmatarie di CCNL, enti bilaterali datori-lavoratori, ordine nazionale dei consulenti del lavoro (ma non da singoli consulenti del lavoro).

Il consentire alle Università e alle scuole secondarie superiori di secondo grado di svolgere attività di intermediazione di manodopera si raccorda con il ridisegno dei contratti a contenuto formativo contenuto nel Titolo VI del decreto legislativo di attuazione. Con il ridisegno dell'apprendistato e con il contratto di inserimento, l'attività lavorativa entra nel sistema dei crediti formativi, con una sovrapposizione tra scuola e impresa, alla quale impresa, di fatto, viene offerta la possibilità di formare direttamente la forza lavoro ancora in età scolare.

Altro punto fondamentale della riforma è quello relativo alla regolamentazione dei casi di utilizzo di manodopera altrui e alla conseguente abrogazione della legge 1369/60 che vietava l'appalto di manodopera, il cosiddetto caporalato.

La riforma (art. 20) consente non solo il lavoro temporaneo (praticamente senza limiti), ma anche la somministrazione di personale a tempo indeterminato nei seguenti casi:

a) per servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, compresa la progettazione e manutenzione di reti intranet e extranet, siti internet, sistemi informatici, sviluppo di software applicativo, caricamento dati;
b) per servizi di pulizia, custodia, portineria;
c) per servizi, da e per lo stabilimento, di trasporto di persone e di trasporto e movimentazione di macchinari e merci;
d) per la gestione di biblioteche, parchi, musei, archivi, magazzini, nonché servizi di economato;
e) per attività di consulenza direzionale, assistenza alla certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del personale;
f) per attività di marketing, analisi di mercato, organizzazione della funzione commerciale;
g) per la gestione di call-center, nonché per l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali nelle aree Obiettivo 1 di cui al regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, recante disposizioni generali sui Fondi strutturali;
h) per costruzioni edilizie all'interno degli stabilimenti, per installazioni o smontaggio di impianti e macchinari, per particolari attività produttive, con specifico riferimento all'edilizia e alla cantieristica navale, le quali richiedano più fasi successive di lavorazione, l'impiego di manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell'impresa;
i) in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative.

Dall'elencazione si comprende facilmente quali siano le potenzialità espansive dell'istituto, anche se la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato potrà essere effettuata da agenzie che svolgano esclusivamente una sola delle attività qui specificate. La differenza tra appalto di servizi (art. 29) e questo istituto sta nel fatto che nel primo caso l'appaltatore assume lo svolgimento del servizio con propria organizzazione, mentre nel secondo caso, i lavoratori vengono inseriti a tempo indeterminato nell'organizzazione dell'impresa utilizzatrice.
Si aggiunga che con la riforma dell'art. 2112 c.c. sul trasferimento d'azienda o di un suo ramo (art. 32) sarà anche più facile cedere pezzi di un'impresa, gruppi di lavoratori, risultando agevolati i processi di terziarizzazione od out sourcing da anni in atto.

Il fenomeno della dissociazione tra datore di lavoro formale ed effettivo utilizzatore della forza lavoro assume un carattere normale e potrà coinvolgere un numero sempre più rilevante di lavoratori.
Infine, i casi di divieto di utilizzo di lavoratori interinali si riduce di fatto a quello di sostituzione di lavoratori in sciopero; i casi sono infatti ridotti rispetto a quanto dettava l'art.1, c.3, l.196/97: ad esempio, in presenza di accordo sindacale, potrà essere utilizzato il lavoro temporaneo anche in unità produttive dove sia stata applicata la mobilità o sia in corso una sospensione per cassa integrazione.

Qui fermiamo la prima parte della nostra analisi. Una considerazione va fatta. Il governo di destra porta a compimento un processo iniziato dai governi dell'ulivo di flessibilizzazione delle condizioni di lavoro (pacchetto Treu – legge 196/97). Negli ultimi anni i governi che si sono succeduti hanno certamente avuto in comune la stessa politica sociale, peggiorando le condizioni dei salariati, rendendoli sempre più ricattabili e impoverendoli. Ora che il percorso è portato alle estreme conseguenze, si apre uno spazio maggiore per chi da sempre oppone allo stato di cose presenti uno sguardo disincantato e critico sui rapporti capitale/lavoro e vede nell'autorganizzazione degli sfruttati il loro unico modo per spezzare la gabbia in cui tutti, ultraliberisti berlusconiani o riformisti ulivisti, li vogliono tenere: a “tirar la carretta" per “tirare a campare".

Simone Bisacca





 

 



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