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Da "Umanità Nova" n. 34 del 26 ottobre 2003

Un mondo diviso in due
La Bolivia degli ultimi e quella dei padroni


L'insurrezione avvenuta in Bolivia la scorsa settimana è figlia della stessa organizzazione sociale della Bolivia. In questo paese come in pochi altri si può davvero dire che esistono due società tra loro estranee e contrapposte: una piccola élite di proprietari minerari e di burocrati pubblici civili e militari, e una quota enorme di popolazione che vive al di sotto del livello di povertà, lavorando nelle miniere o nel commercio al minuto o come giornalieri nelle imprese edilizie che nell'ultimo decennio si sono moltiplicate. La semplificazione estrema della schema sociale è estremamente visibile in questo paese dove una classe media è quasi inesistente e comunque limitata alle due capitali La Paz e Sucre e dove il potere dell'èlite creola si è sempre mantenuto sul monopolio dell'uso della forza. La Bolivia in centosettanta anni di storia, non a caso, ha avuto più golpe militari che governi eletti, anche perché la minima apertura sociale tentata da alcuni di questi è sempre stata bloccata dall'élite dominante grazie all'alleanza diretta con l'esercito. Il paese, inoltre, è sempre stato il "figlio prediletto" delle amministrazioni USA nell'area, proprio grazie alle caratteristiche della sua classe dominante che non ha mai cercato di dotarsi di un livello minimo di indipendenza rispetto al potente vicino del Nord, ma si è accomodata fin dalla fine dell'Ottocento nel ruolo di organizzatrice (peraltro ben ricompensata) dello sfruttamento delle risorse minerarie del paese. Questo dato spiega molte cose: dal nazionalismo popolare presente in tutte le insurrezioni popolari e proletarie boliviane, dove la bandiera nazionale che appare in tutti i cortei e la richiesta di sfruttamento nazionale delle risorse del sottosuolo sono una rivendicazione diretta contro classi dominanti che svendono le risorse di un paese potenzialmente ricchissimo per acquisirne privatamente profitti che non sono mai stati nemmeno minimamente redistribuiti tra la popolazione. Secondo produttore mondiale di stagno per quasi un secolo dopo essere stato il territorio coloniale che più forniva argento alla corona di Spagna, oggi la Bolivia è considerata il primo paese americano in quanto potenzialità di estrazione gaspetrolifera. La popolazione dei sobborghi delle città, quella delle immense campagne e degli altipiani e i minatori che hanno estratto stagno per decenni e che ora si accingono a diventare operai gaspetroliferi sanno che, stanti gli attuali rapporti sociali, non ricaveranno assolutamente nessun vantaggio dalla vendita di questi prodotti all'estero. La conferma l'hanno avuta due giorni prima dell'avvio delle agitazioni stabilito dallo sciopero generale ad oltranza proclamato dalla COB (Central Obrera Boliviana), quando l'ente per il commercio estero ha annunciato che il gas sarebbe stato venduto a Messico e stati Uniti alla metà del prezzo del mercato, e che quindi i lavoratori del settore avrebbero dovuto rinunciare ad ogni aumento salariale nei prossimi anni.

La particolarità più spiccata del paese che conferma anche la sua dipendenza assoluta dagli stati Uniti è la totale assenza di industrie di trasformazione: in altre parole uno dei territori mondiali più ricchi di materie prime per il funzionamento dell'industria moderna non possiede alcuna di queste. Il ruolo della classe dominante boliviana, quindi, altro non è che quello di un mediatore ben pagato che si preoccupa di mantenere la fornitura a basso prezzo di materie prime per l'industria americana e per quella di altri paesi latinoamericani più sviluppati. Questo dato ha comportato una particolarissima composizione di classe dei lavoratori boliviani il cui nucleo centrale è sempre stato quello dell'industria mineraria ed estrattiva in genere; un settore potente ma isolato, facilmente reprimibile da un'élite che mantenga saldo il controllo sull'esercito perché esterno ai grandi centri urbani. Non a caso la forma di protesta più utilizzata dai minatori boliviani è sempre stata quella delle marce dalle zone minerarie verso la capitale. Nei decenni la COB si è rafforzata ed è diventata un attore istituzionale della situazione boliviana, scontando anche grandi repressioni soprattutto in occasione dei ricorrenti golpe militari, ma non riuscendo mai ad assumere un peso determinante nella struttura sociale del paese. Oggi, dopo un momento iniziale in cui ha tergiversato sul da farsi sin è messa alla testa dell'insurrezione contro il presidente "Goni", strappando il comando al variopinto fronte indigeno di contadini e cocaleros che aveva iniziato le contestazioni presto sfociate nel bagno di sangue.
La componente indigena è stata comunque centrale nel fronte di lotta apertosi nel paese, questo a causa della predominanza di indios all'interno della popolazione e come conseguenza della politica di privatizzazione dei servizi che i governi boliviani cercano di mettere in atto da quasi un decennio. Non bisogna dimenticare che fu l'insurrezione di Cochabamba, seconda città del paese e centro abitato in maggioranza da Quechua ed Aymara, a costringere il governo del generale ex-golpista Banzer a rinunciare alla vendita degli acquedotti pubblici alla multinazionale americana Bechtel. Anche allora erano rimasti dei morti sul terreno anche se non nella quantità di oggi. In quell'occasione fu il fronte indigeno a sviluppare e a dirigere la lotta, in alleanza con le organizzazioni dei cocaleros. Questi ultimi sono stati profondamente colpiti dalla guerra alla droga dichiarata dalle amministrazioni americane da Reagan in poi. Ricordiamo a tal proposito che la Bolivia anche in questo campo produce solo materia prima: le raffinerie che trasformano le foglie di coca in cocaina sono infatti impiantate in Colombia. Sono le grandi multinazionali del commercio illegale a curare il trasporto, dopo aver comprato il raccolto dai contadini boliviani. L'immediato schieramento con l'amministrazione americana dei governi boliviani ha voluto dire per questi contadini perdere l'unica decente fonte di sostentamento e trovarsi coinvolti in un progetto repressivo che mirava anche a stabilire un controllo diretto dell'esercito sulle loro terre.

Sostanzialmente il progetto di privatizzazione dei servizi, la svendita delle risorse minerarie ed energetiche del paese e la repressione contro la coltivazione delle foglie di coca sono il sottofondo necessario per capire l'insurrezione boliviana di questi giorni. Queste tre direttrici sono in continuità con l'operato seguito da sempre dalle classi dominanti del paese, ma rappresentano anche un approfondimento del loro operato teso oggi non solo più a svendere a spese della popolazione le ricchezze del sottosuolo, ma anche a controllare militarmente in profondità la Bolivia, penetrando in aree finora autonome dal potere centrale e rette da assemblee di villaggio e forme comunitarie locali. Questo processo ha provocato un doppio movimento da parte della popolazione boliviana: da un lato ha rafforzato il sentimento di opposizione alle classi dominanti, dall'altra ha iniziato l'integrazione politica di vaste masse di contadini e cocaleros del paese.

G. C.






 

 



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